AGI – Sabato 4 maggio ricorre l’anniversario dei 75 anni dalla tragedia di Superga: l’aereo con a bordo gli “Invincibili” del Grande Torino, al rientro da Lisbona dopo un’amichevole contro il Benfica per l’addio al calcio del capitano del Portogallo Francisco Ferreira, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica che sorge in cima al Colle. Nell’incidente perse la vita l’intera squadra, dominatrice assoluta della Serie A di quegli anni, che alla Nazionale dava 10 titolari su 11. E proprio in omaggio a quei giocatori entrati nella leggenda, il 4 maggio prende il via il Giro d’Italia, con la frazione inaugurale Venaria Reale-Torino e il passaggio da Superga, circa un’ora prima della Santa Messa, in programma come sempre alle 17.03, l’ora esatta in cui si schiantò il velivolo FIAT G.212.
La funzione religiosa, che vedrà la partecipazione degli atleti e della dirigenza del club guidata dal presidente Urbano Cairo, sarà il preludio alla lettura dei nomi dei Caduti sulla lapide da parte del vicecapitano Alessandro Buongiorno. In occasione della ricorrenza, il colletto della Maglia Rosa, di questa edizione ciclistica numero 107, riporterà la citazione ‘Grande Torino 1949 – Solo il fato li vinse’ su sfondo granata.
E in ricordo dei 75 anni da quel tragico evento, dal 4 maggio sono disponibili su RaiPlay Sound, le puntate del nuovo podcast “IL GRANDE TORINO – Una cartolina dal passato”, un progetto ideato e realizzato dall’attore e regista teatrale Gianfelice Facchetti, in collaborazione con INDIEHUB, con regia audio e montaggio a cura di Gipo Gurrado: “Il podcast – spiega Facchetti all’AGI – mi sembrava fosse la forma di linguaggio più pertinente per raccontare questa storia, specie se si considera che i testimoni e i protagonisti diretti di quella vicenda sono pochissimi. Credo che lo strumento della voce sia il più intimo, io sono molto legato a questa idea, lavorando anche in teatro al buio, amo la profondità della voce, spogliata dell’immagine”.
grande
Giacinto Facchetti (colonna dell’Inter per 18 anni e poi dirigente del club nerazzurro, ndr) – a cominciare da quella del difensore
Alessandro Buongiorno, cresciuto con la maglia del Toro, che portava con sè il rito familiare di celebrare il ricordo del 4 maggio a Superga ogni anno”.
Umberto Motto (oggi 93enne, ndr), che fu il capitano dei ragazzi che completarono il campionato 1948-49 nelle quattro partite mancanti, subito dopo il disastro di Superga. Ci sarà
Sandro Mazzola, la piccola “mascotte” dei granata con suo padre
Valentino che era la figura più carismatica di quel gruppo di giocatori. Ci saranno giornalisti di grande caratura come
Aldo Grasso o Giampaolo Ormezzano, con le sue parole di una poesia assoluta: mi disse ‘il Torino è mio padre’ quando gli chiesi di rivelarmi che cosa significasse per lui quella squadra. E poi altre voci di chi avuto “padri” in campo come
Franco Ossola, figlio dell’omonimo del numero 11 di quella formazione leggendaria. Ma in questo racconto – rivela Facchetti – c’è spazio anche per i tifosi comuni, che rappresentano la voce del popolo, spesso accantonata nel calcio di oggi, ma custode di leggende e aneddoti che rischieremmo di perdere per strada”.
lo stadio Filadelfia, poi abbattuto, che è stato il luogo da cui ripartire e ricominciare. Era uno stadio di proprietà, costruito per volontà del
Conte Marone Cinzano nel 1926: quel luogo era diventato la casa del Toro, che lì ha costruito i suoi più grandi successi e ha stabilito dei
primati che resistono ancora oggi, come l’imbattibilità interna per 100 partite consecutive o il 10-0 inflitto all’Alessandria,
numeri “da capogiro”, non ce n’era per nessuno. Il marchio di fabbrica era “il leggendario quarto d’ora granata”, con la “tromba” (di
Oreste Bolmida, di mestiere capostazione, ndr) che “caricava” tutti: Mazzola così, si rimboccava le maniche e il Toro iniziava a “suonarle a tutti”.
Gigi Meroni e di capitano Ferrini, il calciatore con più presenze. Un club, insomma, con continue ripartenze e ricadute, una storia di grande coraggio e umanità”.
Gianfelice Facchetti spiega così il suo forte legame con il Grande Torino: “Il ricordo di quella squadra mi è sempre stato molto vicino, anzitutto perché parliamo dei miti di mio padre, che era nato nel 1942. E per un bambino che amava giocare a pallone, i calciatori del Grande Torino erano i campioni di riferimento, anche perché si conosceva poco o nulla del calcio oltreconfine. Mio padre teneva molto a trasmettermi il valore di questi esempi”. A tal proposito, Facchetti svela un aneddoto: “Quando da piccolo mi metteva in porta, papà mi chiamava Bacigalupo, come il portiere del Toro. In più sono cresciuto a Cassano d’Adda, una “colonia granata”, paese di Valentino Mazzola. Inoltre, sono nato nel 1974, un paio d’anni prima la vittoria dell’ultimo scudetto del Toro, perciò in famiglia il tifo per questi colori si è sempre sentito. Non a caso, quando giocavo con i ragazzi del Football Club Cassano la mia prima maglia era identica a quella del Torino”.
Al Museo del Grande Torino
Nel 2019 il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata (gestito dai volontari dell’Associazione Memoria Storica Granata, ndr) ha ospitato una mostra dedicata a Giacinto Facchetti. Che cosa ha significato quell’esperienza per Gianfelice?
“Per me fu bellissimo, peccato solo per l’interruzione causa Covid, anche se poi l’esposizione fu ripresa. Gli storici del calcio dicono che solo due squadre hanno potuto fregiarsi dell’aggettivo di “Grande”: il Torino e l’Inter di Herrera. Questo rendeva mio padre particolarmente orgoglioso. Ritagliare uno spazio dedicato a lui in quel contesto, credo sia stato un gesto rappresentativo, che testimonia una volta in più la nobiltà d’animo del tifoso granata, che credo che abbia davvero qualcosa di speciale, di unico nel panorama calcistico”.
La gigantografia di Valentino Mazzola e Vittorio Pozzo
Facchetti ha omaggiato il Museo Granata con due sagome cartonate di Valentino Mazzola e di Vittorio Pozzo, ex allenatore degli “Invincibili” ed ex ct della Nazionale, a cui fu affidato il triste compito di identificare le salme. L’attore spiega perchè: “Alcuni anni fa, ho realizzato uno spettacolo dal titolo “Eravamo quasi in cielo”, dedicato al campionato di guerra nel 1943-44, chiamato anche “Il torneo dell’Alta Italia”, che terminò all’Arena Civica di Milano, con un triangolare tra il Torino, il Venezia e lo Spezia (composto da un team di Vigili del Fuoco). Raccontavo l’avventura di questa squadra di calciatori che si improvvisarono pompieri per evitare di partire per il militare, una storia bellissima. Nello spettacolo usavamo alcune sagome per la scenografia. Tra queste, due legate al Grande Torino: appunto, quella di Pozzo, uno dei fondatori di quella magica squadra, e quella di capitan Mazzola. Concluso il tour teatrale, ho pensato che queste due potessero restare al sicuro in un luogo legato a quella storia. Ho scelto il Museo del Grande Torino, un luogo che mi ha dato tanto e porterò sempre nel cuore”.
AGI – Sabato 4 maggio ricorre l’anniversario dei 75 anni dalla tragedia di Superga: l’aereo con a bordo gli “Invincibili” del Grande Torino, al rientro da Lisbona dopo un’amichevole contro il Benfica per l’addio al calcio del capitano del Portogallo Francisco Ferreira, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica che sorge in cima al Colle. Nell’incidente perse la vita l’intera squadra, dominatrice assoluta della Serie A di quegli anni, che alla Nazionale dava 10 titolari su 11. E proprio in omaggio a quei giocatori entrati nella leggenda, il 4 maggio prende il via il Giro d’Italia, con la frazione inaugurale Venaria Reale-Torino e il passaggio da Superga, circa un’ora prima della Santa Messa, in programma come sempre alle 17.03, l’ora esatta in cui si schiantò il velivolo FIAT G.212.
La funzione religiosa, che vedrà la partecipazione degli atleti e della dirigenza del club guidata dal presidente Urbano Cairo, sarà il preludio alla lettura dei nomi dei Caduti sulla lapide da parte del vicecapitano Alessandro Buongiorno. In occasione della ricorrenza, il colletto della Maglia Rosa, di questa edizione ciclistica numero 107, riporterà la citazione ‘Grande Torino 1949 – Solo il fato li vinse’ su sfondo granata.
E in ricordo dei 75 anni da quel tragico evento, dal 4 maggio sono disponibili su RaiPlay Sound, le puntate del nuovo podcast “IL GRANDE TORINO – Una cartolina dal passato”, un progetto ideato e realizzato dall’attore e regista teatrale Gianfelice Facchetti, in collaborazione con INDIEHUB, con regia audio e montaggio a cura di Gipo Gurrado: “Il podcast – spiega Facchetti all’AGI – mi sembrava fosse la forma di linguaggio più pertinente per raccontare questa storia, specie se si considera che i testimoni e i protagonisti diretti di quella vicenda sono pochissimi. Credo che lo strumento della voce sia il più intimo, io sono molto legato a questa idea, lavorando anche in teatro al buio, amo la profondità della voce, spogliata dell’immagine”.
Si tratta di una ricostruzione storica, appassionata e coinvolgente, in 5 puntate, un atto d’amore verso il calcio, lo sport e i suoi valori, attraverso un viaggio nel passato del nostro Paese, tra interviste, approfondimenti, campioni del passato e del futuro, e tante sorprese: “Abbiamo scelto testimonianze preziose – spiega il figlio del
grande
Giacinto Facchetti (colonna dell’Inter per 18 anni e poi dirigente del club nerazzurro, ndr) – a cominciare da quella del difensore
Alessandro Buongiorno, cresciuto con la maglia del Toro, che portava con sè il rito familiare di celebrare il ricordo del 4 maggio a Superga ogni anno”.
“Siamo poi riusciti a coinvolgere
Umberto Motto (oggi 93enne, ndr), che fu il capitano dei ragazzi che completarono il campionato 1948-49 nelle quattro partite mancanti, subito dopo il disastro di Superga. Ci sarà
Sandro Mazzola, la piccola “mascotte” dei granata con suo padre
Valentino che era la figura più carismatica di quel gruppo di giocatori. Ci saranno giornalisti di grande caratura come
Aldo Grasso o Giampaolo Ormezzano, con le sue parole di una poesia assoluta: mi disse ‘il Torino è mio padre’ quando gli chiesi di rivelarmi che cosa significasse per lui quella squadra. E poi altre voci di chi avuto “padri” in campo come
Franco Ossola, figlio dell’omonimo del numero 11 di quella formazione leggendaria. Ma in questo racconto – rivela Facchetti – c’è spazio anche per i tifosi comuni, che rappresentano la voce del popolo, spesso accantonata nel calcio di oggi, ma custode di leggende e aneddoti che rischieremmo di perdere per strada”.
Lo Stadio Filadelfia: la Casa del Toro simbolo della ripartenza
Come si è riusciti a ripartire dopo quella tragedia, per crederci ancora, e avere la forza per tornare a sognare? Secondo Facchetti, “il ruolo cruciale lo ha svolto
lo stadio Filadelfia, poi abbattuto, che è stato il luogo da cui ripartire e ricominciare. Era uno stadio di proprietà, costruito per volontà del
Conte Marone Cinzano nel 1926: quel luogo era diventato la casa del Toro, che lì ha costruito i suoi più grandi successi e ha stabilito dei
primati che resistono ancora oggi, come l’imbattibilità interna per 100 partite consecutive o il 10-0 inflitto all’Alessandria,
numeri “da capogiro”, non ce n’era per nessuno. Il marchio di fabbrica era “il leggendario quarto d’ora granata”, con la “tromba” (di
Oreste Bolmida, di mestiere capostazione, ndr) che “caricava” tutti: Mazzola così, si rimboccava le maniche e il Toro iniziava a “suonarle a tutti”.
“Il Filadelfia – sottolinea l’attore – è stato il punto di partenza di un popolo molto unito, molto attaccato alla propria storia che ha cercato più volte di rialzare la testa nonostante, anche dopo Superga, sia stato ancora tragicamente messo alla prova con la morte di
Gigi Meroni e di capitano Ferrini, il calciatore con più presenze. Un club, insomma, con continue ripartenze e ricadute, una storia di grande coraggio e umanità”.
“I giocatori del Grande Torino, i miti di mio padre”
Gianfelice Facchetti spiega così il suo forte legame con il Grande Torino: “Il ricordo di quella squadra mi è sempre stato molto vicino, anzitutto perché parliamo dei miti di mio padre, che era nato nel 1942. E per un bambino che amava giocare a pallone, i calciatori del Grande Torino erano i campioni di riferimento, anche perché si conosceva poco o nulla del calcio oltreconfine. Mio padre teneva molto a trasmettermi il valore di questi esempi”. A tal proposito, Facchetti svela un aneddoto: “Quando da piccolo mi metteva in porta, papà mi chiamava Bacigalupo, come il portiere del Toro. In più sono cresciuto a Cassano d’Adda, una “colonia granata”, paese di Valentino Mazzola. Inoltre, sono nato nel 1974, un paio d’anni prima la vittoria dell’ultimo scudetto del Toro, perciò in famiglia il tifo per questi colori si è sempre sentito. Non a caso, quando giocavo con i ragazzi del Football Club Cassano la mia prima maglia era identica a quella del Torino”.
Al Museo del Grande Torino
Nel 2019 il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata (gestito dai volontari dell’Associazione Memoria Storica Granata, ndr) ha ospitato una mostra dedicata a Giacinto Facchetti. Che cosa ha significato quell’esperienza per Gianfelice? “Per me fu bellissimo, peccato solo per l’interruzione causa Covid, anche se poi l’esposizione fu ripresa. Gli storici del calcio dicono che solo due squadre hanno potuto fregiarsi dell’aggettivo di “Grande”: il Torino e l’Inter di Herrera. Questo rendeva mio padre particolarmente orgoglioso. Ritagliare uno spazio dedicato a lui in quel contesto, credo sia stato un gesto rappresentativo, che testimonia una volta in più la nobiltà d’animo del tifoso granata, che credo che abbia davvero qualcosa di speciale, di unico nel panorama calcistico”.
La gigantografia di Valentino Mazzola e Vittorio Pozzo
Facchetti ha omaggiato il Museo Granata con due sagome cartonate di Valentino Mazzola e di Vittorio Pozzo, ex allenatore degli “Invincibili” ed ex ct della Nazionale, a cui fu affidato il triste compito di identificare le salme. L’attore spiega perchè: “Alcuni anni fa, ho realizzato uno spettacolo dal titolo “Eravamo quasi in cielo”, dedicato al campionato di guerra nel 1943-44, chiamato anche “Il torneo dell’Alta Italia”, che terminò all’Arena Civica di Milano, con un triangolare tra il Torino, il Venezia e lo Spezia (composto da un team di Vigili del Fuoco). Raccontavo l’avventura di questa squadra di calciatori che si improvvisarono pompieri per evitare di partire per il militare, una storia bellissima. Nello spettacolo usavamo alcune sagome per la scenografia. Tra queste, due legate al Grande Torino: appunto, quella di Pozzo, uno dei fondatori di quella magica squadra, e quella di capitan Mazzola. Concluso il tour teatrale, ho pensato che queste due potessero restare al sicuro in un luogo legato a quella storia. Ho scelto il Museo del Grande Torino, un luogo che mi ha dato tanto e porterò sempre nel cuore”.