Immaginate che un agente fisico o chimico provochi un’ustione ai vostri occhi. La cornea sarebbe danneggiata; in aggiunta, i meccanismi che fisiologicamente provvedono al rimpiazzo delle cellule corneali malate o morte, mediati da un particolare tipo di cellule staminali dette cellule staminali limbari, sarebbero probabilmente gravemente compromessi. In queste condizioni, la cornea viene inoltre invasa da tessuto vascolare, e, oltre ad un possibile stato di infiammazione più o meno grave, questo porta a una severa perdita dell’acuità visiva.
Ora, pensate che cosa si sono inventati alcuni ricercatori italiani: prelevando al soggetto con gli occhi danneggiati una biopsia dal tessuto limbare superstite, e così “catturando” quante più cellule staminali possibili, creano una coltura in laboratorio, ottenendo un foglietto di nuove cellule corneali dette autologhe, cioè con tutte le caratteristiche proprie dell’individuo a cui è stata fatta la biopsia. Questo foglietto, fatto di 79.000 – 316.000 cellule/cm², contiene anche circa il 3.5% di cellule staminali, oltre a cellule della cornea nuove di zecca, e ha la forma di un disco, con un supporto di fibrina, molto simile ad una grande lente a contatto morbida.
Questo disco, tutto fatto come si è detto di cellule ottenute dal paziente stesso, viene alla fine reimpiantato nell’occhio danneggiato; se il danno originario era superficiale, l’intervento è risolutivo, mentre se il danno era piuttosto profondo, l’intervento va affiancato dal tradizionale trapianto di cornea, che tuttavia, in assenza delle cellule staminali ottenute nel modo anzidetto, non avrebbe possibilità di successo.
Pensate: a partire da un pezzettino piccolissimo dell’occhio del paziente, sfruttando le meravigliose proprietà delle giuste cellule staminali e con la corretta procedura di laboratorio, alla fine si rigenera una cornea e si ridona la vista a chi, magari compiendo il suo lavoro, l’ha persa ed è entrato in un pozzo di sofferenza apparentemente senza uscita.
Questa ingegneria tissutale basata su cellule staminali autologhe non è stata sviluppata ad Harvard: è stata invece messa a punto da un piccolo ed efficiente gruppo di ricerca italiano, che, avendo scoperto che le staminali giuste risiedevano nella porzione di occhio chiamata limbus, ha ottenuto prima tutti i dati di ricerca e alla fine anche la prima approvazione nel 2015 da parte della Commissione Europea per l’immissione in commercio di un prodotto capace di rigenerare un tessuto basato su cellule staminali.
Il gruppo di ricerca risiede a Modena, e il nome del prodotto che racchiude la ricerca e la tecnologia da quel gruppo messa a punto è Holoclar.
Holoclar è un prodotto di Holostem e del Centro di Ricerca per la Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia (straordinariamente assente in questo periodo, ma avremo modo di discuterne in seguito), messo in pericolo dalla vicenda che abbiamo messo più volte in luce su queste pagine, che potrebbe fra due giorni portare alla definitiva liquidazione dell’azienda per insipienza e burocrazia combinate insieme.
Come per i bambini farfalla, che non avranno più una nuova pelle, i pazienti in attesa di Holoclar sono ormai quasi condannati al buio, e i loro medici, da tutto il mondo, sono attoniti. Da Monaco, in Germania, uno di questi medici scrive ad esempio che vorrebbe notizie, visto il disperato bisogno clinico di Holoclar per pazienti a cui era stata prospettata l’opzione terapeutica. Similmente, dalla Danimarca, un medico chiede di sapere quando potrà avere accesso al farmaco per altri pazienti, visto che “In passato abbiamo trattato un giovane paziente con il prodotto Holoclar e dopo quattro anni, questo giovane paziente ha ancora un’acuità visiva quasi normale e nessun disagio oculare”. Da Liegi, in Belgio, un altro medico attonito si chiede perché non si hanno più notizie del prodotto, visto il “bisogno clinico” urgente. Dall’Inghilterra, un altro medico chiede, alla luce dei buoni risultati ottenuti, si domanda quando avranno accesso nuovamente al prodottom visto che hanno moti pazienti in attesa e considerato che il farmaco in quel paese è rimborsabile. Un altro medico, ancora in Germania, chiede quando i suoi otto pazienti che attendono avranno Holoclar, per il quale l’assicurazione provvederebbe al rimborso.
Messaggi disperati di questo tenore arrivano pure da altri medici in Inghilterra, in Olanda e in Germania, ma non mancano gli appelli da centri nel nostro paese, a Roma e Milano, dove i pazienti erano già in attesa e già rassicurati dai propri medici circa la possibile terapia che finalmente avrebbe potuto risolvere la loro grave condizione.
Il quadro è chiaro: le attività di Holostem, che la Fondazione Enea Tech e Biomedical avrebbe consentito di continuare, sono ormai arrivate ad un binario morto, e non appare per nulla rassicurante il procedere del Ministero per le Imprese e il Made in Italy, che intende rimettere tutto sul tappeto, affidando alla stessa sede che presumibilmente ha creato il problema – la burocrazia ministeriale rappresentata da qualche dirigente interno – la sua soluzione, perché è ovvio che, per salvare la faccia, si continuerà a dire che la soluzione già pronta non è praticabile (invocando per esempio a sproposito la normativa sugli aiuti di stato).
Non si capisce che, con due giorni di tempo prima della liquidazione, ma più ancora con un’incertezza anche nel caso della soluzione alternativa che dovrebbe essere provata, se pure si riuscisse a posporre la liquidazione, si rischierebbe di non provvedere più in tempo né per i pazienti e i loro clinici, né per i lavoratori della conoscenza che di Holostem sono l’ossatura, e che hanno già aspettato sin troppo una soluzione promessa, salvo, all’ultimo minuto, bloccarla.