AGI – Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha respinto l’istanza di liberazione condizionale presentata da Paolo Alfano, l’autista di Totò Riina, detenuto nel carcere di Parma. Alfano, considerato uno degli irriducibili di Cosa nostra, è stato latitante fino al maggio 1996 e ha ottenuto la semilibertà per buona condotta nel 2019, dopo vent’anni di detenzione nel carcere di Parma, dove ha scontato parte delle condanne inflitte sia nel maxi processo che dopo, per due omicidi commessi nel 1981.
Nella sua relazione, il magistrato di sorveglianza, spiega chiaramente di “aver fondato tale determinazione sulla carenza di elementi integrativi di un ‘sicuro ravvedimento’, presupposto primario dell’istituto invocato”. “La Dda di Palermo, al contempo – spiega il Tribunale di sorveglianza -, evidenziava l’assenza di condotte riparatorie o di comportamenti di collaborazione con la giustizia. Il Collegio, pur preso atto del regolare percorso trattamentale, si pronunciava in senso negativo, constatata l’insussistenza di iniziative in favore delle persone offese, non riconoscendosi nelle attività di volontariato svolte” da Alfano “un elemento sufficiente a surrogare un effettivo impegno riparatorio verso le vittime”.
L’ordinanza è del 19 dicembre 2023, ma il suo contenuto non era ancora stato reso noto. Nel novembre del 2024, però, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, interpellato dal ministero della Giustizia ha trasmesso la sua relazione. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha richiamato le motivazioni contenute nell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna, rispondendo in Parlamento a un’interrogazione della deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi che, nella sua richiesta, faceva presente che Alfano aveva presentato “persino istanza di liberazione condizionale al Tribunale di sorveglianza di Bologna della quale, però, non si conoscono gli esiti”.
Nell’interrogazione, Varchi chiedeva chiarimenti anche sul fatto che “Alfano ad agosto 2024 è tornato a Palermo per 12 giorni grazie a un permesso” anche se “la storia ci insegna a non sottovalutare le scarcerazioni di nomi di spessore che figuravano nei clan più pericolosi”. Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha risposto anche su questo punto, come riportato dal ministro Nordio in Aula. “Il riferimento al permesso premio – spiegano i giudici – è erroneo, in quanto il detenuto in questione è stato ammesso al regime di semilibertà sin da luglio 2019, potendo quindi fruire di ripetute licenze, istituto ben diverso da quello del permesso premio”.
Evidenziano, poi, che “non sono mai pervenute all’Ufficio di sorveglianza di Reggio Emilia né a questo Tribunale di sorveglianza segnalazioni o rilievi in merito a un percorso esterno avviato da oltre cinque anni con la semilibertà, concessa a suo tempo sulla base dei presupposti di legge dal Tribunale di sorveglianza”. “Neppure le informazioni aggiornate, richieste alla Questura di Palermo, alla Dda di Palermo e alla Dda di Parma hanno riportato indicazioni negative” sottolinea il magistrato di sorveglianza. Quanto al soggiorno a Palermo, “la Questura della città siciliana – riportano i giudici – evidenziava che Alfano non aveva dato adito a rimarchi durante la fruizione delle licenze presso l’abitazione del figlio”, mentre la Questura di Parma “non disponeva di elementi circa la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata”.