Qualche giorno fa, il bravo Andrea Capocci, fisico approdato al giornalismo, ha portato alla luce una serie di importanti problemi in otto lavori scientifici fra i cui autori spicca il ministro Orazio Schillaci.
Ora, anche per rispondere a chi trova strano che io non ne scriva, occupandomi da circa 15 anni di frode scientifica e manipolazioni di immagini, è arrivato il momento di condividere qualche considerazione con i miei lettori, andando un pochino oltre quanto è già stato abbondantemente discusso su quotidiani, ma anche su riviste scientifiche del calibro di Science.
Prima però ricapitoliamo brevemente i fatti: negli otto lavori del ministro citati da Andrea Capocci, grazie all’uso del software ImageTwin sono state trovate immagini duplicate (ma che dovrebbero rappresentare esperimenti diversi) oppure anche prese da altri lavori precedenti, cambiandone la descrizione (fino al punto che un’immagine è usata per rappresentare cellule di cancro alla prostata in un lavoro, e di cancro al seno in un altro). In più di un lavoro l’attuale ministro è autore corrispondente, considerato più importante, e vi è almeno un caso in cui un manoscritto è stato inviato per la pubblicazione dall’autore corrispondente (il ministro) direttamente a riviste predatorie, come evidente sia dalla loro presenza nella lista corrispondente che, soprattutto, da una rapida analisi delle supposte società di editoria scientifica che quelle riviste detengono (che risultano per esempio avere la sede ad un incrocio stradale in una periferia canadese, in una casetta).
Analisi successive, si spera condotte rapidamente dal ministro e dai suoi collaboratori scientifici dell’epoca, dovranno chiarire se quanto trovato è il risultato di sciatteria (immagini messe più o meno a caso, perché i dati non sono stati opportunamente raccolti e conservati o perché i lavori sono stati assemblati in fretta e furia e senza cura) o di intenzione fraudolenta, e, in ogni caso, di chi sia la responsabilità e di come evitare ogni successivo verificarsi di tali episodi, secondo regole consolidate e pratiche che dovrebbe adottare ogni laboratorio.
Inoltre, ci si attende che il ministro e gli altri autori immediatamente provvedano a correggere il record scientifico, ritrattando gli articoli da ritrattare e correggendo gli altri; anche per questo esistono procedure, pratiche e organismi consolidati, che qui non discuterò oltre.
Di punizioni, pene e altre misure repressive non intendo invece occuparmi; questo non è il tribunale del popolo, e preferisco lasciare ad altra sede la valutazione dell’opportunità di dimissioni, della chiusura di un laboratorio o altri eventuali esiti, che in ogni caso non possono essere anticipati a questo stadio, senza aver ricostruito davvero e con la massima meticolosità i fatti.
Detto ciò, passiamo a qualche punto più generale, e per questo a mio giudizio di interesse maggiore, circa altri fatti, che invece sono già ben consolidati ed emergono con chiarezza.
Partiamo dalla produzione scientifica del ministro. Nel periodo 2005-2011, troviamo su Web of Science che l’allora componente “semplice” del corpo accademico di Tor Vergata pubblicava una media di 4,4 articoli scientifici all’anno, con un notevole massimo nel 2006 di 9 pubblicazioni. Dal 2012 al 2018, quando Schillaci diventa prima vicepreside e poi preside della facoltà di medicina di Tor Vergata (e nel 2018 direttore del dipartimento di oncoematologia del Policlinico di Tor Vergata), la media passa a 18,6 pubblicazioni all’anno, con un massimo di 27 pubblicazioni nel 2018 – in media un lavoro pubblicato (non sottomesso, pubblicato!) ogni due settimane. Dal 2019 al 2022, quando Schillaci è prima rettore e poi ministro, abbiamo una media di 28 pubblicazioni annue, con una punta di 33 nel 2019 – un articolo scientifico pubblicato ogni 6 giorni lavorativi, assumendo 200 giorni lavorativi in un anno. In sostanza, più Schillaci, progredendo verso ruoli di responsabilità gestionale e di politica, si allontana dal laboratorio e dalle sedi concrete della ricerca medica, più aumenta, fino a raggiungere numeri insostenibili, il numero di pubblicazioni su cui mette la firma; e questo limitandosi a Web of Science, che non prende in considerazione tutte le possibili pubblicazioni scientifiche, ma solo quelle che soddisfano alcuni criteri minimi di qualità.
Ora, considerando anche che il lavoro di preside, di rettore o di ministro non sono certo passatempi per i ritagli di tempo, è evidente come qui si sia di fronte ad un potenziale abuso: la firma di Schillaci è stata apposta troppo frequentemente e su troppi lavori, così che è ben possibile che non abbia davvero contribuito in maniera significativa a tutti. Ciò, a sua volta, rende non evadibile la questione riguardante quanti e quali siano i lavori cui egli ha davvero contribuito in misura tale da poter esserne autore. Siamo probabilmente di fronte a un classico dell’accademia, soprattutto in materie biomediche: la “firma d’onore” per il capo di un gruppo o di una struttura di ricerca, un comportamento che, di per sé, è stigmatizzato da tutte le regole in materia come cattiva condotta scientifica. D’altra parte, l’assunzione del merito per così tanti articoli scientifici coincide anche con l’assunzione di un rischio preciso: più si firma, meno si legge, più è probabile trovarsi nella scomoda posizione in cui si trova oggi il ministro – quella di essere autore, e a volte autore corrispondente, di articoli contenenti dati fasulli o plagiati o comunque scorretti. La fiducia nei collaboratori non sempre è ben riposta, e moltiplicare le occasioni in cui essa è messa alla prova significa aumentare il rischio, senza contemporaneamente tutelarsi con il principale dei controlli – quello di leggere bene ciò che si sta firmando, con l’accuratezza e l’attenzione necessarie e richieste a tutti gli autori di una pubblicazione scientifica.
Vi è poi un secondo punto, direttamente legato alle pratiche valutative che nel nostro paese vedono il trionfo di una miriade di bizantinismi bibliometrici. Il ministro ha firmato e inviato, come si è detto, manoscritti a riviste chiaramente predatorie; una cosa che, ancora una volta, con dei semplici controlli e un po’ di tempo è possibilissimo evitare. Sempre che egli non abbia fatto eseguire le operazioni necessarie a suo nome da terzi, ovviamente; ma diamo per scontato che così non sia. Qual è la ragione per chi, al tempo, era rettore, di inviare una pubblicazione su una rivista online, così oscura da essere terminata con cinque articoli ed un solo numero, la cui casa madre ha una sede dichiarata in una casetta in Canada? Forse perché vi sono alcune metriche per la valutazione del personale medico sanitario, legate semplicemente al numero di pubblicazioni che un autore può esibire? Non sono abbastanza esperto della valutazione bibliometrica italiana per rispondere, ma resta il fatto che, usando soldi pubblici, a nome di un rettore si è pubblicato un lavoro in una sede predatoria – e non sembrerebbe nemmeno essere l’unico caso.
Terzo punto: il ministro Schillaci non è certo l’unico clinico o ricercatore attualmente in politica il cui curriculum è macchiato da articoli con immagini riutilizzate impropriamente o manipolate. Per esempio, la senatrice Castellone, che descrive se stessa ricordando il proprio ruolo di “medico, ricercatrice in campo oncologico”, ha al suo attivo più firme su lavori che sono stati trovati contenere immagini manipolate, tanto che in almeno un caso si è arrivati a una ritrattazione; eppure, nonostante nel caso di altri lavori le manipolazioni siano note anche pubblicamente da moltissimi anni (contrariamente a quanto succede per il ministro Schillaci), quei lavori non sono stati corretti.
Gli esempi sono anche altri, ma credo che il concetto sia chiaro: la classe politica, nella sua componente che proviene dai laboratori e dagli ospedali, non è certo immune dagli stessi problemi che interessano l’accademia tutta e i lavori di biomedicina in particolare, per cui ciò che è accaduto al ministro Schillaci non è una sorpresa.
Questa volta, visto il clamore suscitato, riusciremo finalmente a implementare regole uniformi e chiare in ogni Università e in ogni centro di ricerca del nostro paese, come per altro ha fatto il Cnr? Riusciremo poi a far sì che queste regole siano davvero rispettate, con procedure che non si scontrino con ricorsi al Tar, come è avvenuto più volte in passato?
Potremo quindi, una volta per tutte, abolire l’incentivo principale a tutti i comportamenti scorretti nell’ambito della pubblicazione scientifica, ovvero l’utilizzo degli articoli pubblicati ai fini della valutazione di individui ed enti, visto il livello che ormai definirei anche ridicolo al quale siamo arrivati?