Nell’epoca della disintermediazione è normale che il primo annuncio di un impianto Neuralink su un essere umano arrivi da X. Se poi a scriverlo è Elon Musk, che ha comprato Twitter proprio per questo, non dobbiamo sorprenderci.
La sua strategia comunicativa prevede che si facciano dichiarazioni saltando i mondi dell’accademia e del giornalismo, realtà che trova ostili perché sistemiche, e quindi è facile capire perché sia stata scelta questa piattaforma per un evento che ambisce a essere un cambio di paradigma per lo sviluppo della società di impianti cerebrali che fa riferimento proprio al miliardario. Non è facile fidarsi di chi non si fida degli altri, ma le ambizioni di Neuralink sono notevoli: vuole far comunicare cervello e computer per lo scambio di dati e azioni.
Un riassunto fin troppo stringato per le cosiddette BCI, sigla di una spiegazione altrettanto troppo semplice: Brain-computer interface. Ben più comprensibile l’obiettivo per i destinatari di questo prodotto: utilizzare il cervello leggendo le onde celebrarli tramite un chip che è in grado di aiutare chi ha problemi neurologici e lesioni traumatiche. Insomma, è un impianto che vuole dare la possibilità ai pazienti di utilizzare quegli stimoli per controllare un dispositivo esterno.
Significa che anche coloro che si trovano paralizzati potranno utilizzare il proprio cervello per controllare una tastiera, un mouse o un’altra periferica. Ci vuole un buon livello di astrazione per comprenderne l’enorme potenziale, ma è altrettanto facile immaginare l’entusiasmo dei volontari.
Un percorso tra polemiche e critiche
L’annuncio di Elon Musk arriva a poco più di due mesi dalle polemiche politiche che hanno coinvolto la società. Come riportato dall’IEEE, un’associazione internazionale di scienziati professionisti con l’obiettivo della promozione delle scienze tecnologiche, il 21 novembre, in una lettera alla SEC (Securities and Exchange Commission), quattro membri della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti avevano chiesto alle autorità di regolamentazione di verificare se Musk avesse commesso una frode ingannando gli investitori sulla sicurezza del suo impianto cerebrale e sul suo ruolo nella morte di almeno 12 scimmie nei test fatti prima del lancio odierno.
Tra chi non si fida totalmente, probabilmente ci sono alcuni di coloro che hanno messo soldi nella società. Neuralink non è nei listini Nyse e Nasqad, per comprarne una partecipazione bisogna essere – come dicono gli americani – un “accredited investor”: tra di loro ci sono società di capitale interessate al settore, ma anche personaggi come Sam Altman o Fred Ehrsam, tutti con buoni amici a Washington per verificare la bontà del loro investimento.
Per conoscere il contesto facciamo un ulteriore passo indietro: dopo un primo tentativo effettuato – secondo un’indagine di Reuters – già all’inizio del 2022, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense aveva concesso lo scorso maggio a Neuralink l’approvazione per condurre test sull’uomo. Nel frattempo la società aveva continuato le attività di ricerca con la sperimentazione animale e con una condotta scientifica più volte contestata da alcuni professionisti come il dottor Nick Ramsey, neuroscienziato presso l’University Medical Center di Utrecht, nei Paesi Bassi. Musk – ovviamente sempre su X – aveva già risposto, anticipando anche la lettera alle autorità di controllo, affermando che i test non avessero causato morti tra le scimmie, che non ci fosse alcuna violazione dell’Animal Welfare Act, e che le procedure fossero corrette. Non ha convinto tutti, anzi, come spesso gli accade, ha solo alimentato la divisione in due fazioni tanto dell’opinione pubblica quanto del mondo accademico.
Lo scetticismo verso la tecnologia
Anche se le BCI hanno il potenziale di cambiare la vita delle persone affette da determinate condizioni mediche e di poter essere utilizzate per semplificare e migliorare le interazioni del pubblico in generale con la tecnologia, la loro percezione pubblica continua a essere negativa.
In uno dei più recenti sondaggi al riguardo, svolto da Pew Research nel 2022, il 56 per cento dei partecipanti ha risposto che “l’uso diffuso di impianti di chip di computer nel cervello per consentire alle persone di elaborare le informazioni in modo molto più rapido e accurato […] sarebbe una cattiva idea per la società”, mentre solo il 13 per cento ha detto che potrebbe essere una buona idea. C’è un problema e non si può pensare che la colpa ricada solo nelle modalità con cui Musk comunica. Dietro a queste paure, a volte anche irrazionali, ci sono molti fattori: attualmente la narrazione del futuro non è particolarmente rassicurante, i continui riferimenti a “Black Mirror” non aiutano, mentre raccontare la tecnologia è una sfida che dovrebbe andare oltre i risultati aziendali e gli annunci sui social. La vera sfida per Neurolink e per tutti coloro che fanno ricerca rimane quella di riuscire a sfatare i miti e colmare le lacune nella comprensione pubblica delle interfacce cervello-computer. Mica facile, per farlo non basterà certo un chip.