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Beffa sulle unioni civili. “Con i doppi cognomi nuovo codice fiscale”

Set 11, 2016

MILANO – Se la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito, per lo Stato non c’è problema. Il nuovo “nome di famiglia” può essere affiancato a quello da nubile sulla carta di identità, tutto qui. Se un omosessuale fa lo stesso in sede di unione civile, il cognome del compagno (o della compagna) viene invece automaticamente inserito nel suo codice fiscale. In pratica cambia identità, con una serie di conseguenze non indifferenti. “La posizione Inps dovrà essere rivista, come i contratti a lui intestati, compreso il mutuo con la banca. Dovrà rifare passaporto e carta d’identità. E dovrà dimostrare di essere proprietario della propria casa. L’azienda per cui lavora potrebbe avere difficoltà a inviargli lo stipendio e i creditori potrebbero non sapere dove cercarlo”, spiega l’avvocato Stefania Santilli che, come consulente di Arcigay e membro del gruppo legale Famiglie arcobaleno, sta seguendo con alcuni colleghi diverse coppie gay che si trovano a fare i conti con la legge Cirinnà. E ogni giorno scrivono mail per mettere in guardia i propri assistiti sugli effetti connessi alla scelta del cognome comune.

Il pasticcio nasce dal decreto ponte firmato lo scorso 23 luglio dal governo, che contiene le disposizioni transitorie che applicano la legge 76/2016 sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. In attesa dei decreti definitivi, i Comuni si sono dovuti adeguare. Così nei moduli predisposti dall’anagrafe di Milano, ad esempio, si chiede ai due omosessuali se “intendono volere assumere il cognome comune”. E si chiede loro di dichiararsi “consapevoli che il cambiamento del cognome comporta il cambiamento del codice fiscale”. Una postilla apparentemente neutra, che lascia presagire al massimo una seccatura burocratica. Ma che nei fatti è il primo passo verso un totale cambio di identità. Chi ha un figlio, peraltro, si troverà a essere genitore di una persona che ha un cognome diverso dal proprio. “L’aggiunta del cognome del marito a quello della moglie nel matrimonio sancisce l’esistenza del nucleo familiare, e non comporta conseguenze ulteriori – dice Cinzia Calabrese, nel direttivo di Aiaf, associazione di avvocati per la famiglia e per i minori – per gli uniti civili non è così, evidentemente il legislatore continua a non volerli considerare una famiglia”.

Paradossalmente, il decreto ponte che applica la legge Cirinnà rende automatico un meccanismo che altrimenti sarebbe molto difficile mettere in moto. Le conseguenze del cambio di nome sono tali, da un punto di vista giuridico, che il legislatore ha infatti posto forti paletti a chi decide volontariamente di farne richiesta. Il procedimento del cambio di identità, di cui è titolare la prefettura, è disciplinato dalla legge 396 del 3 novembre 2000, che regola “il cambiamento del cognome perché ridicolo o vergognoso” e “l’esigenza di cambiamento del cognome”. Viene applicato, ad esempio, ai collaboratori di giustizia. Per le coppie gay che decidono di unirsi civilmente, invece, per cambiare cognome basta una crocetta tracciata distrattamente sul modulo dell’anagrafe. “Il nome è il segno che identifica ogni persona e in quanto tale costituisce parte essenziale e irrinunciabile della personalità, quale primo e più immediato elemento dell’identità personale – dice l’avvocato Santilli – La pretesa dello Stato di modificare un nome già attribuito a un individuo è un’ingerenza nella vita privata e familiare. L’auspicio è che i decreti attuativi della legge Cirinnà pongano fine a questa discriminazione”.

I legali di Famiglie Arcobaleno in questi giorni stanno preparando un vademecum sulle insidie del decreto ponte della legge Cirinnà. Oltre al problema del cognome, si segnala il rischio che in caso di trascrizione di matrimonio contratto all’estero, nel registro delle unioni civili venga automaticamente riportata come scelta sul patrimonio la comunione dei beni.

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