• 23 Novembre 2024 6:41

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“Forma Maris” come l’Intelligenza Artificiale può aiutare l’archeologia marina

Set 5, 2024

AGI –  Due giorni per approfondire il ruolo cruciale delle tecnologie subacquee nel documentare, studiare e conservare i tesori dell’archeologia nonché le modalità di esplorazione di siti sommersi che sarebbero altrimenti inaccessibili. Si svolge, il 5 e 6 settembre, il workshop “FORMA MARIS. Sistemi per la conoscenza e la mappatura del patrimonio subacqueo” promosso dall’Università del Salento (Dipartimento di Beni Culturali e DiSTeBA) con la Fondazione Leonardo e la Marina Militare nell’ambito dell’iniziativa “Civiltà del Mare – Le Università per il Subacqueo”. Da tempo quella del subacqueo è una dimensione che sta assumendo un ruolo centrale nel dibattito geopolitico. Gli abissi custodiscono materie prime, ospitano linee di comunicazione e trasporto di dati e risorse energetiche, ospitano flotte e sottomarine, sono l’habitat da cui nasce la vita, con una produzione di oltre il 50% dell’ossigeno disponibile, un assorbimento del 30% dell’anidride carbonica prodotta a dal pianeta – si stima 22 milioni di tonnellate di gas serra quotidiani – e un patrimonio di biodiversità pari ai 4/5 del patrimonio globale.

 

AGI ne parla con Vincenzo Pisani, Coordinatore dei Progetti di Ricerca della Fondazione Leonardo

 

A Lecce il 5 e 6 settembre verrà presentato Forma Maris. Un progetto importante sull’archeologia marina e le nuove tecnologie. In che modo l’AI potrà aiutare il lavoro dell’uomo nella scoperta dei fondali marini?
Se pensiamo che oggi grazie all’I.A. è possibile “insegnare” alle macchine nuove operazioni e migliorare progressivamente le proprie capacità, è facile immaginare quanto potrà fare la differenza istruirle su cosa cercare e dove, arrivando a scandagliare i fondali marini e individuare, ad esempio, relitti affondati nelle profondità oceaniche. Ma, ed è uno dei temi di “Forma Maris”, sono molteplici le tecnologie che possono venire incontro alle sfide poste dal lavoro dell’archeologia marina, dalla peculiarità dell’ambiente in cui si opera, dalla mole dei dati da raccogliere e analizzare.  Un prezioso contributo ci arriva, solo per fare alcuni esempi, dall’utilizzo della fotogrammetria subacquea, nonché dall’integrazione di vari tipi di telecamere e sensori – come sonar e multibeam – installati su droni sottomarini o di superficie telecomandati. Le nuove metodologie consentono anche la documentazione e la mappatura di profondità maggiori – precluse a operatori umani – ed estensioni notevoli di fondale. Inoltre, il patrimonio subacqueo è attualmente riservato ai professionisti e ai subacquei sportivi: le tecnologie possono invece consentire l’accessibilità “ampliata”, la fruizione e la condivisione dei paesaggi sottomarini attraverso modelli 3D e percorsi immersivi o semi-immersivi, restituendo alle comunità un patrimonio “invisibile” o comunque ancora privilegio per pochi”.

A livello generale, quanto gli abissi sono centrali negli equilibri geopolitici e perché?
Come emerso lo scorso 29 febbraio a La Sapienza di Roma nel primo degli appuntamenti del progetto “Le Università per il Subacqueo” – che abbiamo avviato da oltre un anno (giugno 2023) in collaborazione con la Marina Militare e che ha già visto aderire oltre cinquanta atenei italiani – sono molte le questioni in gioco: il transito dei cavi e delle condotte sottomarini, così come le risorse minerarie accertate e potenziali che presenti nei fondali. Se guardiamo al settore energetico, il caso del sabotaggio delle condotte Nord Stream e Nord Stream 2 ha reso ancor più evidente quanto la questione sicurezza delle infrastrutture sottomarine possa avere un diretto impatto sugli equilibri internazionali. Allo stesso tempo, se il 99% del traffico Internet mondiale transita sotto i mari e la maggior parte è generato dalle grandi piattaforme digitali come Google e Meta, è facile comprendere il peso economico e politico degli attori in gioco. D’altronde la corsa alla conquista di giacimenti di terre rare e altri materiali critici, ancora una volta, rimette al centro del dibattito lo sfruttamento dei fondali marini, in uno delicato e complesso equilibrio tra la necessità di reperire elementi cruciali per lo sviluppo delle tecnologie green e la doverosa tutela dell’ambiente biomarino.

Secondo le stime dell’Ocse la Blue Economy vale circa 1500 miliardi di euro (pari al Pil della Spagna). Cosa le manca per diventare un asset centrale?
Dall’economia del mare e degli oceani dipendono direttamente – a livello globale – oltre 3 miliardi di persone (il 40% della popolazione mondiale) e sulla loro superficie corre oltre l’80% del commercio mondiale di merci. I settori economici legati a mari e oceani ‒ inclusi comparti consolidati quali pesca commerciale e trasformazione dei prodotti ittici, acquacoltura, cantieristica navale e riparazioni, produzione offshore di petrolio e gas, attività portuali, commercio marittimo e settori emergenti come lo sfruttamento delle energie rinnovabili ‒ generano annualmente ricavi per 5.200 miliardi di USD, rappresentando un pilastro dell’economia globale. Di questi, 2.600 miliardi di USD di valore aggiunto lordo (VAL), con 2/3 generati nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Pacifico e 168 milioni di posti di lavoro. Complessivamente, infatti, mari e oceani apportano un contributo del 3,3% all’intera economia globale in termini di VAL, facendone il settimo settore economico del mondo. Di tutto questo straordinario valore, nel nostro Paese, che pure è al centro del Mediterraneo, ce ne stiamo accorgendo soltanto negli ultimi anni. La promozione dell’economia del mare richiede una visione olistica, che passi da diversi settori e in sinergia tra diverse istituzioni e tra pubblico e primato, investendo in risorse economiche, in competenze, formazione e in tecnologie. Da questo punto vista,  va detto che stiamo finalmente assistendo a un favorevole cambio di rotta. 

In Italia ci sono iniziative recenti in favore della Blue Economy?
L’inaugurazione del Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, il 12 dicembre 2023 a La Spezia e la realizzazione del primo Piano del Mare vanno nella direzione giusta direzione, dotando il Paese da un lato di un vero e proprio incubatore delle tecnologie per la sicurezza del dominio sottomarino, e dall’altro di uno strumento essenziale per costruire un indirizzo strategico unitario nell’ambito della politica marittima nazionale. Non meno importante è l’impegno del tavolo di lavoro interministeriale, presieduto e coordinato dal Ministero per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, che sta attualmente redigendo un disegno di legge per regolamentare le attività subacquee e addivenire all’istituzione di un’Autorità per il Controllo delle Attività Subacquee: più va avanti l’innovazione tecnologica, più l’ambiente sottomarino diviene accessibile, più è necessario e urgente normare le attività e le responsabilità di chi opera in tale dimensione.
 
Il ragionamento sul “subacqueo” quanto va di pari passo con quello dell’economia dello spazio?
Si tratta di due asset strategici che presentano molte interconnessioni. Un esempio concreto: attraverso costellazioni satellitari come Copernicus, il programma dell’Unione Europea per l’Osservazione della Terra, arrivano ogni giorno enormi quantità di dati che, processati e integrati con banche dati territoriali, possono supportare il monitoraggio ambientale e la gestione di varie attività, come quelle collegate alla portualità. Non è dunque un caso se in Italia si sta lavorando in parallelo tanto alla regolamentazione dello Spazio quanto del Subacqueo. Due disegni di legge su cui il Presidente Violante, attraverso il network di competenze creato in questi anni con i filoni di ricerca Civiltà del Mare e Civiltà dello Spazio, ha dato e sta continuando a dare un grande contributo.

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