AGI – La prossima settimana Christine Lagarde e Jerome Powell si misureranno con l’asticella del taglio dei tassi a giugno. I mercati ormai danno per scontato che a primavera il costo del denaro resterà fermo ai livelli attuali, tra il 5,25 e il 5,5% per la banca centrale Usa e al 4,5%, per quella europea, e oltre l’80% dei trader punta ancora su un primo taglio a giugno sia per la Fed, sia per la Bce. Ma è veramente così? Giovedì toccherà alla Bce decidere e mercoledì Jerome Powell, il numero uno della Federal Reserve, terrà un’audizione davanti al Congresso e la replicherà il giorno dopo. Cosa diranno? Entrambi ribadiranno che non è ancora l’ora di tagliare, che è prematuro, ma quando pensano che sia veramente l’ora di agire? Gli esperti sono divisi, ma una cosa è certa: l”ultimo miglio’ del target del 2% di inflazione, quello che Fed, Bce e la maggior parte delle banche centrali considera la soglia verso la quale occorre stabilmente indirizzarsi per iniziare a ridurre I tassi, si sta dimostrando il più difficile da raggiungere. “È un percorso in salita” dice Vincenzo Bova, strategist di Mps. I motivi? Il principale è che lo ‘zoccolo duro’ dell’inflazione, quello da servizi, sia in Europa, sia negli Stati Uniti, si sta dimostrando tale. “L’inflazione generale è rallentata forte – spiega Bova – Negli Usa è al 2,4%, in Eurozona e’ al 2,6%. Dicono che sia vischiosa, ma in realtà è l’inflazione da servizi a essere vischiosa, a restare troppo alta”. Negli Usa a febbraio è al 3,9% e in Europa al 3,1%. E questo avviene in un contesto, il secondo mese dell’anno, in cui nel 2023 i prezzi dei servizi erano saliti tanto. “Questo febbraio – commenta Bova – dal confronto annuale tutti si aspettavano un calo marcato e invece c’è stato un rallentamento ma inferiore alle attese e quindi le banche centrali non possono abbassare la guardia, dovranno per forza usare dei toni forti, non lasciare che i mercati si aspettino un taglio”, non dandolo per scontato neanche a giugno. Tuttavia, secondo Bova, Fed e Bce si presentano ai nastri di partenza in due situazioni diverse.
“La maggior parte dei membri della Bce si sono esplicitamente pronunciati per giugno – precisa l’analista di Mps – mentre nessun banchiere Fed ha mai fatto riferimento a quel mese. Qualcuno ha parlato di un taglio ‘in the summer”, questa estate, altri hanno detto “later this year’, intendendo a fine anno. Probabilmente questo significa che molti pensano di aspettare fino a luglio e poi di tagliarli tre volte fino a settembre”. Dunque, se mercoledì o giovedì Powell dovesse lasciar intendere che non è così scontato che la Fed possa tagliare a giugno, allora, dice Bova, “sui tassi le carte nell’immediato si rimescolerebbero e questo certamente non piacerà ai mercati”.
“Diciamo così – sintetizza Bova – nella Bce sembra ci sia un consenso maggiore su un primo taglio a giugno, nonostante l’inflazione da servizi resti relativamente forte, mentre nella Fed finora si è restati più nel vago sull’inizio dei tagli, perché gli americani non vogliono scoprire le carte e dare troppe indicazioni al mercato. La mia impressione è che la prossima settimana le parole di Powell potrebbero essere più da ‘falco’ rispetto a quelle della Lagarde. E questo per un motivo preciso e cioè perché gli Stati Uniti devono fare i conti con un’economia più forte”, e dunque con dei consumi alti, che tendenzialmente potrebbero far salire di più i prezzi nei prossimi mesi. Secondo la Fed di Atlanta, che solitamente fornisce stime piuttosto attendibili, il Pil Usa nel primo trimestre sta crescendo del 3%, mentre l’Europa arranca e la Germania ha già annunciato che nei primi tre mesi del 2024 entrerà in recessione tecnica.
“Il timore della Fed – spiega Bova – non è che l’inflazione non rallenti, ma che si stabilizzi su livelli superiori al 2%”. E la Bce? A parte i toni della Lagarde, che ribadirà che l’istituto si manterrà ‘data dependent, senza far esplicitamente riferimento a giugno, ma senza neanche escluderlo, c’e’ da dire che giovedì l’istituto di Francoforte fornirà le sue nuove stime economiche. “Abbasserà notevolmente le sue stime di inflazione per quest’anno – commenta Bova – ma non dovrebbe ridurre altrettanto quelle per il 2025-26, che sono quelle di medio termine su cui si basa il target del 2%. E questo perché la ‘core’ resta più alta del previsto”.