• 25 Novembre 2024 23:30

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Il caldo potrebbe fermare la giustizia a Roma

Lug 18, 2023

AGI – C’è anche un altro problema che sta mettendo in ginocchio la giustizia e che, almeno per il momento, ha trovato poco spazio su giornali e tv. Non è il concorso esterno in associazione mafiosa e nemmeno la separazione delle carriere nella magistratura. Si tratta di un problema molto più vicino a ognuno di noi: il grande caldo. Soprattutto a Roma – temperatura di ieri 39 gradi -, la situazione è complessa.

A mettere in ginocchio magistrati, cancellieri e forze dell’ordine del tribunale della Capitale la rottura di diversi condizionatori. “Solamente questa mattina due dipendenti si sono sentite male: manca l’aria sia nella palazzina C della procura sia al tribunale Monocratico che, al quarto piano, ospita le stanze di alcuni pm”, spiegano all’AGI i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori (Rls ed Rsu) della procura.

Una situazione allarmante e che è destinata a peggiorare. “Siamo la terza procura più grande d’Europa, ma bisognerebbe parlare della ‘bufala più grande d’Europa’. Stiamo con i ventilatori e, se proviamo ad azionare i ‘pinguini’ la corrente salta e la luce si spegne”, aggiungono le sindacaliste. L’AGI ha girato tra quelle stanze e ha visto gli sguardi dei dipendenti, il sudore grondante sui fascicoli.

All’ufficio del 415 bis, dove partono le notifiche agli indagati, gradi percepiti: 40. Dopo 10 minuti io, e due dipendenti, siamo costretti a uscire. Non va meglio all’ufficio esecuzioni. “Una situazione da ‘Terzo Mondo’, siamo costretti ad andare al bagno e a fare impacchi con l’acqua congelata ogni 20 minuti”, dicono le dipendenti. Il tutto con il benestare del medico del tribunale che raccomanda di “prendere aria quando possibile”.

E, come se non bastasse, anche la beffa: sulle porte di alcuni uffici si raccomanda ancora la mascherina anti-Covid ai dipendenti. Un ricordo di un’emergenza forse passata. Ma a quella attuale, sembrerebbe, non pensare nessuno. “Abbiamo delle segnalazioni di punte di 30/31 gradi in alcuni uffici, ovviamente a queste temperature è difficile garantire un servizio accettabile. Eppure noi non possiamo abbandonare la postazione perché facciamo parte dei così detti: servizi indifferibili. La giustizia non può fermarsi: ci sono colleghi con il sudore che cade sui fascicoli”, racconta Cristina Marcone, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori (Rls ed Rsu) del tribunale di Roma.

Ma come può essere risolto il problema? “Non c’è soluzione”, risponde. Forse si potrebbe pensare a un provvedimento del presidente del tribunale Roberto Reali che, essendo il responsabile per la sicurezza, potrebbe intervenire per far chiudere gli uffici almeno nelle ore più calde (intorno alle 13). “Ma comunque dalle 9 a ora di pranzo fa caldissimo. I dipendenti potrebbero uscire prima, ma non risolverebbe il problema – spiega la sindacalista -. Stiamo provando a utilizzare pinguini e ventilatori, ma non ci sono soluzioni, altrimenti le avrei chieste al presidente che è sempre molto disponibile. Non è però lui che decide sulle spese che sono in capo al ministero”.

Ed è questa la più grande ‘partita’ da giocare: i fondi del Pnrr. Proprio questi soldi dovrebbero servire a mettere a posto la cittadella giudiziaria. Per fare questo però – i lavori da rumors dovrebbero partire a ottobre -, i dipendenti, a rotazione, saranno costretti ad abbandonare le proprie stanze e a essere ‘parcheggiati’ per mesi in alcuni container. L’obiettivo è rifare le finestre, l’impianto elettrico e quello di condizionamento.

“È necessario farlo e anche questo argomento andrà affrontato, ma ci potrebbero volere anche 3 anni”, dice Marcone. Ma pensare a un inverno nei container dopo l’estate torrida senza aria condizionata fa impressione. “Qui si muore e nessuno fa nulla”, affermano un gruppo di dipendenti. E la situazione peggiore è per i lavoratori fragili che, fino a pochi giorni fa, erano costretti, come gli altri, a rimanere nelle stanze caldissime di procura e tribunale.

“Ora, solo per i colleghi fragili, siamo riusciti ad ottenere stanze rinfrescate o, in alternativa, il lavoro agile”, aggiunge la sindacalista. La situazione non migliora al tribunale Civile dove, nelle aule pollaio, manca l’aria. Ieri la segnalazione di una dipendente con mancamento anche lì. E anche a Viterbo siamo nelle stesse condizioni tanto da aver spinto il presidente vicario, giudice Eugenio Maria Turco, a prendere provvedimenti urgenti. I magistrati che tengono le udienze penali sono, infatti, autorizzati – se c’è richiesta delle parti – a rinviare i processi, fatta eccezione per quelli con imputati sottoposti a misura cautelare.

“A questa presidenza sono pervenute numerose segnalazioni relative alla difficoltà di tenere udienza nei locali del palazzo di giustizia a causa delle elevate temperature che si registrano al loro interno” si legge nel decreto del presidente, firmato lo scorso 12 luglio, che spiega di aver “preso atto di quanto espresso al riguardo dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che segnalava la insostenibilità delle condizioni climatiche all’interno delle aule di udienza penale e chiedeva l’adozione di ‘misure che possano garantire la salute degli operatori e degli utenti'”; e di aver preso “atto, altresì, delle comunicazioni e delle istanze pervenute dalle RSU e dal RLS di questo tribunale nelle quali si segnalavano situazioni di forte disagio e di potenziale pericolo per il benessere fisico dei lavoratori” e dei rischi per l’organizzazione del lavoro “che va corretta attraverso i poteri attribuiti al datore di lavoro”.

In ogni caso, ha fatto sapere Turco, “i competenti uffici del tribunale si sono già adoperati per risolvere la anzidetta situazione di disagio ambientale. In particolare, sono stati già avviati e sono in fase di completamento gli incombenti amministrativi volti al ripristino della funzionalità dell’impianto ibrido di riscaldamento e di raffrescamento del palazzo di Giustizia”.

“Alla luce di quanto sopra, appare opportuno adottare le migliori soluzioni organizzative per lo svolgimento delle udienze penali – settore nel quale è stato registrato il grado più elevato di disagio ambientale – nel periodo di tempo necessario al ripristino dell’impianto di riscaldamento e di raffrescamento dell’immobile”.

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