La geografia delle estati italiane non è solo un trionfo di località balneari e montane, da turismo d’ombrellone o camminate. A volte, quasi ogni anno, prendono il sopravvento paesi e città, borghi e cittadine che sono ben distanti dai desideri vacanzieri. Quest’anno è stato il turno di Terno d’Isola, nemmeno ottomila anime in provincia di Bergamo, lì dove nella notte tra il 29 e 30 luglio venne ritrovato il cadavere di Sharon Verzeni.
Va così da un po’, forse da sempre. Senz’altro da un giorno di luglio del 1927.
Ostia dista da Milano più o meno seicento chilometri. Sono parecchi oggi, un’enormità nel 1927. Eppure sul finire del luglio del 1927 di Ostia a Milano se ne parlava moltissimo. Se ne parlava nelle osterie, nei luoghi di lavoro e nei dopolavoro, ne parlavano uomini benvestiti e altri in tuta da operaio. Se ne parlava perché in quei giorni di luglio ci fu il rinvenimento del corpo di Giuseppe Braga, per la precisione il 25 luglio nella pineta della località balneare romana. L’uomo era stato ucciso con “un colpo d’arma da fuoco alla regione temporale sinistra” e sul suo cadavere “si sono trovate alcune fotografie, 850 lire in biglietti di taglio diverso ed una patente di abilitazione a condurre automobili”.
Lorenzo Montano a Ostia era stato ospite di un facoltoso uomo d’affari che aveva conosciuto a Roma nei giorni del suo ricovero dopo essere stato al fronte nel corso della prima guerra mondiale.
Era quella un’estate calda, animata dal processo a Sacco e Vanzetti. Soprattutto era la prima estate fascistissima con il regime che, a cinque anni dalla presa del potere, aveva dato la prima importante stretta alla divulgazione di casi di cronaca nera sulle pagine dei giornali. Nonostante questo però a Milano si parlava di Ostia, dell’omicidio di Giuseppe Braga.
Fu osservando e udendo tutto questo interesse che Lorenzo Montano si convinse di provare a realizzare davvero il progetto che aveva in mente. Pochi mesi dopo si presentò alla porta di Arnoldo Mondadori e gli spiegò perché in Italia non poteva mancare una collana letteraria che unisse il meglio della letteratura poliziesca. Arnoldo Mondadori si dimostrò interessato e tra loro iniziò un lungo carteggio che due anni dopo portò in libreria i cosiddetti “Gialli Mondadori”.
I polizieschi in Italia erano già stati pubblicati, senza grande successo commerciale. Lorenzo Montano provò a spiegare ad Arnoldo Mondadori il perché. Scrisse: “Non credo dirle nulla di nuovo se affermo che la qualità delle traduzioni influirà sensibilmente sulla riuscita. […] Se il romanzo si è diffuso così poco da noi ciò, infatti, è dovuto in buona parte, come Ella sa, alle pessime traduzioni […] Una collezione di questo genere non domanda certo grandi raffinatezze di lingua e di stile, ma vuole tuttavia delle traduzioni sciolte e vivaci che si facciano leggere facilmente e piacevolmente”.
Poi, in una lettera successiva, spiegò che “nell’italiano si pareggiano per grado di presenza sia l’essere vittima sia l’essere carnefice. Vi è inoltre una notevole tendenza al guardonismo, ossia alla curiosità indefessa che li conduce nell’immischiarsi nei fatti altrui, in particolare modo quando questi sono scabrosi o violenti. Una curiosità che raggiunge il picco in periodo estivo quando i tempi della vita urbana si allungano”.
I primi romanzi (La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine, L’uomo dai due corpi di Edgar Wallace, Il Club dei suicidi, racconti di Robert Luis Stevenson, Il mistero delle due cugine di Anna Katherine Green) furono pubblicati, tutti con copertina gialla e al prezzo di 5,50 lire, a novembre.
Le vendite furono buone sin da subito, ma non spettacolari. Fu con l’estate alle porte che divennero “sensazionali” a dire proprio di Arnoldo Mondadori.
Il perché del successo lo sintetizzò Antonio Gramsci nel 1934: “Questi libri a modo loro sono un elemento attuale di cultura degradata quanto si vuole, ma sentita vivamente”, perché “è sempre viva la curiosità e, spesso, l’affascinazione per il torbido e il delittuoso”. Sottolineò inoltre che “più lunghe e calde sono le giornate più i fatti di crimine sono appetibili, quasi servissero a rendere più fresche le nostre estati”.
Cambiano tante cose in un secolo, certe invece resistono al passare del tempo.
Di gialli, o meglio di romanzi polizieschi o noir o legal o non legal crime, se ne vendono e se ne scrivono ancora moltissimi in Italia. Sono il genere che vende di più: un libro su cinque che viene acquistato nel nostro paese fa parte della macrocategoria del “giallo”.
E la cronaca nera è ancora l’argomento più seguito e cercato. Tanto che, come disse Umberto Eco, “non è estate in Italia se non c’è un bel caso intricato di omicidio. Le estati italiane sono giallo morte”. Lo diceva all’epoca dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco.
Quasi un secolo dopo il debutto dei “gialli” in libreria, l’Italia e gli italiani hanno avuto il loro ultimo delitto estivo, il loro romanzo giallo a puntate su giornali, radio e televisioni. Il caso dell’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola nella bergamasca, si è mosso tra le pieghe della nostra estate. Ha riempito pagine di giornale, schede web, ha occupato ore radiotelevisive, molte volte senza il minimo interesse o rispetto per il dolore di familiari e amici.
L’omicidio Verzeni ha riempito l’agosto italiano, ha creato il partito del sospetto per il compagno e quello del vergognatevi a sospettare di quell’uomo. C’è stato chi ha tirato in ballo il serial killer, il complottismo, per via dell’avvicinamento della vittima a Scientology. Ha acceso la morbosità di chi vedeva trame oscure di amanti e segreti indicibili.
Tutto si è concluso, forse, oggi, al limite di agosto, poco prima che iniziasse settembre e che portasse con sé la sensazione che un altro anno è andato. Trenta giorni dopo l’omicidio.
Nella notte tra giovedì e venerdì i carabinieri del Nucleo investigativo di Bergamo hanno fermato alle 4.30 del mattino l’“uomo in bicicletta”, il tizio che cercavano da parecchi giorni come possibile testimone. Moussa Sangare, 31 anni, italiano di origini maliane, avrebbe confessato di essere l’assassino. Avrebbe ammazzato Sharon Verzeni in un’azione estemporanea senza apparentemente motivi. L’aggressione non sarebbe quindi collegata a un tentativo di rapina o altro. La vittima è stata “scelta a caso”. “Era al posto sbagliato nel momento sbagliato”, ha spiegato in conferenza stampa la procuratrice Maria Cristina Rota. “Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa”, l’inconcepibile confessione. Ma la procura di Bergamo gli contesta l’omicidio premeditato perché “è uscito di casa con 4 coltelli”. In seguito alle informazioni fornite dal 31enne, anche l’arma del delitto “è stata trovata nel fiume Adda”.
Il giallo si chiude, come da copione. Ora si passa al legal drama, per chi ama il genere. L’estate se ne va, è prossima al saluto e prova a dare tranquillità a chi in tutto questo mese di telecamere e riflettori accesi avrebbe fatto volentieri a meno, ma che quanto meno si è ritrovata sul finir di agosto una verità, se non ancora giudiziaria, almeno di cronaca, con la quale fare i conti. Altre estati italiane si sono chiuse senza questa grazia per familiari e amici. Non è andata così l’estate di via Poma, né quella dell’Olgiata, non quella di Garlasco e nemmeno quelle di Arce e di Avetrana che avevano visto la morte di Serena Mollicone e Sarah Scazzi.
Alcuni sono rimasti casi insoluti. Altri un colpevole ce l’hanno. Più o meno.