• 24 Febbraio 2025 16:46

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Particolato atmosferico, cos’è e cosa si può fare per contrastarlo

Feb 24, 2025

Ogni giorno milioni di veicoli percorrono le nostre strade, contribuendo alla mobilità e allo sviluppo economico, ma anche lasciando dietro di sé un’eredità meno visibile e decisamente più dannosa: il particolato atmosferico. Questa miscela di minuscole particelle solide e liquide sospese nell’aria rappresenta una delle principali fonti di inquinamento urbano, con effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente.

Ma cosa rende il traffico automobilistico un così grande responsabile dell’emissione di particolato? Non si tratta solo dei gas di scarico prodotti dai motori a combustione interna, ma anche dell’usura di pneumatici, freni e manto stradale, che rilasciano nell’aria polveri sottili e ultrafini. In questo approfondimento, esploreremo l’origine e l’impatto del particolato legato alla circolazione dei veicoli, analizzando le possibili soluzioni per ridurne la presenza e mitigare i suoi effetti.

Che cos’è il particolato atmosferico

Il particolato è un insieme di particelle solide e liquide sospese nell’aria, di dimensioni variabili, come già anticipato. Quelle più piccole, in particolare quelle inferiori a 10 micrometri (PM10) e 2,5 micrometri (PM2.5), sono le più pericolose perché possono penetrare in profondità nell’organismo.

Le fonti di particolato atmosferico sono molteplici, ma il settore automobilistico gioca un ruolo significativo. I veicoli a motore, in particolare quelli Diesel, emettono particolato primario direttamente dai loro scarichi, sotto forma di fuliggine e altre particelle carboniose. Inoltre, il traffico veicolare contribuisce anche alla formazione di particolato secondario attraverso l’usura di pneumatici e freni, nonché attraverso la risospensione della polvere presente sulle strade.

Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza dei rischi legati a queste particelle ha portato a una serie di iniziative volte a ridurre le sue emissioni del settore automobilistico. Queste includono normative più severe sulle emissioni inquinanti dei veicoli, incentivi per l’acquisto di auto poco inquinanti e lo sviluppo di tecnologie più pulite, come i filtri antiparticolato.

Tuttavia, la lotta contro il particolato atmosferico rimane una sfida complessa. È necessario un approccio integrato che coinvolga non solo il settore automobilistico, ma anche altri settori inquinanti, come l’industria e il riscaldamento domestico. Inoltre, è fondamentale promuovere una mobilità più sostenibile, incoraggiando l’uso dei mezzi pubblici, della bicicletta e della camminata.

Il PM10

Il PM10, come già anticipato, racchiude le particelle di diametro inferiore ai 10 micron. Questo significa che nel conteggio sono incluse anche le PM5 e le PM2,5 (queste ultime approfondite a breve). Queste particelle, essendo le più grosse, possono essere anche di origine naturale e derivano principalmente dall’erosione dei componenti meccanici.

Il PM2,5

Il PM2,5, invece, indica il numero di particelle che hanno un diametro inferiore ai 2,5 micron. È la frazione più pericolosa ed è quella derivante dai processi di combustione dei motori endotermici. In entrambi i casi analizzati esistono le emissioni primarie e secondarie di fuliggine. Le prime sono quelle emesse direttamente allo scarico, mentre le secondarie sono quelle che si formano attraverso la reazione delle primarie in atmosfera.

Le cause, come si forma

Il particolato è costituito da particelle carboniose sulle quali si depositano composti organici ad alta massa molecolare. La sua formazione avviene all’interno del cilindro durante la combustione, in particolare nelle zone centrali del getto di carburante, dove la scarsa presenza di ossigeno porta a una combustione incompleta con fiamme diffusive. Diversi fattori influenzano la produzione di particolato durante la combustione, tra cui:

la quantità di carburante non completamente miscelato con l’aria e il suo rapporto di equivalenza;
la velocità di miscelazione tra combustibile e aria;
la temperatura alla quale avviene il processo di combustione.

L’ossidazione delle particelle di particolato dipende poi da tre elementi chiave: la temperatura raggiunta dai gas combusti, la disponibilità di ossigeno e il tempo necessario per completare le reazioni di ossidazione. Per sua natura, il motore Diesel opera con miscele povere, lavorando in eccesso d’aria e con elevati rapporti di compressione. Quando il carico è elevato, il rapporto di combustione si avvicina a quello ideale, portando alla formazione di una miscela ricca che genera elevate emissioni di particolato, idrocarburi incombusti (HC) e fumo allo scarico. Al contrario, ai carichi parziali, dove la combustione avviene con un eccesso di aria e a temperature più alte, si verifica un aumento della produzione di ossidi di azoto (NOx).

Come si contrasta il particolato

Per ridurre le emissioni di particolato, i veicoli moderni sono dotati di sistemi di post-trattamento chiamati filtri antiparticolato. Questi dispositivi agiscono come barriere meccaniche, catturando le particelle nocive senza ostacolare il passaggio dei gas di scarico.

I filtri antiparticolato sono composti da un supporto monolitico in carburo di silicio poroso, caratterizzato da una struttura a nido d’ape rivestita con metalli nobili come platino e palladio. Il particolato viene intrappolato all’interno della matrice ceramica e successivamente eliminato tramite ossidazione, un processo che può avvenire in modo termico o catalitico.

Tuttavia, con l’accumulo delle particelle, il filtro raggiunge la saturazione, creando un’ostruzione che aumenta la contropressione nel sistema di scarico. Questo fenomeno può ridurre le prestazioni del motore e aumentare i consumi di carburante. Per evitare questi problemi, è necessario attivare un processo di pulizia chiamato rigenerazione, che avviene periodicamente per bruciare il particolato accumulato.

Esistono due principali tecnologie di filtri antiparticolato, differenziate dal metodo di rigenerazione:

il FAP (filtro attivo antiparticolato) utilizza additivi a base di ossido di cerio e ferro (Cerina), che riducono la temperatura necessaria per la combustione del particolato da 650 °C a circa 450 °C. Questo processo facilita l’ossidazione delle particelle senza un eccessivo consumo di carburante;
il DPF (Diesel Particulate Filter) non prevede l’uso di additivi, ma sfrutta un innalzamento della temperatura dei gas di scarico fino a 650 °C, ottenuto attraverso post-iniezioni di carburante nei collettori di scarico e nel catalizzatore ossidante. I metalli nobili presenti nel filtro accelerano l’ossidazione del particolato.

Questi sistemi sono resi possibili dalla tecnologia common rail, che gestisce elettronicamente fino a otto iniezioni per ciclo, attivando quelle necessarie alla rigenerazione ogni 400-500 km o quando viene rilevata un’eccessiva caduta di pressione tra l’ingresso e l’uscita del filtro.

In conclusione, i dispositivi per ridurre le emissioni di particolato atmosferico esistono e sono già ampiamente utilizzati. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica farà in modo che i futuri filtri saranno sempre più efficienti per limitare quanto più possibile le emissioni in atmosfera.

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