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Trent’anni fa moriva Don Puglisi, il prete di strada ucciso dalla mafia

Set 15, 2023

AGI – La sua parrocchia era la strada. Qui ha reso feconde e irriducibili vocazione e passione, decidendo di incontrare gli uomini, i giovani, dentro la loro fatica di vivere. Il 15 settembre di trent’anni fa, era il 1993, padre Pino Puglisi è stato ucciso, nel giorno del suo 56esimo compleanno, dalla mafia di Brancaccio.

Il 25 maggio 2013, nel grande prato verde del Foro Italico, che guarda il mare, è stato beatificato. “Un religioso austero e rigoroso, calato nel sociale, immerso nella difficile realtà del quartiere”, scrivevano di lui i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna dei killer. L’esecuzione ordinata dai boss fu “martirio”, commessa “in odio alla fede”. Per la Chiesa il parroco di Brancaccio è Beato. Per tutti coloro che l’hanno conosciuto resta ‘3P’, Padre Pino Puglisi.

L’ingresso in seminario

Pino nasce a Palermo da Carmelo Puglisi, calzolaio, e Giuseppa Fana, sarta. Ha due fratelli più grandi: Gaetano e Nicola (che morirà nel 1948) e uno più piccolo, Francesco. La famiglia sfollata a Villafrati nel 1943 a causa della guerra alla quale partecipa il padre, torna a Palermo due anni dopo e abita in via Messina Marine. Ministrante e membro dell’azione cattolica, nel 1953, a 16 anni chiede e ottiene con una lettera all’arcivescovo Ernesto Ruffini, di essere ammesso al seminario.

Diventa prete il 2 luglio 1960: regala a tutti un piccolo biglietto con una preghiera semplice: “O Signore, che io sia strumento valido nelle tue mani per la salvezza del mondo”. L’impegno in varie parrocchie cittadine, l’insegnamento nelle scuole, l’assistenza spirituale di volontari, religiosi e giovani di Azione cattolica.

Nel 1968 ha 31 anni e otto di sacerdozio. Aveva già conosciuto la miseria umana e spirituale di alcuni quartieri poveri di Palermo e già attraeva come una calamita i giovani. In quel momento decide di immergersi nelle macerie umane e materiali del terremoto che abbattè la Valle del Belice.

Va a Montevago, cancellata in una notte, tra il 14 e il 15 gennaio, e condivide tutto con gli sfollati. Quindi il lavoro a Romagnolo, Decollati e Scaricatore. Dal 1970, per otto anni, è parroco a Godrano. Alla fine degli anni 70 si trasferisce con i genitori nella casa popolare di piazzale Anita Garibaldi 5, a Brancaccio, dove verrà ucciso.

Padre tra i giovani. “sì, ma verso dove?”

Nel ’73 inizia l’impegno nel Cdv, il Centro diocesano vocazioni, di cui diviene direttore nel ’79. Segue i giovani in ricerca vocazionale, trovando terreno fertile per la sua naturale inclinazione alla gioia, all’ascolto, all’accoglienza, alla promozione umana e personale, all’accompagnamento e alla guida spirituale, mobilitando migliaia di ragazzi.

La direzione seguita è inedita: nessuno spingerà un giovane verso strade precostituite. L’essenziale sarà diventare uomo, diventare donna. Dentro una domanda fondamentale: “Sì, ma verso dove?”, cioè verso quale meta orientare la vita, verso quali chiamate, quale vocazione? Nella consapevolezza che la vita è valida se donata. Nel 1990 è assistente spirituale della Fuci. è guida spirituale di tanti uomini e donne, segue le ragazze madri ospitate nell’Opera Pia Ruffini.

Parroco a brancaccio. “se ognuno fa qualcosa”.

Il 29 settembre 1990 diventa parroco di San Gaetano, a Brancaccio, chiamato dal cardinale Salvatore Pappalardo. Al suo fianco alcune assistenti sociali volontarie della scuola di servizio sociale Santa Silvia.

Qui continua a fare quello in cui crede: il Gesù che ha vissuto e raccontato non può restare nel chiuso delle chiese o solo fra le persone che frequentano la parrocchia, ma deve portare la pace e la giustizia ovunque, in ogni strada, anche laddove la mafia vuole dominare le persone. 3P abbatte le pareti del tempio per fare di Brancaccio la casa di Dio.

Nel quartiere c’erano tanti problemi e nessuno cercava di risolverli, nemmeno gli amministratori locali. Tante persone non sapevano nè leggere nè scrivere, altre non avevano un lavoro ed erano povere. Non c’era la scuola media e i ragazzi passavano il loro tempo in strada. Don Pino diceva: “È vero non abbiamo niente, ma possiamo rimboccarci le maniche. E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”.

Bisognava costruire una vita buona per tutti, lontano dalla paura e dai ricatti. Cerca e accoglie i più piccoli e i giovani. Incontra gli adulti e le famiglie. Aiuta i condomini di uno stabile di via Hazon a organizzarsi per ottenere migliori condizioni di vita e liberare gli scantinati diventati centrale degli affari della cosca. Prende posizione contro le intimidazioni alla parrocchia e al comitato di via Hazon.

Il Centro Padre Nostro

Nel gennaio del ’91 presenta il primo lavoro di indagine socio-pastorale sul quartiere. A luglio stipula il compromesso per l’acquisto della casa che ospiterà il Centro d’accoglienza Padre Nostro. A ottobre arrivano le Sorelle dei poveri di Santa Caterina di Siena che si occupano del centro. Dopo le stragi di mafia promuove manifestazioni e forme di sensibilizzazione nel quartiere.

Dall’ottobre del ’92 è anche direttore spirituale del seminario. Intanto promuove e segue il primo convegno di studio su “Parrocchia, pastorale della carità, territorio”, nella parrocchia di Brancaccio. Tra il dicembre ’92 e l’aprile ’93 il tema è “Itinerario per una catechesi sul Padre nostro a confronto con la cultura e la mentalità mafiosa”, per i giovani della Fuci. 

Il 24 dicembre del ’92 don Puglisi e suor Carolina scrivono una lettera ai detenuti di Brancaccio reclusi all’Ucciardone: “Comprendiamo la vostra sofferenza. È nostra intenzione venirvi a trovare, perchè incontrandoci e parlandoci si possono creare le condizioni di spirito per vivere con quella serenità necessaria per affrontare in maniera diversa le difficoltà della vita”. Il 29 gennaio 1993 è inaugurato il Centro Padre Nostro.

La mafia uccide il prete della gente

Ad aprile iniziano le minacce esplicite nei confronti di padre Puglisi. Gli operai della ditta che si è aggiudicata l’appalto per il rifacimento del tetto della parrocchia riferiscono che una persona li ha avvicinati gridando una minaccia in dialetto siciliano: “Il prete sa dove deve andare”.

Il 21 maggio fiaccolata antimafia organizzata dal parroco a Brancaccio per il primo anniversario della strage di Capaci. Il giorno dopo attentato incendiario al furgone della ditta posteggiato davanti alla parrocchia. Il 25 luglio l’iniziativa “Brancaccio per la vita”, organizzata dal parroco per il primo anniversario della strage di via D’Amelio. Il giorno dopo viene pestato un ragazzo del Centro Padre Nostro. Gli intimano di dire al prete che li deve lasciare lavorare da ora in poi. Il 15 settembre don Pino viene ucciso.

La Cassazione ha sancito nella sentenza – che ha condannato all’ergastolo Giuseppe e Filippo Graviano, accusati di avere ordinato il delitto, e i componenti del commando Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Nino Mangano – che padre Puglisi era stato ucciso per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, un formatore di coscienze.

“Non sono un biblista – diceva di sè il parroco – non sono un teologo, nè un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio”. Un terreno di impegno nel quale coinvolgere tutti: “E se ognuno fa qualcosa”, era il senso della sua sfida. Per tutto questo è stato assassinato: un colpo di pistola alla nuca esploso dal killer Salvatore Grigoli, adesso collaboratore di giustizia, condannato a sedici anni. “C’era una specie di luce in quel sorriso che mi rivolse – ha raccontato – che mi aveva dato un impulso immediato. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa”. 

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