La crisi climatica e quella ambientale sono una delle più importanti conseguenze del successo della nostra specie e una delle più grandi sfide che ci troviamo ad affrontare, in quanto comunità di individui consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni.
Tuttavia, come sempre per temi particolarmente ad alto impatto e quindi di grande rilevanza, anche la semplice discussione dei dati che la scienza ci presenta produce immediatamente conseguenze emotive e sociali molto forti, che includono atteggiamenti anche estremi di rifiuto del dato scientifico in favore di assunzioni più confacenti all’allineamento dei nostri processi cognitivi con i nostri interessi e preconcetti ideologici, economici e anche psicologici.
Nonostante si tenda a stigmatizzare – a buon diritto, direi – il rifiuto del dato scientifico nella parte in cui esso riflette l’avanzamento del degrado ecologico e le sue conseguenze, già iniziate ma anche future, in realtà vi è una seconda, perniciosa abitudine al rifiuto che interessa proprio la parte più consapevole della crisi in atto: il rifiuto delle possibilità suggerite dalla scienza e dalla tecnologia, e la fiducia nel fatto che sia possibile trovarne, perché non implicano una punizione ed una demonizzazione direi quasi morale del motore primo del disastro, ovvero le abitudini di consumo e di vita soprattutto della parte più avanzata e più ricca della popolazione.
Eppure, non vi è alcuna speranza che, avvicinandoci ai dieci miliardi di persone e allo stratosferico numero di animali e piante necessari a sostentarle, nonché di risorse anche elementari come l’acqua da bere, sia possibile uscire dalla crisi, anche se con una bacchetta magica facessimo scomparire l’odiata economia di mercato, il colpevolissimo stile di vita occidentale e, con quelli, la conoscenza scientifica e tecnologica che da essi è alimentata: l’estinzione nostra e di una buona parte dei viventi sul nostro pianeta sarebbe invece accelerata, perché nessuno accetterebbe di morire ordinatamente a favore della preservazione delle risorse, come già è possibile vedere considerando guerre e disordini causati dalla semplice iniquità nell’accesso alla ricchezza.
Il pessimismo è una condizione che può anche derivare dalla pacata e razionale osservazione delle cose, considerando lo status quo e la sua probabile traiettoria evolutiva; ma l’ottimismo e la fiducia in scienza e tecnologia è l’unico che può consentire di cambiare sia lo status quo sia la traiettoria più probabile, in favore di soluzioni che già oggi la scienza ci addita come possibilità utili e tentativi da fare (di certezze, sia chiaro, non ce ne sono e non ne avremo mai).
Basta dunque negare la crisi ambientale o l’origine antropica del cambiamento climatico, ma basta anche, e finalmente, rifugiarsi nella semplice denuncia e nella favole della natura buona, dell’equilibrio del creato e della decrescita felice: è ora di chiedere invece, come ha fatto Greta, di abbracciare in toto la scienza ed il suo modo di procedere, non ignari degli interessi in grado di condizionarla, certo, ma proprio per questo costruendo un interesse più forte e più grande, quello dei cittadini e delle moltitudini, per indirizzare l’ecologismo verso la modernità, spingendo per l’adozione delle tecnologie migliori che abbiamo intanto che ne studiamo di ancora più avveniristiche, invece di rifiutare anche la semplice idea che possano esserci dei rimedi – fossero anche parziali, ma una moltitudine di essi – ai problemi più impellenti di inquinamento, efficienza e fame energetica, alimentazione, recupero, trattamento e smaltimento dei rifiuti.
Basta scelte scellerate che portano allo spegnimento o al rifiuto delle centrali nucleari, spingendo in alto il consumo di gas e di carbone, come è avvenuto nella verdissima e avanzatissima Germania; basta al rifiuto preconcetto (senza quindi contare quei casi di rifiuto giusto e motivato) di termovalorizzatori, impianti di ogni genere, trasporti su binario, OGM, nucleare e ogni tecnologia utile nel nostro paese, salvo poi finire nelle mani di venditori come la Francia per l’energia, il Canada per gli OGM, paesi esteri e mafia per il trasporto e lo smaltimento disastroso dei rifiuti e così via.
È ora di mettere alla porta i negazionisti della scienza, sia quando negano l’esistenza o la rilevanza di una crisi e la sua origine antropica, sia quando pretendono che la soluzione sia estinguere in partenza ogni possibile strada per uscirne, senza passare attraverso un punitivo bagno di sangue, dall’esito peraltro scontato per la nostra specie e per molte altre.
Se non alla scienza, date retta a Greta, quando chiede di seguirla.