In un periodo in cui l’interpretazione dei dati di genomica, cioè dei dati derivati dall’esame del nostro DNA, è sempre più venduta direttamente ai consumatori, diventando così un affare sempre più lucroso, è quanto mai necessario che la comunità scientifica pubblichi risultati negativi in grado di porre un freno allo sviluppo dell’ennesima “frode tecnologica”, ovvero al mercato di ipotesi di ricerca più o meno approfondite in pubblicazioni scientifiche, che non sono tuttavia sufficientemente consolidate per chiedere a qualcuno di metter mano al portafoglio.
Un esempio perfetto di quello che dico è stato appena pubblicato dalla rivista Current Biology, ed è un esempio interessante sia per le modalità in cui si è giunti al risultato, sia per il risultato stesso. Il punto di partenza è l’ereditabilità di un tratto definito più o meno arbitrariamente, che potremmo definire come “senso musicale”, che vorrebbe misurare le abilità musicali delle persone – tanto legate all’ascolto quanto all’esecuzione e alla composizione di brani – per il quale studi precedenti hanno dimostrato un’ereditabilità media del 42%.
Sulla base della riconosciuta ereditabilità di ciò che si misura attraverso test specifici, e sulla base dell’ipotesi che tale misura sia legata anche a predisposizione genetica per caratteristiche come l’abilità di sincronizzazione ritmica – abilità strettamente correlata alla musicalità da quegli stessi test – un gruppo internazionale di ricercatori ha analizzato il DNA di Ludwig van Beethoven, ricavato dai suoi capelli e la cui sequenza è stata resa disponibile nel 2023, per indagare sulla sua predisposizione genetica “musicale”. A partire da quel DNA, è stato in particolare calcolato quello che è venduto anche direttamente ai consumatori come punteggio poligenico per l’abilità di sincronizzazione del ritmo di cui sopra, quale indicatore strettamente correlato al “senso musicale” del grande compositore.
Prima di esaminare il DNA, il gruppo di ricerca in questione ha tuttavia depositato i dettagli del protocollo sperimentale che avrebbe usato e i risultati attesi, in particolare per quel che riguarda gli indicatori genetici che avrebbe utilizzato e l’ipotesi di partenza della loro correlazione al senso musicale, presumibilmente più accentuato della media in Beethoven; in questo risiede l’interesse per la modalità con cui si è svolto lo studio, che, enunciando chiaramente la propria ipotesi quantitativa prima di effettuare la corrispondente misura, rappresenta un esempio di quanto gli scienziati possono fare per diminuire il rischio di essere influenzati dai propri preconcetti, cercando a posteriori nei risultati ottenuti qualcosa che confermi le proprie ipotesi di partenza.
In breve, Beethoven, uno dei musicisti più celebrati della storia, è risultato ottenere un punteggio poligenico non eccezionale per l’abilità di sincronizzazione del ritmo e quindi, nelle assunzioni fatte, per il senso musicale generale, rispetto ai campioni usati per confronto e tratti dalla popolazione dell’Istituto Karolinska, in Svezia, e dell’Università Vanderbilt, negli Stati Uniti.Ora, questo risultato illumina immediatamente un aspetto importante della cosiddetta “genomica per il consumatore”: quel tratto presuntivamente legato alla musicalità è valutato in molti test sul mercato, e contribuisce alle loro vendite stimolando la curiosità dei compratori. Lo studio dimostra che evidentemente non è affidabile, e il fatto stesso di aver condotto l’analisi significa che esso è stato venduto molto prima di trovare una conferma o una smentita in studi rigorosi.
Così è oggi la genomica di largo consumo, particolarmente quando si considerino i cosiddetti punteggi poligenici, oltretutto spesso passati per avere capacità diagnostiche e prognostiche nella predisposizione e nello sviluppo di molte patologie: si vende ciò che spesso risulta in realtà funzionare poco o nulla. In sostanza, si dovrebbe essere scettici se qualcuno afferma di poter utilizzare un test genetico per determinare in modo affidabile se la combinazione di molte varianti geniche diverse può portare ad una predizione utile, che si tratti del senso musicale o della salute; e la cosa vale soprattutto nel caso di tratti come il primo, che sono certamente sotto una forte influenza culturale.
L’ereditabilità al 42% del senso musicale, così come di molti altre delle “predisposizioni” che si vorrebbe far risalire ad una combinazione di geni, può pure essere solidamente provata, ma ovviamente il peso dell’educazione familiare e degli insegnanti potrebbe ben essere preponderante, rispetto a qualunque tratto genetico, così come evidente dal ritrovamento appena discusso che Ludwig van Beethoven, uno dei musicisti più celebrati della storia umana, aveva una predisposizione genetica piuttosto bassa per la sincronizzazione del ritmo. Questo non esclude affatto che la previsione del punteggio poligenico diventerà più accurata in futuro; è però fondamentale affidarsi agli specialisti, ricordando che i tratti umani complessi, inclusi le abilità musicali, ma anche molte condizioni di salute, sono il risultato di interazioni molto complesse fra geni, ambiente e caso, e solo uno specialista è in grado di interpretare il dato genetico al meglio della conoscenza disponibile.