L’Europa non è pronta per dire addio alle auto a benzina e diesel dal 2035, come stabilito dalla Commissione UE. Premesso che il fine perseguito è importante, date le ripercussioni dell’inquinamento sia sull’ambiente sia sull’uomo, al momento paiono esserci parecchie criticità nell’adozione del provvedimento. Una serie di preoccupazioni allarma i detrattori, pronti subito a far sentire la propria voce.
I motivi dello scetticismo
Una delle principali ragioni a supporto dello scetticismo consiste nella crescente quota di mercato delle vetture elettriche cinesi. A Pechino si sono saputi muovere con largo anticipo sulle realtà tradizionali, le quali continuano ad arrancare. A conferma di ciò, dei grossi produttori, tipo Mercedes-Benz, hanno preferito rallentare il percorso di transizione.
Se in passato avevano innestato la quinta nella speranza di recuperare terreno, l’esperienza sul campo ha frenato le ambizioni del colosso di Stoccarda. La connazionale Volkswagen fa altrettanto fatica imporsi sul mercato nel comparto delle BEV. Qualche eccezione esiste, ad esempio BMW, tuttavia la sensazione prevalente è di una clientela poco pronta ad accogliere il cambiamento.
Tra le varie motivazioni, gli scettici puntano, in primis, il dito contro l’elevato prezzo di listino, fuori dalla portata di numerose famiglie, le quali continuano a preferire l’ibrido, anche in Italia, dove la Fiat Panda è il modello più venduto.
Il componente più costoso delle elettriche consiste nella batteria. La dipendenza dagli accumulatori realizzati all’estero, ma soprattutto dalle terre rare necessarie nel processo si ripercuotono sui costi a carico delle singole realtà. Che, nel perseguimento di un profitto, devono correggere i listini verso l’alto. Finché la situazione procederà in questo modo, allora sarà complicato porre fine al ‘circolo vizioso’.
I colossi dei motori hanno iniziato a inaugurare dei progetti specifici, ma prima di agganciare il Paese asiatico servirà disporre pure di manodopera qualificata. I paradigmi del passato hanno smesso di essere così attuali, e la mancanza di skills adeguate ha già richiesto un prezzo elevato, con il personale accompagnato alla porta.
Altrettanto deleteria è la scarsa diffusione delle infrastrutture di ricarica, perlopiù concentrate nelle grandi città. Chi vive in provincia può trovare con difficoltà delle colonnine, l’ennesimo deterrente di cui prendere atto. Infine, mancano dei dati sulla capacità della rete elettrica.
Dilagano i dubbi
Manifesta dei forti Christian Lindner, ministro delle Finanze e membro del Partito Liberal-democratico tedesco. “In generale, dovremmo concentrarci sull’apertura tecnologica: anche i combustibili liquidi sintetici e i biocarburanti sono un modo per rispettare il clima –, ha affermato Lindner all’Augsberger Allgemeine -. È il mercato che dovrebbe decidere cosa è fattibile e cosa vogliono i consumatori, non la politica e i burocrati”.
Il cancellierato tedesco di Olaf Scholz sostiene vi siano delle “alternative alla mobilità elettrica”. Al fine di promuovere gli e-Fuel, è in procinto di varare una progetto di legge ad hoc: “Abbiamo concordato che vengano trattati allo stesso modo dell’elettromobilità a fini fiscali. Un segnale all’industria sul fatto che il governo federale prende sul serio la libertà tecnologica”.
Delle perplessità ne esprime altresì Thierry Breton. Per il commissario UE alla direzione Mercato interno e industria vanno attuati “gli aggiustamenti necessari per raggiungere i nostri obiettivi del 2035. Il Green Deal non sarà raggiunto con la bacchetta magica o con un ordine esecutivo di Bruxelles. Anche se abbiamo fatto buoni progressi nella produzione di batterie, non stiamo andando così velocemente come necessario”.