Al direttore – Gentili professori, ho letto con molto interesse l’appello che mi avete rivolto e con il quale evidenziate il ruolo della ricerca come ponte tra israeliani e palestinesi. Un appello che condivido nello spirito e nei contenuti. Sin dai giorni immediatamente successivi al terribile pogrom del 7 ottobre, le università hanno risentito del clima di tensione già gravato dal conflitto russo-ucraino a seguito della deliberata aggressione di Vladimir Putin.
Si tratta, per la cosiddetta generazione Z che oggi frequenta le Università, di uno scenario inedito. Questi ragazzi mai si erano trovati ad assistere a conflitti militari così cruenti, uno alle porte dell’Europa e un altro addirittura al suo interno. Significa fare i conti con comprensibili sentimenti di insicurezza, inquietudine, turbamento. Stati d’animo che hanno contribuito a generare un movimento di contestazione, seppure minoritario, il cui diritto di esprimersi è sempre stato tutelato dal governo che non ha mai inteso porre limiti alla libera manifestazione a differenza di altri paesi Ue. Le uniche linee di demarcazione sono state, e rimangono, il rifiuto della violenza e la possibilità per tutti di esprimere la propria opinione in un contesto di rispetto reciproco. Rispetto che significa anche il totale rifiuto di espressioni o manifestazioni di antisemitismo alle quali, in qualche caso, abbiamo purtroppo assistito. A questi due imprescindibili limiti, ne aggiungo un terzo: le proteste non possono sospendere le normali attività di un ateneo incidendo negativamente sul percorso di studio o nella didattica di altri studenti, che magari non condividono i motivi della contestazione. Come sapete, sono i rettori a decidere e identificare le modalità di intervento qualora la protesta travalichi in violenza, in reati o interrompa il legittimo diritto allo studio di ragazzi e ragazze. Il mio ministero, con l’imprescindibile supporto del Viminale, è al loro fianco per garantire il prezioso equilibrio tra libertà di manifestazione e diritto allo studio.
All’interno di questo quadro ritengo prezioso il vostro appello che richiama al valore della collaborazione in ambito scientifico e agli obiettivi dell’Agenda 2030. Sono convinta che proprio ora rafforzare – e non sospendere, o peggio ancora, interrompere – i rapporti accademici e scientifici avrebbe una poderosa valenza simbolica che confermerebbe con forza il ruolo delle università come potenti costruttori di dialogo e confronto, apertura e inclusività, quindi di pace. Ma non solo. Il mondo sta affrontando sfide cruciali come una difficile transizione ecologica in grado di coniugare un minor impatto delle attività umane sull’ambiente senza rallentare lo sviluppo industriale; la gestione dei cambiamenti tecnologici, a partire dall’intelligenza artificiale, tenendo al centro l’uomo e le sue esigenze; il governo di una trasformazione digitale che richiede l’acquisizione di nuove competenze in grado di coglierne le opportunità.
Il terreno su cui ci si muove non può essere quello dei ristretti confini nazionali. Sfide globali richiedono un approccio globale. Decidere arbitrariamente di escludere da questo contesto un paese limiterebbe le possibilità di sviluppo e conoscenza collettivi alimentando – e non sedando – i motivi di conflittualità. Un cortocircuito imperdonabile in contrasto con la natura stessa delle università. Per queste ragioni faccio mie le vostre riflessioni che offrono un’idea chiara di cosa vuole, e deve essere, la comunità universitaria. Contributi come il vostro sono uno stimolo prezioso. Ci aiutano a meglio definire un futuro che è già presente, in un percorso di crescita comune da alimentare con il dialogo e il rispetto. Moltiplicando le occasioni di confronto. Dando voce alla ricerca, alle scoperte. Incentivando gli scambi tra culture, favorendo le reciproche contaminazioni, perché diventino queste la sola grammatica della realtà.
Anna Maria Bernini, ministro dell’Università