AGI – È indagato per falsa testimonianza il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, e con lui, per la stessa accusa, il vicario giudiziale Vincenzo Murgano. L’ipotesi di reato viene contestata dalla procura di Enna in merito alla vicenda del sacerdote Giuseppe Rugolo, condannato a 4 anni e 6 mesi per abusi sessuali aggravati su minori. “Finalmente si arriva alla logica conseguenza di quanto è emerso nel corso del processo e delle indagini”, afferma ad AGI la vittima, Antonio Messina. Si dicono “Sereni” ed esprimono “fiducia incondizionata nella verità e nella magistratura”, gli indagati, si limita a commentare l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali.
A luglio erano state depositate le motivazioni della sentenza che hanno chiarito il riconoscimento della responsabilità civile attribuita dal tribunale di Enna alla Curia di Piazza Armerina che, “colpevolmente”, non avrebbe preso le opportune precauzioni per evitare che il prete pedofilo portasse a termine le sue condotte nei confronti di giovani che frequentavano la sua parrocchia di Enna malgrado il giovane abusato (oggi maggiorenne) si fosse rivolto ad alcuni sacerdoti. Al prelato è già stato notificato l’avviso di conclusione indagini.
La vittima denunciò i fatti alla polizia dopo averli vanamente segnalati ai vertici della diocesi, compreso il vescovo Rosario Gisana. Inoltre, le motivazioni del collegio giudicante, avevano sottolineato che il vescovo avrebbe facilitato gli abusi con un comportamento omissivo. In sostanza i vertici della Curia avrebbero omesso di attuare le necessarie iniziative a tutela dei minori e dei loro genitori. Questo “nonostante – si legge nelle motivazioni – la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell’ambito della funzione di tutela dei fedeli, facilitando l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione. La condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana – si legge ancora – rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo”.
I giudici sottolineano anche che il vescovo aveva “evidentemente autorizzato padre Rugolo come figura di riferimento dell’associazione 360 da lui fondata a operare all’interno della chiesa Madre consentendogli in tal modo con la piena compiacenza della diocesi di creare occasioni di incontro e frequentazioni con i giovani adolescenti”. Dopo il deposito delle motivazioni, la vittima aveva presentato un esposto che avrebbe portato all’apertura dell’inchiesta sui vertici della Diocesi armerina e all’iscrizione nel registro degli indagati del vescovo e del vicario giudiziale.