• 24 Novembre 2024 7:22

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Dal Giappone arriva l’idea delle bici senza pedali

Mar 6, 2024

Il telaio di una bici è un elemento estremamente interessante, capace di generare comodità, sostegno e mantenere al contempo un peso leggero. I ciclomotori invece, pur essendo più vantaggiosi dei mezzi a quattro ruote, sono comunque piuttosto pesanti e perciò destinati ad avere un consumo a volte addirittura simile a quello delle automobili. Inutile chiedersi quale dei due sia più utile in città, sono veicoli diversi, pensati per diverse destinazioni d’uso e ognuno con i suoi punti di forza: quello che invece è legittimo chiedersi è se sono in circolazione le opzioni più efficaci per gli spostamenti urbani, se cioè sono stati individuati e messi a disposizione dei veicoli adatti a soddisfare specifiche esigenze senza che riportino sprechi energetici, dimensionali, produttivi e operativi. Una prima indiscutibile risposta è l’e-bike, un mezzo ibrido tra i più performanti al mondo che coniuga motore e pedali: perché però non sfruttare la loro leggerezza per immaginare qualcosa di ancora diverso? Chi l’ha detto che non possano esistere ciclomotori più simili ad una bicicletta? 

La nuova legge giapponese

Per toccare con mano questa intuizione dobbiamo trasferirci in Giappone, uno stato noto per la sua estesa rete di trasporti pubblici che include linee ferroviarie, tram, monorotaie e autobus. Ultimamente il paese sta esplorando nuove soluzioni per ottimizzare la sua mobilità urbana, in particolare per colmare il cosiddetto “ultimo miglio” che separa i grandi snodi di trasporto dai luoghi di destinazione finale. In questo contesto, OpenStreet Co., Ltd, affiliata al colosso SoftBank Corp, sta emergendo come pioniere con il suo servizio di bike sharing Hello Cycling, che sfrutta le potenzialità delle nuove biciclette senza pedali che la legge giapponese ha da poco regolamentato

Tra i monopattini e le e-bike

Verrebbe da pensare che i monopattini siano il mezzo più adatto per l’ultimo miglio, ma molti esperti non sono convinti. Sulla carta andrebbero benissimo, purtroppo però devono scontrarsi con una serie di problemi pratici. Non sono tanto ben visti dagli altri utenti della strada, non brillano per sicurezza e hanno vita difficile su alcuni fondi stradali.

Ad oggi le bici elettriche senza pedali erano quasi esclusivamente sviluppate per speed e-bike, ossia per quei modelli ultra performanti più vicini al mondo delle motociclette e in grado di raggiungere velocità ragguardevoli, anche sopra gli 80 km/h. Un aspetto spesso abbastanza inutile, visto che nella maggior parte del mondo queste “biciclette” sono purtroppo illegali. Ma allora, perché invece non guardare al lato opposto, creare cioè ciclomotori elettrici lenti con le sembianze di biciclette e che risolvono alcuni problemi dei monopattini? Costerebbe meno produrli, alimentarli, parcheggiarli, guidarli: insomma i vantaggi sarebbero davvero interessanti.  Dev’essere quello che hanno pensato in Giappone, perché l’anno scorso hanno reso legale proprio questa idea. Il 1° luglio 2023, la legge sulla circolazione stradale è stata parzialmente rivista ed è stata istituita una nuova categoria, quella di “biciclette a motore di piccole dimensioni”. 

Bici senza pedali

Il 30 gennaio 2024, OpenStreet ha preso alla lettera la legge e, oltre alla consolidata rete di e-bike, l’azienda ha lanciato il primo servizio giapponese di condivisione di “biciclette a motore di piccole dimensioni” (purtroppo ad oggi non esiste una traduzione più corretta), definiti semplicemente e maniera molto ambigua “biciclette elettriche”. La novità è stata presentata durante una conferenza stampa a Tokyo il 24 gennaio, anticipando il lancio ufficiale del servizio. Alla conferenza hanno partecipato Tomoaki Kudo, Presidente e CEO di OpenStreet, insieme a rappresentanti delle città di Chiba e Saitama, che hanno stretto partnership con l’azienda per testare e implementare il nuovo servizio. Al 13 febbraio 2024, l’azienda ha raggiunto un traguardo significativo, superando i 3 milioni di utenti registrati e installando oltre 7.500 stazioni di bike sharing in tutto il Giappone. L’idea quindi sembra funzionare.

Queste “biciclette elettriche” sviluppate in collaborazione con Glafit, inc., introducono una categoria completamente nuova nel panorama della mobilità giapponese e mondiale, perlomeno in maniera così organizzata. A differenza delle tradizionali e-bike non richiedono di pedalare, molto importante per attrarre utenza che non usa le bici per paura di sudare, rovinare i vestiti o incapacità tecnica; sono in grado di viaggiare su strada fino a una velocità massima di 20 km/h, in conformità con le normative giapponesi di cui dicevamo. Sebbene non sia richiesta una licenza di guida, gli utenti devono superare specifici test sulla app Hello Cycling per garantirne l’uso sicuro. E l’azienda consiglia vivamente l’uso del casco.

Prime applicazioni e prospettive

In un Paese dove i monopattini elettrici stanno diventando sempre più popolari, Kudo ha sottolineato la scelta di optare per un design di bicicletta elettrica seduta per garantire una guida più stabile e sicura, adeguata alle condizioni delle strade giapponesi, spesso dissestate e irregolari. L’introduzione di questo nuovo mezzo rientra in una strategia più ampia di equilibrio tra l’efficienza della mobilità urbana e l’ordine del traffico, con l’obiettivo di promuovere un’adozione diffusa ma responsabile di queste nuove tecnologie.

Le città di Chiba e Saitama, che hanno già adottato le e-bike per rispondere alle esigenze di trasporto pubblico e mobilità, hanno accolto con entusiasmo le nuove biciclette elettriche di OpenStreet, installando apposite stazioni di servizio. Chiba, in particolare, sta promuovendo l’accettazione sociale delle e-bike attraverso seminari con la polizia locale e gli operatori di strutture private, mentre Saitama vede nel servizio un’opportunità per offrire ai cittadini un nuovo mezzo di trasporto e per contribuire al rilancio urbano attraverso la diversificazione delle opzioni di mobilità. Ovunque dovrebbero prendere in considerazione questi veicoli, ma più di ogni altra cosa, tutti gli stati dovrebbero valutare l’idea di rimettere mano ai proprio codici della strada: molte norme non rispecchiano più le esigenze di un mondo che sta rapidamente cambiando e ha bisogno di soluzioni nel brevissimo periodo.

 

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