AGI – A San Vittore qualcuno ha scritto col gesso ‘1+1=3’ sulla lavagna di una delle aule scolastiche. Purtroppo, osserva il direttore Giacinto Siciliano fissando gli scarni elenchi affissi sulla porta dei partecipanti agli ultimi esami di Stato, “sono pochissimi quelli che seguono le lezioni e arrivano a fine anno”. I conti che non tornano perché esorbitano sono quelli del sovraffollamento. “C’è stato un giorno ad agosto che sono entrati 29 detenuti, se manteniamo il ritmo preso questo mese potrebbero essere 300 nuovi ingressi”.
Intanto siamo a 1007 totali per una capienza di 450. Un elefante in una stanza. Calcoli che sbiadiscono nell’aria cocente che tramortisce chi varca il carcere restituendo una piccola parte della sofferenza dei reclusi. “Al massimo sono otto-nove in una stanza da 33 metri quadri, nella maggior parte il numero è conforme ai tre metri a persona e, quando c’è un eccesso di ingressi, si ‘forza’ mettendo un letto in più” spiega all’AGI Siciliano.
Tre metri per respirare, e respirare i quasi 40 gradi percepiti dividendo il respiro coi propri compagni. “Da qualche settimana in quasi tutte le celle c’è un ventilatore. Centodieci arrivano dalla Caritas, 140 li abbiamo messi noi. Per l’emergenza caldo-sovraffollamento è stata anche ampliata la fascia di apertura pomeridiana delle passeggiate e installata l’aria condizionata nei luoghi di socialità dei detenuti e nei box degli agenti. Nelle stanze più che mettere i ventilatori non possiamo Certo, mi rendo conto che sono segnali di attenzione più che soluzioni. Quello che possiamo fare lo facciamo, rispettando le persone. Da luglio abbiamo 14 psicologi per 222 ore al mese e altri 8 mediatori linguistico culturali per 1600 ore per il secondo semestre finanziati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria “. Sono già 66 le persone che si sono uccise quest’anno, è stato molto criticato il regime della ‘custodia chiusa’ al posto della precedente ‘aperta’ che consentiva di trascorrere fuori dalla gabbia più delle otto ore previste per le ore d’aria e per frequentare le attività.
Siciliano ha una lettura diversa rispetto a quella di chi ritiene che privare della possibilità di uscire dalla cella abbia aggravato i disagi di tutti e in particolare dei più fragili come dimostrerebbe il dato che gran parte dei suicidi avviene in regime ‘chiuso’. “È sbagliato parlare di ‘apertura’ e ‘chiusura’. Si è passati da un sistema di indiscriminata apertura, che era un modo per compensare la situazione di sovraffollamento, a un sistema di differenziazione tra i detenuti. Chi è in grado di rispettate le regole entra nelle sezioni a trattamento intensificato, può passare molte ore fuori dalla camera, partecipare alle attività e godere di margini di autonomia più ampi. Chi fa fatica a rispettare le regole e ad avere relazioni corrette con i compagni è inserito nelle sezioni ordinarie e può uscire dalla camera per partecipare ai momenti di socialità e alle attività organizzate dall’istituto. E, se attiva un percorso positivo, può comunque passare nelle sezioni a trattamento intensificato e godere progressivamente dei benefici di legge. In una grande casa circondariale con molti ingressi e tempi di permanenza brevi questo è ovviamente più difficile. È chiaro che questo cambiamento rende la vita più difficile agli operatori penitenziari che si trovano a gestire carichi di lavoro maggiori con tante persone, ma serve ad assicurare una più attenta gestione delle persone. Proteste? Poche”.
Mostra un foglio con una delle prime applicazioni del decreto carcere per cui, appena entrato, al detenuto viene annunciato di quale sconto di pena potrà godere se si comporterà ‘bene’. “A questa persona viene detto che ha un fine pena al 31 novembre 2028 ma, se tutto andrà nel migliore dei modi, sarà anticipato al 15 luglio 2027. Prima invece ogni sei mesi dovevi chiedere lo sconto, qui ti viene chiarito subito che, se rispetti le regole, uscirai e credo che questo sia un incentivo a seguire un certo percorso”.
Alcuni esperti in materia hanno messo in dubbio che questi ‘automatismi’ sarebbero di così immediata applicazione. Nel 2024 qui non c’è stato nessun suicidio ma Siciliano ne ha affrontati tanti nella sua lunga esperienza, l’ultimo durante la ‘Prima della Scala’ dello scorso anno quando sospese la tradizionale visione dell’opera dopo la notizia. “Posso dire che le persone che si sono suicidate a San Vittore erano tutte molto seguite da noi, in modo capillare, e questo lascia ancora più amarezza”.
Osserva un mutamento nelle relazioni tra i detenuti. “Succede adesso che uno di loro compia atti autolesionistici e gli altri non se ne accorgano o comunque non intervengano. Da tre, quattro anni è cambiato completamente l’atteggiamento di chi entra in carcere. Il tossico disperato c’è sempre stato ma una reattività, un’impulsività cosi’ forte come quella che registriamo ora, pochi operatori se la ricordano. Anche qui, come fuori, prevale la cultura del ‘like’, del tutto e subito. È molto difficile per loro comunicare a parole, forse perché, senza telefono, gli viene tolto un pezzo d’identità. È venuta meno anche la solidarietà tra loro, prima c’era una sorta di ‘gruppo’, ora vediamo delle schegge impazzite. Per esempio: una volta magari si rispettava un anziano che voleva riposare, ora no. Certo, il sovraffollamento non aiuta. Se due litigano, e, anche per le differenze culturali che ci sono, succede spesso, una persona la devi spostare ma dove la metti se non c’è posto?”.
Nelle zone di ‘socialità’, che incarnano l’articolo della Costituzione sulla finalità di rieducazione della pena, c’è un uomo sorridente che assembla materiali come la plastica e rotoli di carta igienica in una piccola stanza. “Fuori ero un tatuatore, qui costruisco assieme ai volontari e ad altri barche, carrarmati, portabottiglie, ciò che la fantasia suggerisce. Mi interessa tutto quello è scarto e si può riciclare”. Nel reparto ‘giovani adulti’ un solo ragazzo sfida il caldo facendo esercizi con gli attrezzi, non proprio nuovi. Il calendario delle attività affisso al muro è fitto, si va dai ‘podcast’, alle percussioni, al calcio. Molte sono promosse dai volontari che a San Vittore sono una forza sempre viva. Chi vuole, “ma sono pochi a farlo”, afferma il direttore, può prendere in prestito un libro dalla biblioteca. L’impressione è che tutto sia molto ‘stretto’ per l’energia che dovrebbe animare o si dovrebbe riaccendere in chi prova a ripartire. Entriamo nell’area devastata da un crollo una ventina di anni fa. Ruderi, calcinacci, lavori in corso. “Un privato che vuole restare anonimo si è offerto di finanziare un pastificio” rivela Siciliano.