AGI – L’ultima ipotesi di reato che gli veniva contestata, quella di corruzione, è svanita pochi giorni fa a sei anni di distanza da quando ne venne a conoscenza. Su richiesta della Procura, il gip di Busto Arsizio l’ha archiviata sottolineando la “manifesta infondatezza della notizia di reato”. Nel frattempo la vita di Giuseppe Filoni, all’epoca presidente di un ente pubblico per la depurazione delle acque in provincia di Varese e alla guida di una cooperativa che fatturava 5 milioni all’anno, è stata stritolata dall’indagine ‘Mensa dei Poveri’ portata avanti dalla Procura di Milano che ipotizzava la sua partecipazione a un grosso sistema di appalti pilotati, corruzione e finanziamenti illeciti col coinvolgimento di politici.
“E’ stato come se all’improvviso fossi stato catapultato su Marte – racconta Filoni all’AGI – nel senso che se mi fossi ‘organizzato’, prendendo in considerazione l’ipotesi di commettere dei reati come fanno alcuni imprenditori, l’avrei messo in conto. Invece ero finito su Marte e non sapevo come comportarmi su quel pianeta”.
Un passo indietro. Quando nel 2019 ci furono i 43 arresti, Filoni venne indagato per abuso d’ufficio, reato che poi venne modificato in corruzione perché, nelle vesti di amministratore unico della società pubblica che presiedeva, era sospettato di avere affidato degli incarichi ad Alberto Bilardo, anche lui coinvolto nell’inchiesta, affidati in violazione delle corrette procedure. Venne poi accusato e assolto ‘perché il fatto non sussiste’ dal reato di turbativa d’asta per la gestione del bar dell’ospedale di Busto Arsizio due anni fa. Nel frattempo il fascicolo per corruzione è stato trasmesso per competenza territoriale da Milano a Busto Arsizio e, un anno dopo la richiesta di archiviazione, è arrivata la parola fine.
“Sei anni fa ero un uomo di 44 anni nel pieno della mia carriera – riavvolge il nastro Filoni -. Quando ho saputo di essere indagato, ho deciso di difendermi, partecipando alle udienze, facendomi interrogare e chiedendo in continuazione alla mia legale cosa stava succedendo. Ero presidente sotto rinnovo di un ente per la depurazione delle acque e, quando tutto cominciò, i Comuni stavano decidendo il mio rinnovo. Prima che me lo chiedessero, decisi di fare un passo indietro per non imbarazzarli”.
Decise di lasciare anche la cooperativa di servizi di cui era presidente: “A torto o a ragione, i clienti cominciarono a disdire le commesse. Nessuno mi fece mai contestazioni nel merito del lavoro ma disdicevano o con motivazioni generiche oppure non rinnovando alla scadenza. Mi avevano ‘etichettato’. La società fatturava 5 milioni all’anno e scelsi di dare le dimissioni nel 2020 per non danneggiarla ancora di più col mio nome”. Improvvisamente, sintetizza, “mi sono trovato da imprenditore a delinquente e ho sofferto molto, più che per il lavoro, come persona. A livello di rapporti familiari e di amicizia ho ‘espanso’, com’è naturale, il mio problema a chi mi stava vicino. A livello economico con quello che avevo da parte sono riuscito a restare a galla. Ora non navigo nell’oro ma me la cavo. Faccio il consulente a partita Iva, seguo sicurezza, lavoro e formazione, sfruttando l’esperienza maturata negli anni, e sono sereno”.
Dopo l’archiviazione, sente di essersi tolto “un macigno”.”Dopo tanti anni tra tribunali, posso dire che l’aspetto peggiore è l’attesa così lunga per arrivare ad avere giustizia, oltre al massacro mediatico. Ma ho 50 anni, dicono che sia l’età in cui comincia il ‘secondo tempo’ e guardo avanti con fiducia”.