• 26 Ottobre 2024 19:31

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“La ‘Ndrangheta mi vuole morto, lo Stato mi nega la scorta”

Ott 26, 2024

AGI – “Lo Stato non sa cosa soffre un testimone di giustizia, i boss fanno terra bruciata intorno a chi si oppone a loro”. Tiberio Bentivoglio, imprenditore di Reggio Calabria, è nel mirino della ‘ndrangheta dal 1992. Non è una metafora, perché il 9 febbraio 2011 qualcuno gli sparò per ucciderlo. A salvarlo dai colpi del killer fu il marsupio che indossava e che fermò il proiettile a lui diretto.

“Da allora – dice all’AGI – c’è in giro un killer che non ha un nome e non ha un volto né si sa se abita davanti a casa mia”. Qualcuno ha decretato che Bentivoglio paghi il suo no alle richieste di denaro delle ‘ndrine. Ci sono 6 procedimenti penali in atto scaturiti dalle sue denunce, perché l’imprenditore reggino, titolare con la moglie di un negozio di materiale sanitario, ha fatto nomi e cognomi di mandanti ed esecutori.

“Ho ricevuto centinaia di lettere di minacce, tante – sostiene – che non bastano due raccoglitori per contenerle”. Nei giorni scorsi l’ultimo avvertimento: qualcuno ha bruciato un deposito in cui custodisce dei mezzi agricoli adibiti alla coltivazione di un frutteto nel rione Orti’ di Reggio, dove risiede.

Ma la vicenda di Bentivoglio è veramente paradossale: il 23 aprile scorso, con una telefonata, gli è stata comunicata la decisione delle autorità preposte di revocargli la scorta. “Ero a centinaia di chilometri da Reggio quando sono stato informato della decisione. Non sapevo – spiega – nemmeno come tornare a casa, se con gli agenti che mi accompagnavano oppure a mie spese, da solo. Non so nemmeno chi abbia firmato il provvedimento né quali siano le ragioni”.

Per quindici giorni l’imprenditore si è barricato in casa, senza protezione. Nel frattempo il suo avvocato ha presentato un ricorso al Tar del Lazio. “Il presidente del Tribunale – racconta – ha fatto sapere di avere bisogno di tempo per leggere bene il contenuto del mio ricorso e le ragioni della revoca della protezione, per cui è stata fissata un’udienza a Roma che si terrà in novembre”. 

Nel frattempo, in attesa del pronunciamento del Tar, Bentivoglio ha riavuto temporaneamente la scorta. “In questi anni – racconta – ho subito decine di intimidazioni: da una bombola di gas lasciata davanti alla mia proprietà a delle salsicce attaccate alla mia porta solo per citarne due”. Messaggi chiari nel linguaggio oscuro della ‘ndrangheta.

Nei prossimi giorni sarà ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia, come ha reso noto la senatrice reggina Tilde Minasi. “Sono stato ascoltato da tutte le maggioranze di governo e intendo parlare anche con quella attuale. Bisogna intervenire – spiega – sul piano legislativo per modificare alcune normative, a partire da quella sulla destinazione dei beni confiscati. Il mio negozio è in un fabbricato confiscato a un boss, ma devo pagare l’affitto perché la legge prevede che solo le onlus e le società no profit possano beneficiare dei beni confiscati senza oneri. È opportuno che questa opportunità sia estesa anche ai testimoni di giustizia e alle vittime di mafia. Nel 1988 – aggiunge – il mio negozio fatturava 2 miliardi di lire, oggi, dopo quanto è successo, battiamo solo qualche scontrino, 4 o 5 al giorno. Questo perché chi si ribella alla ‘ndrangheta viene etichettato come un infame e la gente viene indotta a non entrare nel suo negozio. La mia casa è ipotecata dallo Stato. La vendetta delle mafie non ha scadenza, si tramanda di padre in figlio. Giovanni Falcone parlava della mafia indicando due animali: la pantera per la ferocia e l’elefante per la memoria. Chi si ribella – dice con amarezza – deve pagare anche dopo tanti anni. Questo sembra che le istituzioni lo abbiano dimenticato. Non ne faccio una questione politica, non distinguo fra destra e sinistra, anzi ritengono che su questi argomenti destra e sinistra dovrebbero marciare unite”.

Intanto, Tiberio Bentivoglio attende di conoscere il suo destino. “Andrò in udienza al Tar del Lazio, mi metterò in viaggio e affronterò altre spese – dichiara – in cerca di giustizia”.

Il calvario di Tiberio Bentivoglio

È un vero e proprio calvario quello subito da Tiberio Bentivoglio, l’imprenditore di Reggio Calabria bersagliato dalla ‘ndrangheta per la sua opposizione alle richieste estorsive di clan a cui è stata revocata la scorta. Nel 1979 nasce nella città calabrese la sua attività denominata Sanitaria S. Elia che opera nel settore della Prima Infanzia e che l’uomo gestisce con la moglie.

Nel 1992 inizia l’odissea. Il 14 marzo la coppia viene avvicinata da un mafioso e riceve le prime richieste estorsive. I coniugi decisero di denunciare, ma il “no” alla ‘ndrangheta li costringe a subire il primo evento doloso, un furto avvenuto 10 luglio 1992. Il 13 luglio 1998, dopo altre richieste estorsive, un altro furto nei locali adibiti a deposito e poi l’incendio di un furgone.

Il 5 aprile 2003 una potente bomba devasta il negozio e iniziarono i primi procedimenti penali con la costituzione di parte civile, ma alla scelta seguono minacce telefoniche e missive anonime. Bentivoglio e la moglie non diserteranno nessuna delle numerose udienze nei processi che li vedono parte offesa. Il 13 aprile 2005 un incendio di vaste dimensioni distrugge completamente la loro attività. Con l’aiuto economico di amici e parenti, i coniugi ripartono da zero.

Il 24 giugno 2005 giunse una telefonata anonima di minacce cui seguono due lettere anonime con gravi minacce e richiesta di denaro. Il 29 giugno dell’anno seguente una telefonata minacciosa viene rivolta a una dipendente, l’anno successivo una lettera con un chiaro messaggio di usura.

Il 9 agosto 2007 Bentivoglio presenta una denuncia contro un sacerdote. L’uomo viene processato ma prosciolto per scadenza dei termini; il 16 novembre dello stesso anno l’imprenditore presenta un’altra denuncia dopo aver ricevuto dei proiettili. Il 25 dicembre successivo Bentivoglio riceve un panettone con la scritta “Auguri Sbirro”, poi altre minacce per mezzo di lettere. Intanto l’attività economica comincia risentire dell’isolamento in cui Bentivoglio e la moglie si trovano. I risarcimenti per gli effetti della legge 44/99 arrivano dopo 3/4 anni, non si riesce più a pagare neanche i canoni d’affitto.

I numerosi clienti di un tempo non esistono più, la scelta di denunciare determina un deserto intorno all’attività. I contributi non si possono più pagare e lo Stato ipoteca la casa dell’imprenditore che rischia la vendita all’asta dell’immobile, tuttora ipotecato. Bentivoglio deve licenziare i dipendenti ma non può dare subito loro il TFR, cosa che farà in seguito con una quota mensile. Gli atti ingiuntivi dei fornitori intanto si susseguono e la ditta perde il certificato Durc per cui non può partecipare a nessuna gara d’appalto e neanche rifornire gli enti pubblici.

Arriva il fermo amministrativo delle macchine e dei mezzi di lavoro e successivamente lo sfratto: occorre lasciare liberi i locali adibiti alla vendita. Il 13 giugno 2008 viene dato alle fiamme un capannone adibito a deposito merce, mentre non si fermano le lettere anonime di minacce. Il 9 febbraio del 2011 il tentato omicidio.

Tentano di uccidere Bentivoglio sparandogli 6 colpi di pistola calibro 7,65. Gli salva la vita un marsupio di cuoio che portava a tracolla sulla schiena, dove è stato trovato uno dei sei proiettili rimasto incastonato nei miei portafogli. Da quel giorno l’uomo vive sotto scorta. Dopo tre anni il caso è archiviato perché le indagini non portano a nulla. Il 5 aprile 2012 viene fatta recapitare all’imprenditore una copia del suo primo libro bruciacchiata, recante la dicitura “Colpito. Per ora”.

Due anni dopo gli agenti della scorta rinvengono un sacchetto di plastica con dentro della salciccia e lettera di minacce. Il sacchetto era appeso nel cancello del suo frutteto. Avviliti, i coniugi fanno richiesta per avere un bene confiscato ma non possono ottenerlo averlo in concessione gratuita perché la legge 109 /1996 non lo prevede.

Finalmente individuiamo un locale con caratteristiche idonee ma devono pagare un canone molto alto e affrontare numerosi lavori di restauro per renderlo agibile. Mentre si svolgono i lavori per rendere agibile quella struttura, ignoti danno fuoco al deposito dove era immagazzinata tutta la merce da trasportare in seguito nella nuova struttura. Il 29 febbraio 2016 qualcuno Incendia il deposito aziendale di via Zerbi.

Nel frattempo l’imprenditore presenta altre denunce per calunnie e minacce pronunciate davanti ai militari di scorta. È tutto un crescendo di buste anonime (una contenente 14 pallettoni di piombo)e intimidazioni. Il 29 Luglio 2020 qualcuno lascia un contenitore di plastica nel cortile del negozio, contenente benzina, mentre il 3 ottobre 2020 gli agenti della scorta trovano davanti al cancello del frutteto di Benitivoglio, lo stesso posto dove gli avevano sparato, una bombola piena di gas con miccia.

Il 26 agosto 2021 l’imprenditore riceve una missiva anonima contenente un fazzoletto imbevuto di sangue e delle frasi minacciose; il 16 giugno 2022 ignoti tagliano il lucchetto della sua casa a mare lasciando un accendino sulla porta. L’ultimo atto pochi giorni fa, quando vengono distrutti da un incendio i locali con i mezzi di lavoro per coltivale il frutteto.

 

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