Per loro, solo un gioco. Per i proprietari delle auto vandalizzate, tutto il contrario. Due ragazzi di Forlì hanno preso di mira decine di veicoli nel quartiere Romiti, rubando e distruggendo per puro divertimento. Negli scorsi giorni la Polizia li ha identificati e denunciati. Entrambi. I raid sono iniziati a novembre e sono andati avanti per mesi, con i residenti esasperati dai continui danni. Vetri infranti, cruscotti divelti, oggetti di valore scomparsi.
Agivano indisturbati, al calar del buio, mentre le strade erano deserte. Con il passare del tempo, si sentivano i padroni della zona. Nessuna telecamera li aveva ancora ripresi, nessun testimone era riuscito a identificarli. Un gioco pericoloso, che sembrava esser privo di conseguenze. Ma hanno peccato di presunzione.
Una scia di danni senza colpevole
La pazienza degli investigatori della Squadra Mobile era agli sgoccioli. E, ancor prima di loro, quella dei cittadini, sempre più irritati. Le malefatte si susseguivano da settimane, senza un volto, senza un colpevole. Qualcuno agiva nell’ombra, sicuro di farla franca. Nel quartiere, il nervosismo cresceva. Ogni rumore sospetto diventava un segnale d’allarme. Eppure, i responsabili riuscivano a svanire nel nulla. Quasi capissero in anticipo quali sarebbero state le prossime mosse delle autorità. Che andavano alla costante ricerca di una prova concreta, un errore in grado di incastrarli.
Le segnalazioni aumentavano. C’erano voci, sospetti, mezze verità raccolte dagli abitanti del quartiere, ma niente di veramente utile. La Polizia sapeva che per chiudere il cerchio serviva una confessione o una prova schiacciante. Troppi indizi combaciavano per non pensare a un’unica regia. Gli agenti aspettavano un minimo passo falso. E finalmente è arrivato.
L’indagine ha preso una svolta improvvisa grazie a una soffiata. Un docente scolastico ha riferito alle Forze dell’Ordine la confessione spontanea ricevuta da uno dei due ragazzi. Un momento di leggerezza, forse di pentimento, che ha segnato la fine del loro “passatempo”. Convocato in Questura, il giovane ha ceduto. Ha ammesso tutto, pur senza identificare con precisione il complice. Ma le sue parole sono bastate per dare il via alle perquisizioni.
Era solo un modo di divertirsi
Gli agenti hanno trovato parte della refurtiva nascosta in un magazzino abbandonato, tra zaini, autoradio e altri oggetti sottratti. Ma la scoperta più inquietante è arrivata dopo: molti dei beni rubati erano stati distrutti e bruciati. Un gesto senza logica apparente. Per coprire le tracce? Per sfida? O, semplicemente, per noia? Durante l’interrogatorio, entrambi hanno confessato. “Volevamo solo divertirci”, hanno detto. Una giustificazione debole, che non ha certo attenuato la gravità delle loro azioni.
Ora, oltre al peso della denuncia, sugli autori grava il peso delle loro scelte. I due dovranno rispondere di furto aggravato e danneggiamento. Uno di loro, che aveva meno di 18 anni all’epoca dei fatti, sarà giudicato da un tribunale per i minori. Nel caso del partner di malefatte, invece, il procedimento seguirà l’iter della giustizia ordinaria. Il caso è chiuso, ma il quartiere Romiti ancora si lecca le ferite. Qualcuno festeggia la fine di un incubo. Altri sottolineano il fastidioso retrogusto di un’ingiustizia che poteva essere evitata.