AGI – Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, è finita sotto processo, insieme ad altri 11 imputati, per aver gestito, secondo le accuse in maniera clientelare, i beni confiscati alla mafia e avere messo in piedi un vero e proprio “sistema” per la procura nissena.
Al suo fianco anche alcuni suoi “fedelissimi”, tra commercialisti, professori universitari, amministratori giudiziari, uomini in divisa e alcuni familiari. In cambio avrebbe ricevuto favori, assunzioni, regali e soldi in contanti. In primo grado è stata condannata dal Tribunale di Caltanissetta a 8 anni e sei mesi.
In secondo grado, la Corte d’appello di Caltanissetta, il 20 luglio 2022, le ha inflitto una condanna più pesante a 8 anni e 10 mesi per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. In appello cadde l’accusa di associazione a delinquere.
Silvana Saguto, radiata dalla magistratura, secondo i pm nisseni, insieme a quello che è stato definito dai giudici di Caltanissetta il suo “cerchio magico” avrebbe fatto un uso “distorto” dei beni confiscati alla mafia.
A tradirla sarebbe stato il suo tenore di vita e quello della sua famiglia, definito troppo elevato. Accanto a lei, l’ex re degli amministratori giudiziari, Gaetano Cappellano Seminara, che secondo l’accusa, avrebbe consegnato all’ex giudice, una mazzetta da 20 mila euro contenuta in un trolley.
Adesso la Cassazione ha dichiarato irrevocabile la sentenza di secondo grado ma solo parzialmente, riqualificando invece alcuni capi di imputazione, dichiarando la prescrizione di altri, mentre altre accuse nei confronti degli imputati (12 in totale nel processo) sono cadute per pronuncia di assoluzione. La Suprema Corte ha dunque disposto un appello-bis a Caltanissetta per rideterminare la pena al ribasso.
La difesa ha sempre sostenuto che in quel trolley ci fossero solo dei documenti. Per la procura di Caltanissetta era invece il prezzo della corruzione. Secondo il tribunale di Caltanissetta “i reati sono stati commessi ciascuno in adesione a un patto corruttivo, di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti senza che mai si possa individuare l’appartenenza a un gruppo stabile e duraturo”.
A finire sotto processo, accanto a Silvana Saguto e a Cappellano Seminara, condannato in appello a 7 anni e sette mesi, il marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma, che in secondo grado ha avuto 6 anni e 2 mesi, il figlio Emanuele Caramma 4 mesi, l’ex prefetta di Palermo Francesca Cannizzo e il professore della Kore di Enna ed ex amministratore giudiziario Carmelo Provenzano, entrambi condannati a 3 anni.
Il tenente colonnello Rosolino Nasca, due anni e 8 mesi; l’avvocato Walter Virga, un altro amministratore giudiziario del “cerchio magico”, un anno e 4 mesi. Roberto Di Maria, preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna un anno e dieci mesi, il commercialista Roberto Santangelo condannato a 4 anni e due mesi, Maria Ingrao, moglie di Provenzano e Calogera Manta, la cognata, condannate a 2 anni e 8 mesi.
“Questo non è un processo all’antimafia o a una certa antimafia. Abbiamo solo fotografato alcune condotte illecite. E vi assicuro che è stato un processo doloroso, molto doloroso anche per noi, non solo per gli imputati. Un dolore lancinante, un coltello senza manico. Ci siamo feriti anche noi”, aveva detto durante la sua requisitoria l’ex procuratrice generale di Caltanissetta, Lia Sava.
L’accusa sottolineava anche che “nessuno di noi ha messo in dubbio l’importanza strategica dell’Ufficio Misure di prevenzione nel contrasto alla mafia. Solo che a un certo momento il sistema si è ammalato”.
E ancora: “Noi non abbiamo titolo per dare giudizi morali, se avessimo voluto parlare di etica avremmo selezionato capi di imputazione generici. Vi assicuro che abbiamo maneggiato con cura il materiale probatorio”. Silvana Saguto ha sempre rivendicato la correttezza delle sue azioni.