AGI – È una delle pagine più tristi del secondo dopoguerra per Roma, per la comunità ebraica della Capitale, per tutti i romani e italiani. Il 9 ottobre del 1982, un commando di cinque terroristi di origine palestinese, appartenente al Consiglio Rivoluzionario Al Fatah di Abu Nidal, alle 11.55 lanciò tre bombe ed esplose raffiche di mitra sulla folla.
I cinque si erano vestiti in abito elegante, per non destare alcun sospetto. E questo perchè quel sabato era giorno di shabbat ma si celebrava anche una benedizione dei bambini. Il Tempio quindi era affollatissimo, oltre 300 persone. Ma bastarono meno cinque minuti per sconvolgere la Comunità e la città di Roma.
Tre terroristi si disposero in modo da bloccare via Catalana, dove si trova l’uscita posteriore della Sinagoga e altri due, si misero davanti all’ingresso del Tempio. Alla richiesta dell’agente di sicurezza di rendere note le generalità, i due davanti alla Sinagoga risposero con il lancio delle bombe e poi iniziarono a sparare all’impazzata.
Sirene della polizia, carabinieri, iniziarono a risuonare intorno al quartiere ebraico, sul lungotevere il traffico andò subito in tilt. Gli attentatori riuscirono a fuggire a bordo di una Volkwagen rossa e di una Austin Bianca, almeno così raccontarono i testimoni. Quelle auto sembra fossero state viste anche nei giorni precedenti.
A terra, davanti al tempio, la tragedia: 37 persone ferite e un morto, un bimbo di due anni. Stefano Gaj Tachè fu colpito a morte da una scheggia della bomba a mano mentre il fratellino Gadiel Gaj Tachè di 4 anni e i genitori, rimasero feriti. Roma e la comunità ebraica fecero i conti con il più grave attentato antisemita della seconda metà del novecento.
Cinque mesi prima, era iniziata la guerra del Libano. Non erano mancate a Roma, avvisaglie di ostilità verso la comunità ebraica: una bara posta davanti alla Sinagoga durante un corteo Cgil, uno striscione offensivo in via Garfagnana con la scritta “Bruceremo i sionisti”.
Presidente del Consiglio all’epoca, era Giovanni Spadolini che si recò sul posto per offrire partecipazione all’allora Rabbino Capo Elio Toaff. C’era appena stata a Roma la visita del leader dell’Olp Arafat, ricevuto dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, dal Papa e dal sindaco di Roma.
Spadolini e Marco Pannella non lo ricevettero e la partecipazione del presidente del Consiglio fu ben accolta dalla Comunità.
Il consigliere comunale romano Bruno Zevi, in un duro discorso pubblicato integralmente sui principali quotidiani alcuni giorni dopo, puntò il dito contro le autorità italiane per non aver ascoltato le richieste della comunità preoccupate per le minacce subite nei giorni scorsi e contro l’antisemitismo sempre presente.
Dei cinque terroristi responsabili dell’assalto ne venne identificato solo uno, Al Zomar, che però, pur arrestato in Grecia per traffico d’armi, non venne estradato in Italia e quindi non scontò nemmeno un giorno di prigione per l’attentato alla sinagoga di Roma. A lui si arrivò grazie alla fidanzata italiana e alla sua testimonianza.
La ragazza, rivelò agli investigatori italiani i motivi del viaggio di Al Zomar e il suo diretto coinvolgimento nell’attentato al Tempio, specificando che il fidanzato, militante dell’Olp e già presidente del Gups (General Union of Palestine Students) le aveva confidato particolari sull’attentato.
Al Zomar dopo aver scontato la pena in Grecia, andò in Libia, dove si dice sia rimasto fino alla caduta del regime di Gheddafi.
Nel 1991 fu condannato in contumacia all’ergastolo per strage dalla Corte d’Appello di Roma. Degli altri non si sa praticamente nulla. Nelle indagini che hanno preceduto l’unico processo celebrato, sono comparsi numerosi soggetti che risultavano essere legati al FPLP, altri al GUPS, altri ancora avevano legami con il gruppo di Abu Nidal.
Un fascicolo con l’ipotesi di reato di strage, è stato aperto nel 2020 dai pm di Roma. Il procedimento era stato avviato assieme ad altri ‘cold casè all’indomani della desecretazione di alcuni atti dell’inchiesta di 40 anni fa.
Di quella pagina tragica della storia di Roma, resta oggi la testimonianza e il dolore di chi c’era, dei famigliari del piccolo Stefano a cui è stata dedicata la piazza sul luogo dell’attentato con una cerimonia avvenuta nell’ottobre del 2007.
Ogni anno in occasione della ricorrenza, si svolge una cerimonia di commemorazione cui partecipano le autorità italiane e quelle religiose ebraiche, il sindaco di Roma, il presidente della Comunità Ebraica della Capitale, rappresentanti dello Stato di Israele. Ogni anno, nel ricordo della più piccola vittima della strategia del terrore in Italia sino a oggi.