In tempi in cui una commissione parlamentare è insediata per valutare le scelte di politica sanitaria durante la pandemia dei governi precedenti, potrebbe risultare utile al lettore un’analisi di qualche profondità delle ragioni a sostegno di certe scelte. La più controversa fra queste è senza dubbio quella dell’obbligo vaccinale, che sia palese (come avvenuto per certe categorie) o indiretta, attraverso l’utilizzo di strumenti coercitivi o selettivi di varia natura (come il green pass). Tuttavia, prima e a fondamento delle discussioni giuridiche, etiche o di altra natura sull’imposizione di un obbligo vaccinale, è fondamentale tornare a considerare un punto troppe volte trascurato: qual è la vera efficacia di una misura coercitiva, nell’aumentare il tasso di vaccinazione della popolazione di quella misura destinataria? Voglio avvisare tutti i miei lettori: quella che segue non è un’analisi semplice, perché il fenomeno che si intende esaminare è per sua natura complesso e molte sono le variabili in gioco; richiederò pertanto tutta la loro pazienza, per seguire un filo tortuoso fino alla conclusione finale.
E’ evidente innanzitutto che il problema non risiede nella sicurezza o nell’efficacia dei vaccini. Continuare a riferirsi a questi due punti, al di fuori delle pubblicazioni specialistiche e al risultato delle analisi delle agenzie regolatorie quando un nuovo vaccino deve essere approvato, è operazione senza più senso, a meno che non si intenda inseguire a vita la propaganda ottusa degli antivaccinisti. Il punto che invece merita una discussione più approfondita è un altro, e riguarda non solo i vaccini, ma qualunque trattamento sanitario: quali sono gli elementi da prendere in considerazione perché lo stato possa imporre un obbligo indiscriminato per tutta la popolazione, oppure per una certa fascia di età, con la conseguente adozione di sanzioni per chi non si adegua? Ora, al di là delle numerose baggianate o chiare falsità profferite ultimamente per esempio dal presidente della cosiddetta commissione Covid, l’avvocato Marco Lisei, esaminare in dettaglio quali siano i vantaggi e gli svantaggi dell’imposizione di un obbligo, e quali siano in particolare le condizioni che influenzano tanto i primi che i secondi, è un argomento di sicuro interesse, perché la scelta della politica vaccinale non può considerarsi conclusa una volta per sempre, stante lo sviluppo di nuovi vaccini e l’insorgenza di nuove epidemie.
Trattandosi di studiare quali siano le modalità e le condizioni che influenzano la migliore riuscita di una convenzione sociale quale può considerarsi un obbligo di legge, è evidente che, al contrario della determinazione di efficacia e sicurezza di un vaccino, il contesto in cui tale legge dovrà operare è fondamentale nel determinarne l’efficacia e le controindicazioni, queste ultime sotto forma di effetti negativi che possono manifestarsi anche quando l’obiettivo primario – l’immunizzazione della popolazione – sia raggiunto. E’ necessario anche fare attenzione a mantenere un agnosticismo etico nel condurre questa analisi: sebbene infatti l’obbligo vaccinale trovi una robusta giustificazione etica sia nella protezione dei fragili, sia nella protezione della società nel suo complesso, e sebbene come già rilevato dalla nostra Corte costituzionale il rischio individuale non possa essere addotto come giustificazione per impedire l’obbligo, non è certo la giustificazione etica che si può trovare per un obbligo a determinarne la sua efficacia o a diminuirne eventuali controindicazioni. In altre parole, così come l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, anche la base etica e giuridica per l’imposizione dell’obbligo può essere data per assodata, al netto delle considerazioni che valgono per ogni singolo prodotto; tutte queste certezze, tuttavia, non attengono alla discussione circa le condizioni in cui l’obbligo può essere più efficace e meno controindicato. Quali sono dunque le condizioni e i parametri da considerare in merito all’efficacia dell’obbligo vaccinale? Esiste in merito una vasta letteratura, che ha potuto disporre di una messe di dati in particolare dopo la recente pandemia dovuta a SARS-CoV-2 e dopo gli obblighi imposti in molteplici stati. Cominceremo quindi dall’analisi di questa letteratura più recente.
L’efficacia dell’obbligo vaccinale nell’era di SARS-CoV-2
Per fare ordine nella letteratura più recente, è innanzitutto opportuno ricordare che gli effetti in termini di efficacia dell’introduzione di un obbligo vaccinale sono valutati diversamente a seconda dell’obiettivo degli autori di un lavoro. Vi sono cioè coloro che mirano innanzitutto a definire l’effetto più immediato dell’introduzione di un obbligo, in termini della percentuale di copertura di una popolazione ad esso soggetta. Vi sono poi anche coloro che invece sono interessati a valutare l’efficacia in termini di effetti sulla sanità pubblica. Le due misure di efficacia – quella cioè concernente l’immunità di popolazione e quella invece concernente i benefici per la società che adotta un obbligo – non sono sovrapponibili, perché ovviamente i fattori confondenti che influenzano il beneficio finale sono molti di più di quelli che condizionano l’adesione all’obbligo; pertanto, nella discussione che segue questi differenti modi di intendere l’efficacia di un obbligo vaccinale saranno mantenuti separati. Cominciamo a considerare un campionario dei più recenti lavori che misurano l’efficacia dell’obbligo guardando all’andamento della percentuale di copertura della popolazione, prima e dopo l’introduzione di tale misura.
Per prima cosa, riferiamoci a quei lavori che considerano una popolazione ben definita, ovvero gli operatori sanitari, i quali sono ovviamente sia particolarmente esposti alle infezioni, sia particolarmente cruciali durante un’epidemia, sia, infine, mediamente meglio formati al significato della protezione vaccinale. In una recente revisione di 4.779 lavori sugli effetti dell’obbligo vaccinale contro SARS-CoV-2 sono stati identificati 15 diversi studi che riguardavano gli operatori sanitari, erano sufficientemente dettagliati e ben strutturati e soprattutto erano omogenei per quello che riguarda la definizione di efficacia dell’obbligo in termini di copertura, misurata in modo sufficientemente rigoroso e affidabile. I risultati di questa revisione suggeriscono che gli obblighi sono stati ampiamente efficaci nell’aumentare l’adesione alla vaccinazione tra gli operatori sanitari. I fattori che hanno reso meno evidente il vantaggio dell’obbligo in termini di percentuale di vaccinazione nella popolazione sono stati individuati in taluni interventi concomitanti e soprattutto nell’adesione volontaria, che per ovvi motivi quando è elevata diminuisce l’impatto (e la necessità) dell’obbligo. Un altro lavoro condotto negli Stati Uniti, a Philadelphia, per valutare l’effetto dell’obbligo su 10.889 operatori sanitari conferma quanto trovato dalla revisione appena citata: il tasso di completamento delle serie di vaccinazioni contro SARS-CoV-2 era dell’86,0 per cento prima dell’annuncio dell’obbligo ed è aumentato al 98,7 per cento dopo la sua implementazione. Inoltre, non sono state notate particolari differenze fra lo 0.4 per cento degli operatori sanitari che si è dimesso per non ottemperare all’obbligo e tutti quelli che invece vi hanno aderito.
Contrariamente ai due studi appena menzionati, tuttavia, uno studio neozelandese che ha considerato gli effetti dell’introduzione dell’obbligo per il personale sanitario, per gli insegnanti e per il personale carcerario, ha trovato per il personale sanitario (e anche per le altre due popolazioni professionali considerate) un effetto limitato o nullo se si guarda al tasso di vaccinazione contro SARS-CoV-2 prima e dopo l’introduzione dell’obbligo. Tenendo a mente questa prima discrepanza, che più avanti discuteremo in dettaglio, passiamo a considerare ulteriori studi, su popolazioni diverse da quelle sanitarie, per vedere se si tratti di una discrepanza specificamente legata al tipo di popolazione studiata o meno. Se si guarda all’effetto dell’obbligo scolastico dei vaccini contro Covid-19, si vede in Usa che esso funziona bene per quel che riguarda la copertura; considerando poi il secondo tipo di misure di efficacia che abbiamo introdotto in apertura, si nota come gli obblighi non hanno effetto sulle ospedalizzazioni (anche perché sono rare fra i giovani), ma lo hanno sui ricoveri in terapia intensiva, tanto più quanto più grandi sono i college considerati, ovvero i serbatoi in cui i virus può circolare. Si noti come l’obbligo scolastico deve essere assolutamente universale, e non differenziato localmente da scuola a scuola o da un distretto geografico ad un altro. L’autonomia decisionale in fatto di obbligo determina infatti la concentrazione di popolazioni di soggetti non vaccinati in quei distretti geografici più permissivi, il che comporta la creazione di serbatoi per focolai epidemici che non si sarebbero osservati se gli stessi soggetti fossero stati “diluiti” in una popolazione sufficientemente vaccinata. Ciò mette a rischio anche i soggetti fragili o non vaccinabili causando fiammate infettive che possono procurare morti, evitabili con una politica sanitaria più omogenea.
Nonostante i buoni risultati dell’imposizione dell’obbligo nelle scuole, se consideriamo la popolazione americana nel suo complesso, paragonando stati con obbligo a stati senza obbligo e misurando la copertura vaccinale omogeneamente rispetto al periodo temporale considerato, si vede che l’obbligo non ha avuto effetti sull’adesione alla vaccinazione contro SARS-CoV-2: laddove ci si vaccinava, si è continuato a farlo, mentre le sacche antivacciniste sono rimaste sostanzialmente poco toccate. Al contrario, in Europa in generale sia gli incentivi che le punizioni e gli obblighi hanno funzionato bene per il vaccino contro SARS-CoV-2 almeno nell’immediato, durante la pandemia, aumentando il tasso di vaccinazione in modo a volte sostanziale. Come in Europa, anche in Canada si è osservato un immediato aumento del tasso di vaccinazione contro SARS-CoV-2, a seguito dell’annuncio dell’obbligo. In particolare per la fascia più fragile demograficamente (gli ultrasessantacinquenni), in tutta Europa, e soprattutto in Italia e in Grecia, l’annuncio dell’obbligo, prima ancora della sua implementazione, ha aumentato di molto il tasso di vaccinazione.
Credo che, per quello che riguarda l’efficacia in termini soprattutto di accresciuta vaccinazione, questa carrellata sui dati più recenti ottenuti dopo l’imposizione di vari tipi di obbligo vaccinale contro SARS-CoV-2 in diverse parti del mondo dovrebbe bastare a chiarire un punto che ritengo di fondamentale importanza: che si considerino popolazioni ben informate e molto omogenee, come gli operatori sanitari, oppure che si consideri l’effetto medio a livello nazionale e sovranazionale, come negli studi che guardano agli Usa o all’Europa, non è in nessun caso possibile stabilire univocamente che l’imposizione di obblighi vaccinali funzioni sempre e in ogni caso nell’aumentare il tasso di vaccinazione della popolazione bersaglio. E’ invece necessario considerare il contesto, cioè una serie di variabili di controllo che hanno un ruolo importante nel determinare l’effetto finale dell’imposizione, la cui conoscenza a questo punto diventa estremamente interessante per il decisore in ambito di politica sanitaria. In particolare, è evidente come l’efficacia dell’obbligo sul tasso di vaccinazione dipende fra molte altre in modo particolare dalle seguenti variabili: percentuale e tasso di vaccinazione precedenti all’obbligo, fiducia nelle istituzioni (sanitarie e no), effetto percepito della circolazione del virus nel paese ed efficacia percepita della vaccinazione.
Per quello che riguarda le prime due variabili, percentuale di vaccinati e tasso di vaccinazione precedente all’annuncio dell’obbligo, il loro effetto è stato dimostrato in diversi studi. Quando si parte da percentuali basse di vaccinati e da tassi scarsi di vaccinazione, in quelle condizioni l’obbligo tende ad avere il massimo effetto: è così che per esempio, nel citato studio di Filadelfia, la stagnante insufficiente percentuale di vaccinati fra gli operatori sanitari ha avuto un balzo dopo l’annuncio dell’obbligo e delle sanzioni corrispondenti, mentre in Nuova Zelanda, come riportato anche in questo caso in uno studio che abbiamo già citato, una percentuale di partenza di vaccinazione fra i sanitari già molto alta e soprattutto un tasso di crescita sostenuto hanno reso insensibile l’effetto dell’introduzione dell’obbligo. Lo stesso effetto della percentuale e della dinamica di vaccinazione precedente all’obbligo si è osservato in Europa, per esempio se si paragona la Francia, dove si è avuto un salto dopo l’introduzione dell’obbligo, e in Germania, ove l’effetto è stato trascurabile. In sostanza: se la popolazione è già molto vaccinata e se la sua tendenza a vaccinarsi è già buona, l’effetto dell’obbligo è sostanzialmente non misurabile, e non serve a raggiungere i pochi, ostinati antivaccinisti esistenti. Consideriamo ora la variabile molte volte invocata della fiducia nelle istituzioni. Come tutti gli interventi di natura coercitiva, l’applicabilità di un obbligo vaccinale dipende in realtà non solo dalla possibilità di dare esito alla coercizione attraverso misure come l’interdizione dal lavoro, ma anche e soprattutto dalla disponibilità della popolazione ad accettare un nuovo vincolo sociale e ad assumere un atteggiamento collaborativo con l’istituzione.
La punizione è in altre parole efficace quando limitata a pochi dal comportamento antisociale, ma impossibile quando estesa a troppi che cercano di sottrarsi all’obbligo; e l’adesione alla convenzione legale dipende per forza di cose dalla fiducia che si ha nel fatto che tale convenzione è a tutela se non nostra direttamente almeno del bene pubblico nel suo complesso. Se questa fiducia è minata, ogni obbligo vaccinale incontrerà un obbligo tanto più forte quanto più il cittadino non riconosce l’agire della politica nel nome del bene comune: come è stato dimostrato per l’Italia, laddove il cittadino non aderisce al contratto sociale, lì la vaccinazione, anche obbligatoria, incontrerà la maggiore resistenza. Per questo motivo, la convinzione del cittadino nell’aderire alla norma pubblica, cioè la sua convinzione nell’aderire al contratto sociale, è un determinante primario dell’efficacia dell’obbligo vaccinale, che rende molto difficile paragonare popolazioni diverse per desumere informazioni sull’obbligo “in astratto”. Nell’ottica del rafforzamento di questa fiducia reciproca fra stato e cittadino, val la pena di sottolineare come la comunicazione “in tempo di pace”, vale a dire non in emergenza pandemica, dell’efficacia dell’intervento vaccinale, fatta per esempio nelle scuole, accresce la volontà di adesione alle politiche sanitarie di vaccinazione, incluse quelle obbligatorie, quando queste si rendono necessari). Infine, più è efficace un vaccino (cioè maggiore è la prova che previene danni seri in presenza di un virus circolante pericoloso), più la cosa è comunicata e condivisa, maggiore sarà l’adesione – e questa è l’ultima delle variabili determinanti dell’adesione all’obbligo che abbiamo introdotto nel nostro breve elenco precedente.
Controllando le variabili che abbiamo introdotto – tasso e percentuale di vaccinazione pregressi, fiducia nelle istituzioni e patto sociale, formazione sugli effetti dell’infezione e sull’efficacia dell’intervento vaccinale – la letteratura nel suo complesso ci dice che è possibile prevedere con discreta precisione, prima della sua introduzione, quale sarà l’efficacia di un obbligo vaccinale in una popolazione, misurata in termini di aumento del tasso di vaccinazione, cioè di aumento non solo della percentuale di vaccinati, ma soprattutto della velocità a cui questo accade. Tuttavia, è legittimo e necessario chiedersi se l’obiettivo di accrescere il più rapidamente possibile la copertura vaccinale di una popolazione bersaglio utilizzando uno strumento forte come l’obbligo, una volta stabilito che le condizioni determinate dall’analisi dei parametri predetti siano soddisfatte, non abbia poi alcune controindicazioni, cioè degli effetti indesiderati.
Potenziali effetti indesiderati dell’obbligo vaccinale
Uno dei principali effetti indesiderati che si è paventato anche in Italia al momento dell’introduzione dell’obbligo di vaccinazione è che, soprattutto per quel che riguarda categorie professionali essenziali per fronteggiare la pandemia come gli operatori sanitari, proprio l’introduzione della nuova normativa, soprattutto in emergenza (e dunque senza un’adeguata comunicazione preventiva e preparazione) avrebbe portato a danni seri per l’abbandono del lavoro, volontario o forzato, di una consistente quota di coloro che erano in prima linea a fronteggiare il virus. In realtà, questo non è avvenuto né in Italia né altrove, almeno a giudicare dall’ampia revisione di 15 lavori che abbiamo citato in precedenza. In nessun caso l’esistenza di sacche di antivaccinismo fra gli operatori sanitari ha dunque costituito un problema grave pe l’imposizione dei vaccini, nonostante la vocalità di quei pochi oppositori e nonostante l’eco mediatica dei casi perseguiti a norma di legge: alla fine, è probabile che la preparazione professionale renda gli antivaccinisti irriducibili fra il personale sanitario una frazione molto più piccola di quella della popolazione generale. Alla fine, almeno negli Usa le perdite di operatori sanitari per opposizione alla vaccinazione obbligatoria sono state limitatissime, come risulta da studio condotti in Oregon, in Pennsylvania, e nel già citato studio condotto a Philadelphia.
Anche in Italia gli studi che hanno quantificato questa perdita non hanno rivelato danni grandissimi: In particolare, è stato riportato per esempio per i farmacisti della provincia di Palermo che anche fra coloro che si opponevano alla vaccinazione, molti hanno cambiato idea in prossimità della scadenza dell’ultimo giorno utile per ottemperare all’obbligo e hanno accettato la vaccinazione adducendo ragioni che includevano l’obbligo stesso, la paura del virus o potenziali limitazioni sul lavoro in caso di rifiuto. Non pare dunque che questo primo e molto temuto effetto indesiderato dell’obbligo vaccinale si sia poi verificato, almeno non su larga scala; ma ve ne sono altri che val la pena considerare. Il più importante fra questi è la possibile relazione causale fra introduzione dell’obbligo vaccinale contro un certo bersaglio e la diminuzione del tasso di adesione ad altre vaccinazioni non obbligatorie, per esempio nel caso delle vaccinazioni pediatriche e contro l’influenza. La misura di questo effetto è innanzitutto complicata dal fatto che proprio la pandemia ha costituito un importante fattore di disturbo e sospensione delle vaccinazioni, in quanto forte stressore del sistema sanitario di ogni paese, e particolarmente di quello dei paesi meno forti da questo punto di vista: siamo ancora a distanza temporale relativamente breve per affermare che la diminuzione osservata sia stata causata dall’introduzione dell’obbligo contro SARS-CoV-2, e non sia invece legata a effetti della pandemia sul sistema sanitario che si riverberano sul breve-medio periodo. Le vaccinazioni pediatriche, peraltro, sono globalmente in ripresa, ma in molti posti a metà 2023 la situazione delle istituzioni deputate ad esse era ancora difficile.
Se guardiamo agli studi prepandemici, per esempio nel caso delle vaccinazioni pediatriche, non si notano effetti negativi particolari dovuti all’introduzione dell’obbligo; tuttavia, come per i casi che riguardano la vaccinazione degli operatori sanitari, non è possibile fare generalizzazioni senza tener conto delle variabili che mediano l’efficacia dell’obbligo. Lo studio migliore di cui disponiamo, che si è svolto in Usa, ha trovato un risultato per certi versi illuminante: a seguito dell’introduzione dell’obbligo di vaccinazione contro SARS-CoV-2 in diversi stati americani e in diverse forme, non è diminuita né la fiducia nei vaccini né quella nelle istituzioni sanitarie, ma è fortemente aumentata l’opposizione all’obbligo in sé stesso, il che si è poi riflesso anche sulle vaccinazioni pediatriche, ove quelle sono obbligatori. Questo risultato è particolarmente istruttivo, perché mostra come una delle variabili discusse in precedenza – la fiducia nel patto sociale che regge lo stato – sia in realtà il punto fondamentale in gioco, ogni qualvolta si introduce una misura restrittiva della libertà individuale. Mentre il tasso di fiducia in medici, farmaci, ricercatori aumenta o diminuisce in base a fattori legati all’efficacia dei trattamenti, all’etica e all’integrità, l’adesione a un obbligo richiede una “trattativa” con chi lo impone; se questi non ha costruito un rapporto fiduciario con il cittadino, si avrà l’effetto della percezione di una prepotenza e il successivo opporsi in misura crescente a tale violenza percepita.
Questo risultato trova più e più volte conferma in studi e paesi diversi: in Germania, per esempio, si è monitorata l’evoluzione delle opinioni di quasi 2.000 residenti tedeschi nel corso della pandemia, a riguardo di temi inerenti alla vaccinazione e l’obbligo. In tutti i sondaggi, solo il 3 per cento circa della popolazione si è sempre opposto alla vaccinazione quando volontaria, ma il 16,5 per cento delle persone si è costantemente opposto alla vaccinazione obbligatoria. Inoltre, circa la metà degli intervistati ha cambiato idea nel tempo, e le variabili più strettamente legate al sostegno all’obbligo sono risultate la fiducia nel governo e la convinzione nell’efficacia del vaccino – due fra quelle che abbiamo abbondantemente discusso sin qui. Questi e moltissimi altri dati mostrano quale sia il principale fra i pericoli che si corrono nell’imporre un obbligo vaccinale: l’aumento della sfiducia e dell’opposizione alle istituzioni, che a sua volta può riflettersi fra le altre cose anche nella più bassa aderenza a ogni altra politica sanitaria, incluse le vaccinazioni pediatriche, quelle contro l’influenza o altre ancora.
Questa sfiducia, e specificamente il risentimento contro gli obblighi vaccinali, può essere capitalizzata dai movimenti antivaccinisti. Non si tratta di un problema nuovo o di un effetto non conosciuto. L’ipotesi che il vaccino contro il papillomavirus potesse diventare obbligatorio per l’accesso alle scuole in diversi stati degli Stati Uniti nel 2005-2006 spinse molte organizzazioni conservatrici a politicizzare il dibattito, esprimendo argomentazioni relative sia alla moralità sessuale che alla sicurezza ed efficacia del vaccino. Ancora più indietro nel tempo, l’approvazione di nuovi obblighi o il rafforzamento delle sanzioni furono cruciali per l’ascesa del movimento antivaccinista inglese durante il Diciannovesimo secolo e per innescare le rivolte in Brasile nel 1904, così come per l’emergere del movimento antivaccinista in Francia dopo l’ultima guerra mondiale. In sostanza, la sfiducia nelle istituzioni che può essere aumentata dall’imposizione degli obblighi vaccinali finisce per essere capitalizzata da organizzazioni diverse nell’arena politica, proprio come accade oggi nel nostro paese, e questo a sua volta innesca una spirale che porta a una ulteriore sfiducia nelle vaccinazioni, il che per quello che abbiamo visto aumenta l’opportunità per nuovi obblighi di essere efficaci, finché un governo ha la forza di imporli: è il classico cane che si morde la coda, e questo processo, se non controllato per tempo, può portare a danni irreparabili, tanto per le istituzioni che per la salute dei cittadini.
Bilanciare i pro e i contro
In un mondo ideale, nessun obbligo vaccinale sarebbe mai necessario: la ragione e il dato guiderebbero da soli i cittadini consapevoli verso la vaccinazione nei tempi e nei modi suggeriti dalla scienza. La caotica realtà è ben diversa. Da un lato, le epidemie possono forzare la mano dei governi a imporre uno o più vaccini, ma in generale è sufficiente il pericolo costituito da una bassa adesione perché questo possa avvenire, insieme alla relativa semplicità logistica e pratica di imposizione di un calendario di vaccinazioni obbligatorie, rispetto all’attesa della prenotazione a piacere di chi deve vaccinarsi o dei suoi figli. Dall’altro, l’imposizione di un obbligo provoca una reazione immediata e naturale di risentimento, se non vi è una forte adesione al patto con le istituzioni e un forte senso civico; questo, quasi sempre cavalcato con interesse proprio da chi capitalizzando quella sfiducia intende prendere il potere, provoca a sua volta una sempre maggior difficoltà nel convincere i cittadini a ogni successiva vaccinazione, e un sempre maggior ricorso all’obbligo, con una catastrofica perdita di fiducia tanto nelle istituzioni sanitarie, quanto nelle istituzioni tout-court. Come si può uscire da questo vicolo cieco? Il punto, come sempre, è quello di bilanciare i costi e i benefici previsti, proprio come prevede per esempio la legge Lorenzin attualmente vigente, secondo la quale ogni tre anni è necessario riesaminare l’opportunità di mantenere o meno l’obbligo per le dieci vaccinazioni pediatriche prese in considerazione.
I benefici da considerare sono esprimibili in termini di guadagno atteso di copertura vaccinale, che, come abbiamo visto, dipende innanzitutto dalla percentuale di partenza e dalla tendenza di crescita del tasso di vaccinazione, e, proiettando la stima di questo parametro sulla morbidità e di mortalità attesa, in termini di ospedalizzazioni e morti evitate, al crescere della copertura vaccinale. Se la tendenza di crescita della copertura vaccinale non può aumentare che di poco dopo l’introduzione di un obbligo, per esempio perché (come capitato con SARS-CoV-2 in Germania) si parte comunque da percentuali alte e da un tasso di crescita veloce, l’obbligo non può apportare alcun vantaggio; altrimenti, come accaduto in Italia, i benefici possono essere anche molto consistenti. Questi benefici, in ogni caso, saranno piagati da controeffetti tanto più pesanti, quanto meno i cittadini hanno fiducia nell’intervento sanitario proposto e nelle istituzioni in generale. Se la fiducia nelle istituzioni, in primis quelle sanitarie, e nel prodotto vaccinale è bassa, è assolutamente necessario considerare che un obbligo potrebbe ulteriormente indebolirla, causando più problemi di quanto si intenda risolvere. Per questo, in stati a senso civico non elevatissimo o in caduta libera, è necessario affiancare gli obblighi con un’estesa campagna di sensibilizzazione, che passi per le scuole, per i medici di base e per ogni possibile occasione pubblica, in cui siano esposti tanto i vantaggi dell’intervento sanitario proposto, quanto le motivazioni per tale intervento, motivazioni che devono essere stringenti abbastanza da convincere della sua necessità.
Infine, la politicizzazione delle misure di sanità pubblica va denunciata per quella che è: un tentativo di guadagnare consenso (in un senso o nell’altro) cavalcando tempi che dovrebbero essere salvaguardati dalla protesta anti-sistema così come dalle manifestazioni di piazza e dalle dichiarazioni improvvide dei politici di ogni colore. Infine, quindi, per quel che riguarda l’Italia, abbiamo bisogno di obblighi vaccinali? Il piccolo esame qui proposto ci dice che tanto per il SARS-CoV-2 durante la pandemia, quanto per le vaccinazioni pediatriche attualmente obbligatorie, tanto per altre vaccinazioni ancora l’Italia è nelle condizioni in cui questo può essere utile. Ma se non si vuole che i danni superino i benefici, l’intera classe politica deve imparare una lezione fondamentale. La politica, quando è all’opposizione, è l’arte di raccogliere e organizzare il malcontento; ma certe forme di malcontento e rifiuto del patto sociale, come quelle legate all’opposizione alle vaccinazioni, attentano alla sopravvivenza stessa del corpo sociale di cui anche chi oggi è all’opposizione (magari interna alla maggioranza) vorrebbe mettersi alla guida, e come tali dovrebbero essere tenute fuori dall’arena politica.
Allo stesso tempo, anche chi è oggi in maggioranza, come l’avvocato Lisei, dovrebbe ben ricordare che è compito del governo e della politica in generale promuovere le condizioni che rendano più efficaci possibili le misure sanitarie di cui disponiamo, ed è dunque responsabilità di tutti i singoli politici creare un clima di fiducia nelle istituzioni sanitarie, nella scienza e nello stato perché ci si vaccini, non perché ci si opponga ad essi. Il tempo in cui serviranno altri vaccini, per malattie anche ben più gravi di quelle che abbiamo sperimentato, è probabilmente prossimo, se guardiamo a cosa sta succedendo nel mondo: vogliamo farci trovare con una popolazione sfiduciata e ignorante, che non presta più ascolto ai medici, oppure vogliamo preparare il nostro paese a quello che prima o poi certamente succederà?