Il 9 luglio alle 21:00 italiane si è formalmente conclusa la crisi dei lanciatori europei, un periodo iniziato nel 2022 durante il quale l’Europa non ha avuto un accesso autonomo allo spazio. La crisi è iniziata quando con l’invasione russa dell’Ucraina non abbiamo più avuto accesso ai razzi russi. Poi nel 2023 è stato pensionato il razzo Ariane 6 e infine il razzo italiano Vega-C è stato fermato per problemi tecnici. Ora il nuovo razzo pesante Ariane 6, che doveva essere pronto già nel 2020, ha chiuso la crisi, di cui pagheremo comunque le conseguenze per anni, eseguendo con (parziale) successo il suo lancio inaugurale.
Si tratta di un risultato importante per l’autonomia spaziale europea, dato che ora i paesi membri dell’Agenzia spaziale europea, oltre che le istituzioni dell’Ue, dispongono di un razzo costruito e progettato in Europa capace di portare nello spazio satelliti. Dal punto di vista commerciale Ariane 6 nasce con l’idea di costruire un’alternativa al Falcon 9 di SpaceX, ma è circa il doppio più costoso.
Ariane 6 è un progetto nato nel 2014 e approvato in via definitiva nel 2016 dall’Agenzia Spaziale Europea, che ha concesso poco più di 2 miliardi di euro di fondi per finanziarlo. L’obbiettivo era un lancio nel 2020, mancato di quattro anni da Arianegroup, azienda franco tedesca che si è occupata di progettare e costruire il razzo. I fondi dell’Agenzia spaziale europea per questo razzo provengono al 55 per cento dalla Francia, al 20 per cento dalla Germania e al 7 per cento circa dall’Italia. Il restante è fornito da altri 10 paesi. Responsabile della gestione del razzo è una terza azienda, Arianespace, anch’essa per maggioranza francese. Possiamo quindi definire Ariane 6 un nuovo razzo francese, oltre che europeo, e proprio della Francia farà prevalentemente gli interessi.
Al momento della partenza il razzo è stato spinto da uno stadio centrale a propellente liquido e da due booster laterali a propellente solido, questi ultimi costruiti da Avio in Italia. Essi sono anche il principale contributo del nostro paese al progetto, ma sono una delle componenti che Arianegroup vuole sostituire con i nuovi motori Prometheus che stanno sviluppando internamente. Una modifica che non è ancora stata confermata, ma che segue una direzione chiara nel mercato dei lanci spaziali, dove la vera partita si gioca ormai sulle missioni commerciali e non più su quelle governative. Cadono quindi le dinamiche di collaborazione internazionale e di ritorno geografico dei finanziamenti europei, che negli anni hanno dimostrato di non essere adeguate alla costruzione di un mezzo il più conveniente possibile.
Il lancio inaugurale di Ariane 6 si è concluso circa due ore dopo, quando il secondo stadio, che è anche la vera grande innovazione di questo razzo, non ha funzionato come previsto. Lo stadio è riuscito a rilasciare i satelliti in orbita, e questa è sicuramente la cosa più importante, ma poi avrebbe dovuto riaccendersi per la terza volta per rientrare in atmosfera e distruggersi grazie al calore generato dall’attrito, prima di arrivare a Terra. Il rientro in atmosfera dell’ultimo stadio dei razzi serve principalmente per evitare che essi rimangano bloccati in orbita, come dei veri e propri rifiuti spaziali, una tematica a cui l’Esa è particolarmente attenta. Una facoltà che ora è comune a quasi tutti i razzi moderni (il Falcon 9 di SpaceX lo fa da circa 10 anni). Questa operazione non è riuscita, a causa di un problema tecnico a un propulsore ausiliario dello stadio, che quindi ora è bloccato in orbita, e lì rimarrà fino a un rientro naturale in atmosfera che avverrà in alcuni anni.
Il lancio è stato comunque considerato un successo da Arianespace e dall’Esa, ma il fallimento dell’ultima fase ha fatto mancare la ciliegina sulla torta a una missione inaugurale che non poteva fallire.
L’Europa (e la Francia) tornano quindi ad avere un accesso autonomo allo spazio, anche se molto costoso e poco appetibile sul mercato internazionale. Per ora, però, questo è il meglio che l’industria del vecchio continente è riuscita a fare, e tanto vale accontentarci. Per essere appetibili sulla scena internazionale e competere con le aziende americane e con paesi come India e Giappone, ci sarà bisogno di fare di più. Chi e come ci riuscirà, in Europa, non è ancora dato saperlo.