AGI – Ottocentosettantove giorni. Tanto è durata l’avventura di Jose Mourinho sulla panchina della Roma, dall’esordio in Conference del 19 agosto 2021 (successo per 1-2 sul campo del Trabzonspor) al ko di domenica scorsa in casa del Milan (vista in realtà dalla tribuna, per l’ennesima squalifica).
Poco meno di due anni e mezzo più fortunati in Europa che in Italia ma vissuti dalla quasi totalità del popolo giallorosso nel culto dello Special One. Tutto in realtà comincia il 4 maggio 2021, quando l’annuncio dell’ingaggio del tecnico portoghese da parte dei Friedkin spiazza l’ambiente: il triennale firmato da uno dei tecnici più vincenti della storia del calcio viene letto dai tifosi come l’inizio di una nuova stagione.
Mou è fresco di esonero al Tottenham, arrivato a meno di una settimana dalla finale di Coppa di Lega e contro il parere dei tifosi: per molti un ‘dispetto’ della proprietà scontenta del settimo posto in Premier, un modo per impedirgli di tentare di mettere in bacheca un nuovo trofeo. Il 3-1 contro la Fiorentina – ritorno in A undici anni dopo il Triplete con l’Inter – con doppietta di Tammy Abraham sembra far presagire un campionato di vertice ma la corsa alla Champions fallisce e alla fine arriva solo un sesto posto: meglio, decisamente meglio il cammino in Conference League, dove la Roma arriva in finale, ed è la prima volta in una competizione europea dal 1991.
Il 25 maggio il Feyenoord viene battuto 1-0 con un gol di Zaniolo in una Tirana tinta di giallorosso: per il club è il primo trofeo dopo 14 anni mentre il portoghese diventa il primo tecnico a vincere tutte e tre le principali competizioni Uefa.
Il secondo anno, nonostante l’arrivo di Dybala, ha un andamento simile al primo, ma il legame con i tifosi diventa se possibile ancora più saldo, certificato da una serie consecutiva di sold out nelle partite casalinghe: e a mettere in secondo piano il sesto posto finale è di nuovo la campagna continentale, che approda alla finale di Europa League di Budapest contro il Siviglia, un inedito assoluto nella storia del club.
Finisce 1-1 ma ai rigori vincono gli spagnoli e alla Roma restano solo le recriminazioni per un penalty abbastanza evidente non concesso. In molti si aspettano che Mourinho, poco convinto dai programmi della società, che a sua volta gradisce poco la sua ‘guerra’ permanente agli arbitri, possa passare la mano e invece lui resta, confermando il suo straordinario feeling con la piazza (“sono uno di voi”).
Lo sbarco di Lukaku, accolto da una folla festante, pare poter coincidere con il tanto agognato salto di qualità ma il resto della campagna acquisti non è all’altezza delle attese e la media punti in campionato si abbassa pericolosamente.
Prima di Natale l’aggancio alla zona Champions sembra alla portata ma a gennaio tutto precipita: a decidere sono la sconfitta con il Milan e soprattutto il ko, l’ennesimo, nel derby. Dopo l’esonero, sui social rimbalza il nome di Conte ma la scelta è già presa, e cade su una ‘bandierà del club, Daniele De Rossi. Forse l’unico in grado, almeno per un po’, di consolare gli inconsolabili orfani di Mou.
AGI – Ottocentosettantove giorni. Tanto è durata l’avventura di Jose Mourinho sulla panchina della Roma, dall’esordio in Conference del 19 agosto 2021 (successo per 1-2 sul campo del Trabzonspor) al ko di domenica scorsa in casa del Milan (vista in realtà dalla tribuna, per l’ennesima squalifica).
Poco meno di due anni e mezzo più fortunati in Europa che in Italia ma vissuti dalla quasi totalità del popolo giallorosso nel culto dello Special One. Tutto in realtà comincia il 4 maggio 2021, quando l’annuncio dell’ingaggio del tecnico portoghese da parte dei Friedkin spiazza l’ambiente: il triennale firmato da uno dei tecnici più vincenti della storia del calcio viene letto dai tifosi come l’inizio di una nuova stagione.
Mou è fresco di esonero al Tottenham, arrivato a meno di una settimana dalla finale di Coppa di Lega e contro il parere dei tifosi: per molti un ‘dispetto’ della proprietà scontenta del settimo posto in Premier, un modo per impedirgli di tentare di mettere in bacheca un nuovo trofeo. Il 3-1 contro la Fiorentina – ritorno in A undici anni dopo il Triplete con l’Inter – con doppietta di Tammy Abraham sembra far presagire un campionato di vertice ma la corsa alla Champions fallisce e alla fine arriva solo un sesto posto: meglio, decisamente meglio il cammino in Conference League, dove la Roma arriva in finale, ed è la prima volta in una competizione europea dal 1991.
Il 25 maggio il Feyenoord viene battuto 1-0 con un gol di Zaniolo in una Tirana tinta di giallorosso: per il club è il primo trofeo dopo 14 anni mentre il portoghese diventa il primo tecnico a vincere tutte e tre le principali competizioni Uefa.
Il secondo anno, nonostante l’arrivo di Dybala, ha un andamento simile al primo, ma il legame con i tifosi diventa se possibile ancora più saldo, certificato da una serie consecutiva di sold out nelle partite casalinghe: e a mettere in secondo piano il sesto posto finale è di nuovo la campagna continentale, che approda alla finale di Europa League di Budapest contro il Siviglia, un inedito assoluto nella storia del club.
Finisce 1-1 ma ai rigori vincono gli spagnoli e alla Roma restano solo le recriminazioni per un penalty abbastanza evidente non concesso. In molti si aspettano che Mourinho, poco convinto dai programmi della società, che a sua volta gradisce poco la sua ‘guerra’ permanente agli arbitri, possa passare la mano e invece lui resta, confermando il suo straordinario feeling con la piazza (“sono uno di voi”).
Lo sbarco di Lukaku, accolto da una folla festante, pare poter coincidere con il tanto agognato salto di qualità ma il resto della campagna acquisti non è all’altezza delle attese e la media punti in campionato si abbassa pericolosamente.
Prima di Natale l’aggancio alla zona Champions sembra alla portata ma a gennaio tutto precipita: a decidere sono la sconfitta con il Milan e soprattutto il ko, l’ennesimo, nel derby. Dopo l’esonero, sui social rimbalza il nome di Conte ma la scelta è già presa, e cade su una ‘bandierà del club, Daniele De Rossi. Forse l’unico in grado, almeno per un po’, di consolare gli inconsolabili orfani di Mou.