La decisione unilaterale degli Stati Uniti di uscire dall’Organizzazione mondiale della sanità, ufficializzata nel giorno dell’inaugurazione del secondo mandato di Trump, è una scelta tanto idiota quanto inaccettabile, perché tradisce il dovere di collaborare a un progetto che riguarda la salute di tutti. L’Oms, infatti, non è un club a cui iscriversi per convenienza, ma il centro di coordinamento della salute mondiale. Se il pianeta è un sistema interconnesso – e la salute di tutti è influenzata da tutti – allora nessuno Stato può sottrarsi a responsabilità che non sono soltanto morali, ma anche politiche e, in ultima istanza, giuridiche.
Gli Stati Uniti vantano un’economia avanzata che genera inevitabilmente un’impronta significativa sull’ecosistema globale, con riflessi diretti e indiretti sulla salute collettiva: non è pensabile sfruttare i benefici derivanti da un enorme potere economico senza poi contribuire a mitigare i danni correlati, specialmente quando la cooperazione è la sola via per fronteggiare problemi tanto estesi. Da tempo, inoltre, gli Usa si avvalgono di storiche collaborazioni internazionali per far crescere i propri centri di ricerca e formare personale medico-scientifico di altissimo livello. Proprio questo continuo scambio di conoscenze e risorse ha reso possibili scoperte e programmi innovativi che hanno migliorato la vita di milioni di persone nel mondo. Ritirarsi dall’Oms significa rompere queste reti, danneggiando l’intera comunità scientifica e lasciando scoperti i Paesi che più necessitano di formazione, finanziamenti e supporto operativo.
Trump giustifica la mossa dicendo che gli Stati Uniti “pagano troppo” e che l’Organizzazione non funziona come dovrebbe. Ammesso che alcune critiche possano avere un fondamento, la risposta non può essere abbandonare il tavolo: se una potenza economica decide di andarsene per ottenere condizioni più favorevoli, innesca un meccanismo per cui chiunque si sentirà legittimato a fare lo stesso, ponendo a rischio la tenuta dell’Oms in quanto istituzione. Questo è gravemente ingiusto e avventato: non c’è dubbio che si possa discutere e negoziare riforme più efficaci, ma l’uscita unilaterale prefigura una destrutturazione dell’unico organismo mondiale deputato alla cooperazione sanitaria in senso ampio. È un atto contrario al buon senso, alla logica, perfino al diritto internazionale, che riconosce la salute come un interesse comune da proteggere attraverso impegni multilaterali.
È assurdo, poi, pensare che gli Stati Uniti possano isolarsi: l’impatto delle politiche ambientali, delle scelte produttive e dei flussi commerciali non conosce barriere, e il prezzo di queste decisioni lo pagano spesso le fasce più deboli, sia in patria sia all’estero. L’Oms svolge un ruolo essenziale nel monitorare e contrastare un ampio ventaglio di patologie e situazioni di rischio, inclusi gli effetti sanitari di catastrofi naturali o crisi umanitarie; perdere un partner di peso come gli Usa non significa solo contare su minori finanziamenti, ma anche limitare la capacità di organizzare campagne di prevenzione, ricerca e intervento. Il risultato finale è una vulnerabilità accresciuta per tutti, compresi gli stessi cittadini americani, che non possono sperare di restare immuni ai problemi che si originano altrove.
Trump, con la sua scelta idiota, sta calpestando il principio basilare secondo cui la salute è un bene universale che richiede impegni collettivi: nessuno ha il diritto di tirarsi fuori, e tanto meno una potenza che, volente o nolente, incide più di molte altre sullo stato di salute del pianeta.