AGI – Il treno corre veloce fino a Empoli, poi la macchina per Montaione, borgo fiorentino dove vive il cittadino più illustre: Luciano Spalletti, per gli amici “Lucio”, il mister.
È il 18 agosto, l’arrivo segna l’ora del pranzo. Il mister accoglie i suoi ospiti e si scusa “ho finito di riparare un tubo”. Gli ospiti, appunto, sono il presidente della Figc Gabriele Gravina e l’avvocato Giancarlo Viglione. Hanno dribblato i giornalisti a Roma che attendevano l’arrivo del mister, per andare nel suo eremo.
Sono increduli quando sentono la storia del tubo, la tuta, la normalità, i valori di Spalletti. Vengono dallo “stile Mancini” – senza giudizio di merito – dalla superstizione, dalla cabala del risultato, dai “cattivi presagi”. Trovano una tavola imbandita: “Ho cucinato un polletto e i pomodori sono del mio orto”. Non c’è neanche il tempo per definire il contratto perché “va bene qualsiasi cosa, per la nazionale non si può sindacare”.
Dalla cifra al valore. Il valore della scelta.
Allora il problema starà nei collaboratori. “Sa, mister, se vuole sostituirli, però loro…”. Arriva subito l’interruzione: “No presidente, ci mancherebbe, vanno benissimo”.
Immaginate la paura di Gravina come sarà montata: “Dove sta la fregatura”, avrà pensato. E invece la tavola normalizza tutto, perché la normalità esiste, così come i valori. Sono difficili da trovare, ma ci sono. Di quel pomeriggio rimarranno tanti ricordi, un selfie blindato tra i partecipanti visibilmente sorridenti e una firma sul contratto, senza condizioni.
I valori, sì. Il viaggio in treno alla volta della Capitale avrà segnato i pensieri di Gravina. Il presidente non ha mai risposto alle critiche sui social, alle richieste di dimissioni, fomentate dalle parole di Mancini. Parole che pesano come un macigno nella mente di chi lo ha coccolato, accudito, protetto. Parole che hanno suscitato la replica del presidente, a cui non ha fatto seguito nessuna smentita dell’ex Ct. Valori che sembravano smarriti quando Mancini rassicurava uno stretto collaboratore del presidente sulla sua intenzione di rimanere alla guida della nazionale. Vi chiederete “perché smarriti se li aveva rassicurati?”. Perché, pochi minuti prima delle rassicurazioni, aveva già inviato una lettera di dimissioni per pec. Rassicurazioni e dimissioni non riuscirebbero a convivere neanche in un film cervellotico. Eppure fu così. La lettera, vergata in bella grafia di proprio pugno, su un foglio bianco. E inviata dalle spiagge di Mykonos. Granelli di sabbia, meno uniformi di quelli che il mister avrebbe trovato pochi giorni dopo nel deserto arabo.
Il treno ferma a Termini. Gravina è soddisfatto. Viene incalzato da un tifoso con la maglia azzurra: “Presidè, c’è Spalletti?”. Lui annuisce e sorride: “Si riparte”.
Sì, si riparte domani sera dallo stadio ‘Philip II’ di Skopje. Agli azzurri toccherà affrontare la Macedonia per ritrovare il bandolo della matassa della qualificazione agli Europei. E quella normalità di valori che Gianluca Vialli aveva regalato, nell’ultima fase della sua vita, ad una nazionale che fu capace da “normale” di trionfare a Londra. E ad un intero Paese che ne guardava la forza e la dignità nel combattere contro un male incurabile.
I valori, appunto. Perché lo sport ne deve dare l’esempio e Spalletti con Gravina, alla guida di ciò che più ci unisce, ce li possono far sentire vicini.
AGI – Il treno corre veloce fino a Empoli, poi la macchina per Montaione, borgo fiorentino dove vive il cittadino più illustre: Luciano Spalletti, per gli amici “Lucio”, il mister. È il 18 agosto, l’arrivo segna l’ora del pranzo. Il mister accoglie i suoi ospiti e si scusa “ho finito di riparare un tubo”. Gli ospiti, appunto, sono il presidente della Figc Gabriele Gravina e l’avvocato Giancarlo Viglione. Hanno dribblato i giornalisti a Roma che attendevano l’arrivo del mister, per andare nel suo eremo. Sono increduli quando sentono la storia del tubo, la tuta, la normalità, i valori di Spalletti. Vengono dallo “stile Mancini” – senza giudizio di merito – dalla superstizione, dalla cabala del risultato, dai “cattivi presagi”. Trovano una tavola imbandita: “Ho cucinato un polletto e i pomodori sono del mio orto”. Non c’è neanche il tempo per definire il contratto perché “va bene qualsiasi cosa, per la nazionale non si può sindacare”. Dalla cifra al valore. Il valore della scelta. Allora il problema starà nei collaboratori. “Sa, mister, se vuole sostituirli, però loro…”. Arriva subito l’interruzione: “No presidente, ci mancherebbe, vanno benissimo”. Immaginate la paura di Gravina come sarà montata: “Dove sta la fregatura”, avrà pensato. E invece la tavola normalizza tutto, perché la normalità esiste, così come i valori. Sono difficili da trovare, ma ci sono. Di quel pomeriggio rimarranno tanti ricordi, un selfie blindato tra i partecipanti visibilmente sorridenti e una firma sul contratto, senza condizioni. I valori, sì. Il viaggio in treno alla volta della Capitale avrà segnato i pensieri di Gravina. Il presidente non ha mai risposto alle critiche sui social, alle richieste di dimissioni, fomentate dalle parole di Mancini. Parole che pesano come un macigno nella mente di chi lo ha coccolato, accudito, protetto. Parole che hanno suscitato la replica del presidente, a cui non ha fatto seguito nessuna smentita dell’ex Ct. Valori che sembravano smarriti quando Mancini rassicurava uno stretto collaboratore del presidente sulla sua intenzione di rimanere alla guida della nazionale. Vi chiederete “perché smarriti se li aveva rassicurati?”. Perché, pochi minuti prima delle rassicurazioni, aveva già inviato una lettera di dimissioni per pec. Rassicurazioni e dimissioni non riuscirebbero a convivere neanche in un film cervellotico. Eppure fu così. La lettera, vergata in bella grafia di proprio pugno, su un foglio bianco. E inviata dalle spiagge di Mykonos. Granelli di sabbia, meno uniformi di quelli che il mister avrebbe trovato pochi giorni dopo nel deserto arabo. Il treno ferma a Termini. Gravina è soddisfatto. Viene incalzato da un tifoso con la maglia azzurra: “Presidè, c’è Spalletti?”. Lui annuisce e sorride: “Si riparte”. Sì, si riparte domani sera dallo stadio ‘Philip II’ di Skopje. Agli azzurri toccherà affrontare la Macedonia per ritrovare il bandolo della matassa della qualificazione agli Europei. E quella normalità di valori che Gianluca Vialli aveva regalato, nell’ultima fase della sua vita, ad una nazionale che fu capace da “normale” di trionfare a Londra. E ad un intero Paese che ne guardava la forza e la dignità nel combattere contro un male incurabile. I valori, appunto. Perché lo sport ne deve dare l’esempio e Spalletti con Gravina, alla guida di ciò che più ci unisce, ce li possono far sentire vicini.