Molte volte, su queste pagine, ho sottolineato come gli esseri umani – ed in generale tutti gli esseri viventi complessi – siano in realtà degli olobionti, cioè delle comunità molto complesse di organismi che usualmente includiamo nel microbioma che sono indissolubilmente connesse all’organismo che li ospita.
Ora, fra le relazioni che si possono instaurare, vi sono certamente anche quelle di tipo patologico: vi sono, cioè, alcuni tipi di microrganismi che possono improvvisamente prendere il sopravvento nell’ecosistema da noi costituito, provocando conseguenze più o meno gravi di tipo diverso.
Un nuovo esempio giunge da un recente studio pubblicato su Nature da un gruppo di ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Center, i quali hanno scoperto che un sottotipo specifico di un microbo comunemente presente nella bocca è in grado di viaggiare verso l’intestino e crescere all’interno dei tumori del cancro del colon-retto. Questo ceppo batterico è anche responsabile della progressione del cancro e porta a prognosi peggiori per i pazienti dopo il trattamento del cancro.
Questo risultato è uno di quelli che sempre più illuminano l’importanza della caratterizzazione a fini diagnostici e della modifica a fini prognostici del nostro microbioma, in particolare per quanto riguarda il cancro del colon-retto (una delle più comuni cause di morte fra gli adulti, con tendenza all’aumento di incidenza), per cui spenderò qualche parola in più per illustrarlo ai lettori.
Esaminando i tumori del cancro del colon-retto rimossi da 200 pazientii ricercatori hanno misurato i livelli di Fusobacterium nucleatum, un batterio noto per infettare molti tipi di tumore. In circa il 50 per cento dei casi, hanno scoperto la presenza del batterio in quantità elevate nel tessuto tumorale rispetto al tessuto sano, ma solo di un ceppo specifico. La composizione del microbioma nelle feci dei pazienti, inoltre, rifletteva questa stessa statistica: nei campioni di feci di pazienti affetti da cancro del colon-retto esso era molto più abbondante rispetto ai campioni di feci di persone sane.
In aggiunta – e questo è il risultato direi più interessante ed utile – si è osservato che i pazienti con tumori del colon-retto contenenti Fusobacterium nucleatum del ceppo identificato hanno una scarsa sopravvivenza e una prognosi peggiore rispetto ai pazienti che ne sono privi. Il ceppo identificato, in particolare, è risultato responsabile della crescita del tumore.
Non solo: questo ceppo è risultato geneticamente molto diverso da quello normalmente presente nella bocca, da cui il batterio migra fino all’intestino: tecnicamente, si dice che le differenze genetiche fra i due ceppi sono tali da corrispondere a due “cladi” diversi. I ricercatori hanno scoperto che il clade Fna C2 infiltrante il tumore aveva acquisito almeno 195 tratti genetici distinti dal batterio che vive normalmente nella bocca, in grado di conferire la capacità di passare dalla bocca allo stomaco, resistere all’attacco acido di questo e quindi crescere nel tratto gastrointestinale inferiore.
Abbiamo quindi una perfetta illustrazione di un’evoluzione adattativa di una particolare specie che abita i nostri corpi, la quale ha portato alla capacità di colonizzare e crescere in nuovi ambienti fra cui il tessuto tumorale; all’interno di questo, il batterio opera in modo da massimizzare la propria fitness darwiniana, cioè da aumentare la crescita tumorale e dunque la disponibilità di risorse utili alla propria proliferazione.
Poiché, ovviamente, questo batterio è normalmente trasmesso fra gli esseri umani (ed altri animali), abbiamo qui un esempio di un microrganismo non virale e potenzialmente oncostimolante, che grazie alla ricerca basata sul sequenziamento del microbioma è stato per la prima volta chiaramente identificato.
Ciò suggerisce che terapie e screening mirati a questo particolare ceppo all’interno del microbiota possano migliorare in futuro la prognosi di quei pazienti che maggiormente rischiano a causa del cancro del colon-retto, avendo identificato un obiettivo prioritario per la diagnosi e la terapia.
Allo stesso tempo, risultati come quelli illustrati ci ricordano ancora una volta perché sia sempre più importante caratterizzare il complesso dell’informazione genetica e dei microrganismi che coabitano nei nostri corpi, senza limitarsi alla sola specie umana, ma utilizzando un approccio metagenomico ed ecologico appropriato per indirizzare la cura della nostra salute.