AGI – Il punteggio dell’Italia, nell’Indice di percezione della corruzione (CPI) 2024, è pari a 54 e colloca il nostro Paese al 52esimo posto nella classifica globale e al 19esimo tra i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. E’ quanto rende noto Transparency International – che pubblica oggi l’edizione 2024 del CPI, il principale indicatore globale della corruzione nel settore pubblico – sottolineando che “nell’ambito di una tendenza alla crescita, con +14 punti dal 2012, il CPI 2024 segna il primo calo dell’Italia (-2). Le più recenti riforme e alcune questioni irrisolte stanno indebolendo i progressi nel contrasto alla corruzione”.
L’Indice assegna un punteggio a 180 Paesi e territori di tutto il mondo in base alla percezione della corruzione nel settore pubblico, utilizzando dati provenienti da 13 fonti esterne. I punteggi riflettono le opinioni di esperti: in particolare, spiega Transparency, “il CPI 2024 si concentra su come la corruzione stia indebolendo l’azione per il clima in tutto il mondo”. Per quanto riguarda l’Italia, “il sistema nazionale, negli ultimi tredici anni, ha innescato positivi cambiamenti in chiave anticorruzione”, osserva Transparency, ricordando la legge anticorruzione del 2012, la normativa sul whistleblowing, e il ruolo dell’Anac “che, negli ultimi anni ha rafforzato la disciplina sugli appalti e creato un database pubblico che rappresenta un esempio regionale di rinnovata fiducia nei sistemi di trasparenza”.
Tra i fattori che “ancora incidono negativamente sulla capacità del sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico”, Transparency mette in evidenza la “mancanza di una regolamentazione in tema di conflitto di interessi nei rapporti tra pubblico e privato, l’assenza di una disciplina in materia di lobbying” e il “perdurare del rinvio all’implementazione del registro dei titolari effettivi che potrebbe limitare l’efficacia delle misure antiriciclaggio”.
Secondo Transparency International, “il CPI 2024 fotografa nel complesso un’Europa occidentale in cui, pur rimanendo la regione con il punteggio più alto (64), gli sforzi per combattere la corruzione sono fermi o in diminuzione. Le maggiori economie della regione (Francia e Germania) registrano un calo e persino quelle tradizionalmente più forti (Norvegia e Svezia) ottengono i loro punteggi più bassi. Questo stallo compromette la capacità di affrontare le sfide più urgenti: la crisi climatica, la questione dello Stato di diritto e l’efficienza dei servizi pubblici”. Transparency ricorda quindi che “per far fronte all’indebolimento degli sforzi anticorruzione, nel 2023, la Commissione europea ha proposto alcune misure per rafforzare gli strumenti a disposizione degli Stati membri dell’Ue per combattere la corruzione. Prima fra tutte – sottolinea – una Direttiva Anticorruzione che consentirebbe all’Unione Europea di consolidare il proprio ruolo nella lotta alla corruzione, armonizzando la legislazione anticorruzione degli Stati membri e rendendo obbligatoria nel diritto comunitario l’incriminazione per i reati previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (Uncac)”.
Anac, “brusco salto indietro dell’Italia”
“Il passaggio dalla 42esima alla 52esima posizione nella classifica globale dell’indice di Transparency International segna per l’Italia un brusco salto indietro, estremamente preoccupante, e vanifica tanti sforzi fatti negli ultimi anni, guadagnando credibilità interna ed internazionale”. Lo ha detto Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, alla presentazione dell’indice CPI 2024 di Transparency International. “Tale risultato – rileva il presidente dell’Anac – incide negativamente sulla fiducia dei cittadini, quanto mai preziosa in questo delicato momento storico, oltre a ridurre l’attrattività del nostro Paese agli occhi degli investitori esteri, con conseguente perdita di occasioni di crescita e sviluppo. Purtroppo – aggiunge Busia – pesano alcune scelte recenti, quali l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, che ha lasciato aperti diversi vuoti di tutela, o l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti di servizi e forniture fino a 140mila euro, che oltre a ridurre la trasparenza, rischia di far lievitare la spesa pubblica e pesa il mancato impegno rispetto a interventi normativi che a livello internazionale ci sollecitano da troppi anni, come l’assenza di una seria disciplina sulle lobby, non criminalizzatrice ma improntata alla assoluta trasparenza, e l’estensione delle regole su conflitti di interessi, sulle incompatibilità e sulle inconferibilità anche alle cariche politiche, mentre noi, pur con una normativa certamente da rivedere, ci siamo fermati a livello amministrativo e dirigenziale”. Secondo Busia, “recuperare è possibile ma richiede volontà politica di tutti: ricordo solo che tre anni fa, presentando nel 2022 lo stesso indice, avevamo festeggiato il fatto di aver scalato ben 10 posizioni”.