• 28 Novembre 2024 6:41

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10 cose che forse non sai su Julio Velasco

Set 20, 2024

AGI – Julio Velasco a tutto tondo. Dall’infanzia difficile in Argentina al’arrivo in Italia, dalla pallavolo alla politica passando per le vittorie con la nazionale italiana e le battaglie civili. Con un giudizio sulla contemporaneità, dalla cittadinanza per i ragazzi di seconda generazione nati e cresciuti in Italia all’ascesa di Milei nel paese sudamericano. Il dialogo con Aldo Cazzullo riempie due pagine del Corriere della Sera ma è denso di significati, valori e messaggi che il ct della nazionale femminile di volley lancia alle vecchie e alle nuove generazioni. Ecco i passi più importanti:

 

1) L’importanza della famiglia 

Velasco racconta dell’importanza delle figure genitoriali. Dalla madre, insegnante, che dovette prendersi cura dei figli dopo la morte prematura del marito, al fratello, studente di medicina che scomparve per un mese e mezzo. “Fu terribile, ne uscì devastato. Quando tornò non era più lo stesso”. Morì giovane e fu testimone “nei processi che si svolsero con il ritorno della democrazia nel 1983”. 

 

2) La fuga e la pallavolo

Il commissario tecnico racconta come, da giovane, si rifugiò a Buenos Aires per sfuggire alla repressione portata avanti dal regime di Videla. Lì inizio ad allenare i bambini, “a innamorarmi del mio lavoro”, e a fare tutta una serie di piccole occupazioni per mantenersi, dal lavavetri alle pulizie. E studiava di notte, unico momento della giornata per tenersi al passo con quello che avrebbe insegnato su un campo di gioco. “I primi due anni sono stati duri, poi la pallavolo mi ha salvato”.

 

3) Il Papa e Milei

Sono due temi toccati durante l’intervista al Corriere. Per Bergoglio, Velasco ha parole molto dolci: “Non è un peronista. È uno che ha capito che, se non si avvicina ai poveri, la Chiesa cattolica, almeno in America Latina, perderà i suoi fedeli”. Molto più duro è il giudizio sul neo presidente argentino: “Non riesco a credere che sia diventato presidente. La sua vittoria misura il disastro della politica argentina”.

 

4) Gli inizi e i fattori vincenti

Velasco racconta la trafila che lo ha portato a essere il tecnico amato e osannato di oggi: dagli inizi, con i ragazzi, al Defensores de Banfield, alla promozione in prima squadra al Ferro Carril con la vittoria di quattro scudetti di fila. Gli inizi con il team della nazionale albiceleste furono importanti per girare il mondo, conoscere altri modi di intendere il gioco e scoprire altri sistemi di allenamento applicati in europa e in Asia. Poi l’opportunità a Jesi, in Italia, e successivamente i 4 scudetti con Modena. Velasco, nell’intervista spiega qual è il vero mestiere dell’allenatore: “È prima di tutto un insegnante e deve uccidere il giocatore che è stato. Se non lo fa rischia di fallire. Capello, Guardiola e Ancelotti ci sono riusciti. Maradona e Platini, no”. 

 

5) Empatia e fiducia

Velasco insiste molto su questi due elementi. Come allenatore “devi capire che l’altro e altro, diverso da te, e devi motivarlo con la sua motivazione, e non con la tua”. La nazionale azzurra maschile (quella di Giani, Bernardi, Lucchetta, Zorzi) si trasformò sotto la sua guida: “Il punto è che avevo fiducia in loro. È come con i figli: i figli capiscono quando i loro genitori non hanno fiducia e non dicono la verità”. 

 

6) Il dialogo con Egonu

Paola Egonu è stata centrale nella vittoria dell’oro olimpico a Parigi ma, negli ultimi mesi, anche centrale in questioni politiche extra campo. Velasco racconta come l’ha motivata affinché desse il meglio ai Giochi: “Le ho detto che il personaggio Paola Egonu era una cosa, la persona un’altra. A me interessava parlare con Paola e dirle che su certe cose – razzismo, insinuazioni – io l’avrei difesa sempre e comunque. Sulle altre cose l’avrei trattata come le altre”. 

 

 

7) La differenza nell’allenare uomini e donne

L’allenatore argentino è molto netto: “Le donne hanno il terrore di sbagliare perché per millenni hanno pagato gli errori con le botte degli uomini. Quindi a volte vanno incoraggiate. Per il resto sono straordinarie, e imparano in fretta”. Ma le cose tanno cambiando. “Il mondo è ancora maschilista ma la rivoluzione silenziosa delle donne avanza”.

 

8) La questione della cittadinanza

Il 72enne racconta il suo punto di vista su uno dei temi politici più caldi dell’estate. “Salvini dice che l’Italia è il Paese che ne concede di più. È vero ma proprio perché vige il diritto di sangue, e basta avere un bisavolo italiano per diventare italiani.; mentre non sono italiani ragazzi nati e cresciuti qui. Per fortuna Egonu, Silla e altre sono diventate italiane prima di compiere 18 anni, quando lo sono diventati i loro genitori: altrimenti non avrebbero potuto giocare per la nazionale”.

 

9) Il doping

Velasco ribadisce alcune posizioni già espresse in passato. “È un problema serissimo, come la corruzione. Non si può accusare nessuno senza prove ma il doping c’è. A volte è sistemico, altre volte di squadra, ma molte volte è anche individuale”.

 

10) La fede e la morte

Domanda secca di Cazzullo: “Lei credi in Dio?”. Risposta: “Ci credevo”.  Poi Velasco spiega di non aver paura della morte ma di sperare sia “veloce e inaspettata. Che mi colga mentre sto facendo una cosa nuova o risolvendo un problema. L’idea della pensione mi fa orrore”.

 

 

 

 

 

AGI – Julio Velasco a tutto tondo. Dall’infanzia difficile in Argentina al’arrivo in Italia, dalla pallavolo alla politica passando per le vittorie con la nazionale italiana e le battaglie civili. Con un giudizio sulla contemporaneità, dalla cittadinanza per i ragazzi di seconda generazione nati e cresciuti in Italia all’ascesa di Milei nel paese sudamericano. Il dialogo con Aldo Cazzullo riempie due pagine del Corriere della Sera ma è denso di significati, valori e messaggi che il ct della nazionale femminile di volley lancia alle vecchie e alle nuove generazioni. Ecco i passi più importanti:
 
1) L’importanza della famiglia 
Velasco racconta dell’importanza delle figure genitoriali. Dalla madre, insegnante, che dovette prendersi cura dei figli dopo la morte prematura del marito, al fratello, studente di medicina che scomparve per un mese e mezzo. “Fu terribile, ne uscì devastato. Quando tornò non era più lo stesso”. Morì giovane e fu testimone “nei processi che si svolsero con il ritorno della democrazia nel 1983”. 
 
2) La fuga e la pallavolo
Il commissario tecnico racconta come, da giovane, si rifugiò a Buenos Aires per sfuggire alla repressione portata avanti dal regime di Videla. Lì inizio ad allenare i bambini, “a innamorarmi del mio lavoro”, e a fare tutta una serie di piccole occupazioni per mantenersi, dal lavavetri alle pulizie. E studiava di notte, unico momento della giornata per tenersi al passo con quello che avrebbe insegnato su un campo di gioco. “I primi due anni sono stati duri, poi la pallavolo mi ha salvato”.
 
3) Il Papa e Milei
Sono due temi toccati durante l’intervista al Corriere. Per Bergoglio, Velasco ha parole molto dolci: “Non è un peronista. È uno che ha capito che, se non si avvicina ai poveri, la Chiesa cattolica, almeno in America Latina, perderà i suoi fedeli”. Molto più duro è il giudizio sul neo presidente argentino: “Non riesco a credere che sia diventato presidente. La sua vittoria misura il disastro della politica argentina”.
 
4) Gli inizi e i fattori vincenti
Velasco racconta la trafila che lo ha portato a essere il tecnico amato e osannato di oggi: dagli inizi, con i ragazzi, al Defensores de Banfield, alla promozione in prima squadra al Ferro Carril con la vittoria di quattro scudetti di fila. Gli inizi con il team della nazionale albiceleste furono importanti per girare il mondo, conoscere altri modi di intendere il gioco e scoprire altri sistemi di allenamento applicati in europa e in Asia. Poi l’opportunità a Jesi, in Italia, e successivamente i 4 scudetti con Modena. Velasco, nell’intervista spiega qual è il vero mestiere dell’allenatore: “È prima di tutto un insegnante e deve uccidere il giocatore che è stato. Se non lo fa rischia di fallire. Capello, Guardiola e Ancelotti ci sono riusciti. Maradona e Platini, no”. 
 
5) Empatia e fiducia
Velasco insiste molto su questi due elementi. Come allenatore “devi capire che l’altro e altro, diverso da te, e devi motivarlo con la sua motivazione, e non con la tua”. La nazionale azzurra maschile (quella di Giani, Bernardi, Lucchetta, Zorzi) si trasformò sotto la sua guida: “Il punto è che avevo fiducia in loro. È come con i figli: i figli capiscono quando i loro genitori non hanno fiducia e non dicono la verità”. 
 
6) Il dialogo con Egonu
Paola Egonu è stata centrale nella vittoria dell’oro olimpico a Parigi ma, negli ultimi mesi, anche centrale in questioni politiche extra campo. Velasco racconta come l’ha motivata affinché desse il meglio ai Giochi: “Le ho detto che il personaggio Paola Egonu era una cosa, la persona un’altra. A me interessava parlare con Paola e dirle che su certe cose – razzismo, insinuazioni – io l’avrei difesa sempre e comunque. Sulle altre cose l’avrei trattata come le altre”. 
 

 
7) La differenza nell’allenare uomini e donne
L’allenatore argentino è molto netto: “Le donne hanno il terrore di sbagliare perché per millenni hanno pagato gli errori con le botte degli uomini. Quindi a volte vanno incoraggiate. Per il resto sono straordinarie, e imparano in fretta”. Ma le cose tanno cambiando. “Il mondo è ancora maschilista ma la rivoluzione silenziosa delle donne avanza”.
 
8) La questione della cittadinanza
Il 72enne racconta il suo punto di vista su uno dei temi politici più caldi dell’estate. “Salvini dice che l’Italia è il Paese che ne concede di più. È vero ma proprio perché vige il diritto di sangue, e basta avere un bisavolo italiano per diventare italiani.; mentre non sono italiani ragazzi nati e cresciuti qui. Per fortuna Egonu, Silla e altre sono diventate italiane prima di compiere 18 anni, quando lo sono diventati i loro genitori: altrimenti non avrebbero potuto giocare per la nazionale”.
 
9) Il doping
Velasco ribadisce alcune posizioni già espresse in passato. “È un problema serissimo, come la corruzione. Non si può accusare nessuno senza prove ma il doping c’è. A volte è sistemico, altre volte di squadra, ma molte volte è anche individuale”.
 
10) La fede e la morte
Domanda secca di Cazzullo: “Lei credi in Dio?”. Risposta: “Ci credevo”.  Poi Velasco spiega di non aver paura della morte ma di sperare sia “veloce e inaspettata. Che mi colga mentre sto facendo una cosa nuova o risolvendo un problema. L’idea della pensione mi fa orrore”.
 
 
 
 
 

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