AGI – Una legge specifica non c’è, ma il cellulare in classe non è consentito da una direttiva del 2007. Sembrerebbe una disposizione adatta a un’era geologica fa, ben prima che nella vita di adolescenti, e finanche bambini, irrompesse uno smartphone con tanto di social, fotocamera da milioni di pixel e motore di ricerca più reattivo di un prof dalla cultura sconfinata.
E invece il testo è ancora in vigore e si presta a tutte le interpretazioni possibili. Con la ripresa delle attività scolastiche, la questione torna prepotentemente sul tavolo: cellulari e tablet a scuola sono uno strumento didattico o una distrazione infernale?
A seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere si possono considerare gli innumerevoli episodi di bullismo via social, di video usati per denigrare e mortificare il compagno di scuola più fragile, di compiti in classe copiati da uno schermo di sei pollici.
Oppure si possono citare i mesi di pandemia, quando smartphone, tablet e pc hanno assicurato ai ragazzi una didattica a distanza, lo scambio di documenti e compiti e il risparmio consistente sulla spesa per i libri.
E passano gli anni, la direttiva del 2007 recita sempre lo stesso dettato: “È un dovere specifico, per ciascuno studente, di non utilizzare il telefono cellulare, o altri dispositivi elettronici, durante lo svolgimento delle attività didattiche”.
Ma ogni istituto poi la applica a modo proprio. Solo che in 16 anni smartphone e tablet si sono evoluti. Ne prende atto anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che ribadisce: “Il cellulare in classe non si può usare, se non per scopi didattici, sotto la guida del docente, come il tablet. Il tablet è da utilizzare al liceo e alle medie, è utile, ma non prima”.
E se “l’Intelligenza artificiale e la digitalizzazione in generale delle nostre scuole, sono la grande sfida del domani” per il ministro la lettura del libro di testo “è fondamentale, la poesia anche“.