AGI – “La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel cosiddetto ‘saluto romano’, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista”, integra il reato previsto dall’articolo 5 della legge Scelba (n.645/1952), “ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”.
È quanto sancito dalle sezioni unite penali della Cassazione, le quali hanno anche affermato che “a determinate condizioni può configurarsi anche il delitto” previsto dalla legge Mancino (articolo 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205) che “vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Infine, le sezioni unite hanno anche stabilito che “tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità e che essi possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge”.
Il procedimento nell’ambito del quale si è arrivati alla trasmissione degli atti alle sezioni unite e, dunque, all”informazione provvisoria’ resa nota questo pomeriggio dalla Corte riguarda una manifestazione avvenuta a Milano il 29 aprile 2016, per commemorare la morte di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, alla presenza di oltre mille persone: gli imputati, è la ricostruzione degli inquirenti, risposero alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”.
In appello i giudici milanesi avevano ritenuto che i fatti contestati integrassero la fattispecie di reato prevista dall’articolo 2 della legge Mancino: il verdetto era stato impugnato davanti alla Cassazione dalle difese degli imputati. Le sezioni unite penali, oggi, hanno riqualificato il fatto come violazione dell’articolo 5 della legge Scelba e annullato con rinvio la sentenza impugnata, disponendo un processo d’appello-bis, per verificare se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del “concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.