• 21 Settembre 2024 9:34

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Serena Mollicone, un omicidio senza colpevoli

Lug 12, 2024

AGI – Serena Mollicone, 18 anni, scompare nel nulla venerdì 1 giugno del 2001. La studentessa, residente ad Arce, esce di casa di buon mattino per recarsi presso l’ospedale di Sora e sottoporsi a una ortopanoramica. Nel pomeriggio ha appuntamento con il fidanzato Michele Fiorletti per andare dal dentista.

Serena saluta il padre Guglielmo, maestro e titolare di una cartoleria, ed esce di casa. Sarà l’ultima volta che l’uomo vede in vita la sua secondogenita. Serena effettua l’ortopanoramica ma poi di lei non si ha più traccia. Il padre e il fidanzato, insospettiti dal suo silenzio e dal fatto che non si sia né presentata all’appuntamento con il dentista e neanche abbia fatto ritorno a casa, decidono di recarsi intorno alle 20 presso la caserma dei carabinieri di Arce e sporgere denuncia.

Il corpo della giovane verrà rinvenuto tre giorni dopo tra i rovi e i rifiuti di una località frequentata da prostitute, lungo le sponde del fiume Liri, a distanza di 20 km da Arce. Serena ha le mani e i piedi legati con un filo di ferro e un sacchetto della spesa infilato sulla testa e sigillato con il nastro adesivo. L’autopsia accerterà che non ha subito violenza sessuale ma è stata picchiata ed è morta soffocata: qualcuno le ha fatto sbattere la testa contro una superficie liscia e poi l’ha lasciata morire di asfissia.

Se l’assassino o gli assassini l’avessero soccorsa la ragazza sarebbe certamente sopravvissuta. Inizia così uno dei gialli più intricati della cronaca italiana: nel 2003 viene arrestato con l’accusa di essere l’assassino Carmine Belli, carrozziere di Rocca d’Arce e ultima persona ad aver visto Serena in vita, la mattina della sua sparizione.

Belli, infatti, sabato 2 giugno 2001, dopo aver appreso della scomparsa della diciottenne si reca presso la caserma dei carabinieri di Arce e racconta al maresciallo Franco Mottola di aver visto Serena Mollicone il giorno prima, venerdì 1 giugno, litigare nei pressi del bar Lavalle (poco lontano dal punto in cui è stato ritrovato il corpo, ndr) con un ragazzo dai capelli biondi. “Serena piangeva e l’ho riconosciuta perché è la figlia del maestro Guglielmo” spiega Belli al militare.

La sua dichiarazione non è stata mai verbalizzata e quattro giorni dopo il carrozziere riceverà la visita dei carabinieri che passeranno al setaccio la sua carrozzeria. Nel processo di primo grado emerge l’estraneità di Belli dall’intera vicenda: il 6 luglio del 2004 il carrozziere viene assolto con formula piena dalla corte d’Assise del tribunale di Cassino. Sentenza poi confermata anche nei successivi gradi di giudizio.

L’assassino di Serena Mollicone sembra rimanere un punto interrogativo fino a quando l’11 aprile del 2008 si toglie la vita il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi. Il sottufficiale era stato chiamato in procura a Cassino come persona informata sui fatti. Il nuovo comandante della caserma di Arce, il maresciallo Gaetano Evangelista, raccogliendo le richieste di aiuto di Guglielmo Mollicone, padre mai rassegnato della povera Serena, aveva riaperto le indagini e scoperto importanti elementi che portavano tutti all’interno della caserma dei carabinieri.

Il 28 marzo del 2008 Tuzi viene convocato presso gli uffici giudiziari e clamorosamente dichiara di aver visto Serena Mollicone entrare nella caserma di Arce il 1 giugno del 2001 e di non averla mai più vista uscire. Una dichiarazione che fa da spartiacque a un’indagine giudiziaria considerata nebulosa e dà inizio un nuovo capitolo con l’iscrizione nel registro degli indagati dei tre componenti della famiglia Mottola: l’ex comandante della caserma di Arce, Franco, il figlio Marco e la moglie Annamaria.

Sotto processo finiscono anche il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano. Nel processo di primo grado tutti e cinque gli imputati sono stati assolti: secondo la corte d’assise di Cassino, infatti, manca la prova regina. La procura di Cassino, nella persona del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo, presenta ricorso in appello. Ma anche il processo di secondo grado, cominciato nove mesi fa, manda assolti i Mottola. 

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