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Un malinteso da risolvere: così la selezione naturale agisce sull’evoluzione

Ago 5, 2023

Temo che sia necessario spiegare un malinteso circa l’evoluzione darwiniana, nella sua moderna visione, che mi pare piuttosto diffuso fra i miei lettori. Si tratta di questo: la credenza che la selezione naturale agisca esclusivamente filtrando i genomi di una popolazione di varia composizione, favorendo la propagazione di quelli che lasciano maggior discendenza sulla base delle proprie caratteristiche genotipiche. In realtà, questo è solo uno dei modi in cui la selezione naturale provoca cambiamenti nella composizione di una popolazione, e dunque l’evoluzione di un gruppo di organismi viventi. Il punto è che la selezione agisce sul fenotipo, e questo non è determinato esclusivamente dal genotipo. In particolare, il modo in cui un genotipo dà origine a un fenotipo, quando ci allontaniamo in complessità da quei replicatori biologici per i quali vi è una perfetta corrispondenza fra i due, ovvero i virus, è attraverso l’interazione con l’ambiente circostante.

  

A parità di corredo genetico, dunque, nemmeno due batteri saranno perfettamente identici, e meno che mai un organismo pluricellulare complesso: questo perché lo sviluppo di un organismo biologico deriva dall’interazione fra geni e ambiente, soprattutto locale, e può quindi dar luogo ad una variabilità notevole, anche fissato il genotipo. Un leone potrebbe essere più forte di un suo gemello, con identico genotipo, solamente perché, dallo sviluppo embrionale in poi, ha avuto modo di costruire più muscoli, utilizzando esattamente lo stesso corredo genetico; è la sua storia, embrionale inizialmente (e quindi anche materna), e successivamente in quanto individuo che attraversa un ambiente che non può essere identico a quello di nessun altro, a determinare quante prede incontrerà, quanto sarà efficace nella caccia e così via.

  

Dunque, potrebbe benissimo darsi il caso che quel leone, pur con un corredo genetico che in media (e sottolineo in media) è inferiore a quello di altri individui della sua popolazione, attraversi una storia tale da aumentarne la fitness finale, sia perché questa storia potrebbe bilanciare i geni peggiori e produrre un fenotipo migliore, sia perché, per puri motivo stocastici, potrebbe incontrare nella sua vita una quantità e una qualità di risorse migliore di un suo competitore, geneticamente più dotato. In entrambi i casi, la selezione vaglierà infallibilmente i fenotipi e, se le condizioni di competizione saranno molto serrate, favorirà questo individuo, nonostante il suo “handicap” genetico. La storia di un singolo leone, oppure di una famiglia di leoni geneticamente correlati, potrebbe poi essere tale che, dal momento in cui sono stati concepiti, lo sviluppo del loro corpo ne risulta particolarmente favorito, ovvero il programma genetico sia eseguito in una maniera migliore a causa di condizioni di sviluppo migliori; all’opposto, un ottimo corredo genetico può portare ad un fenotipo povero, perché le condizioni in cui esso si esprime a formare il corpo di un organismo possono essere sfavorevoli.

  

Il punto di equilibrio tra queste due forze che agiscono a determinare il fenotipo di un organismo – la costituzione genetica, da un lato, e l’ambiente in cui essa lavora, dall’altro – è tale da determinare le effettive differenze di fitness fra due individui di una popolazione che concorrono per le stesse risorse. Per questo motivo, in moltissime specie complesse i genitori tendono a controllare il più possibile l’ambiente in cui si svilupperanno i propri discendenti; in questo modo, agiscono su uno dei due versanti necessari ad aumentare la fitness propria e dei propri discendenti, limitando il più possibile le differenze alla costituzione genetica e all’insopprimibile effetto del caso durante lo sviluppo embrionale.

  

Questa premessa serve a evidenziare un’altra differenza fondamentale fra le macchine capaci di “vita” artificiale e gli organismi viventi: mentre nelle prime un programma ed un progetto determinano rigidamente il disegno corporeo, le fluttuazioni chimico-fisiche stocastiche che agiscono al momento della traduzione in fenotipo di un genotipo determinano differenze nel prodotto finale, differenze che sono tanto più accentuate tanto più l’organismo finale è complesso, perché il numero di passaggi sottoposti al peso dell’ambiente per il suo sviluppo complessivo sono molto maggiori. Il fenotipo degli esseri viventi, e quindi il sostrato della selezione darwiniana, è cioè prodotto dall’interdipendenza fra geni e ambiente durante lo sviluppo, per cui persino gemelli geneticamente identici sono fenotipicamente diversi; nelle macchine, a meno di inevitabili errori di esecuzione, questa variabilità si perde, per cui nel caso di una popolazione di macchine sottoposta a selezione darwiniana, in cui le differenze sono codificate da software “genetici” trasmissibili con variazione ai discendenti, si perde la maggior parte della varietà fenotipica indipendente dalla variabilità genetica.

  

Questa maggiore variabilità, ovvero gli effetti della storia particolare di un organismo nel determinare la sua esatta morfologia, rappresenta una riserva ulteriore su cui può agire la selezione naturale, aumentando la probabilità che, in caso di stress ambientale, qualche individuo abbia casualmente le caratteristiche giuste, indipendentemente dal genotipo, e permettendo così di attraversare crisi ambientali momentanee con maggiore probabilità. Anche da questo punto di vista, le macchine macroscopiche capaci di evoluzione spontanea, persino ad imitazione del processo darwiniano, restano indietro rispetto al prodotto di oltre 3 miliardi di evoluzione biologica di sistemi biochimici complessi, capaci di produrre varietà nella popolazione persino indipendentemente dalla variabilità dei loro progetti genetici.

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