Quando si discute di evoluzione prebiotica, ovvero di come il mondo chimico sulla Terra primordiale abbia potuto portare alla comparsa dei primi replicatori darwiniani e quindi dei primi organismi viventi riconoscibili, il processo di cui si discute – o meglio i diversi possibili processi sin qui identificati per compiere il percorso dal mondo inorganico alla vita – deve essere situato all’interno della storia geologica del nostro pianeta. Un mio giovanissimo lettore, per tramite di sua madre, mi ha chiesto lumi in merito, e ne approfitterò per presentare sinteticamente al lettore quale sia lo stato attuale delle nostre conoscenze in merito.
Il nostro pianeta si è formato circa 4,56 miliardi di anni fa all’interno della nebulosa protoplanetaria che avvolgeva la nostra stella, il Sole, dando così inizio a quell’epoca di circa mezzo miliardo di anni chiamata Adeano. Il nome ricorda l’ade, l’inferno degli antichi: quello è stato un periodo estremamente turbolento per tutto il sistema solare, e il nostro pianeta non fece certo eccezione. Anche in presenza di un possibile oceano e di crosta già formata, l’ipotesi al momento più accreditata è che il pianeta devastato da un gigantesco impatto con un corpo chiamato Theia, della grandezza più o meno di Marte. Se l’ipotesi è vera, questo impatto, avvenuto circa 4,5 miliardi di anni fa, separò dalla giovane Terra la Luna, che infatti ha una composizione chimica simile alla crosta e al mantello terrestre, e certamente evaporò ogni oceano eventualmente presente e distrusse ogni forma di sistema prebiotico comparso fino a quel momento.
Nonostante questo, in un tempo rapidissimo dal punto di vista geologico la crosta terrestre si consolidò nuovamente e un oceano la avvolse almeno parzialmente: uno zircone formatosi 4,4 miliardi di anni fa e analizzato dagli scienziati dimostra tanto la presenza di terra solida che di ampie estensioni di acqua. Ora, la cosa davvero stupefacente è che, in un tempo compreso fra 4,28 e 3,77 miliardi di anni fa, sul nostro pianeta era presente già una vita microbica avanzata: rocce sedimentarie antichissime, recuperate in Canada, interpretate come fondo marino nei pressi di bocche idrotermali, hanno restituito quelli che hanno tutta l’apparenza di microfossili di batteri filamentosi in grado di accumulare ferro, i quali da un punto di vista chimico hanno una composizione isotopica che è prerogativa degli organismi viventi.
Pensateci: in un tempo che può essere più corto di 300 milioni di anni e comunque non superiore agli 800, si è passati da un pianeta ribollente per l’impatto con Theia a uno con vita microbica almeno presso le bocche idrotermali, sostenuta da microorganismi le cui cellule, almeno da un punto di vista generale, non appaiono particolarmente dissimili da quelle odierne negli stessi ambienti. In questo periodo, deve essere avvenuta la comparsa dei primi sistemi molecolari in grado di autoreplicarsi e di mutare, i quali molto rapidamente sono evoluti poi in complessissimi sistemi biochimici compartimentati e dotati di metabolismo che conosciamo oggi e che chiamiamo microrganismi.
La cosa incredibile è che, negli ultimi 15-20 anni, siamo riusciti a trovare più modi diversi in cui questo può essere avvenuto a partire da condizioni fisiche e molecole presenti ad alta probabilità nel nostro pianeta primordiale, di cui sarebbe più difficile spiegare l’assenza, vista la loro ubiquità nel cosmo. Proprio il fatto che le alternative possibili sono tante, spiega come mai è avvenuto il processo che ha portato alla vita in maniera spontanea: ogni nuova strada che individuiamo, indipendentemente dal fatto che sia quella effettivamente percorsa miliardi di anni fa, aumenta la probabilità complessiva che, date le condizioni ricostruite, dei replicatori darwiniani che diano origine ad organismi complessi si evolvano (anche se non necessariamente quelli che conosciamo).
Illustrerò per il mio giovane lettore una delle tante possibilità, che ha il pregio di essere sostenuta da una imponente mole di dati e di pubblicazioni scientifiche, i quali tutti mostrano come si ottengano spontaneamente replicatori fatti di Rna a partire da condizioni diverse, tutte però compatibili con il nostro punto di partenza.
Gli Rna, come sappiamo, sono polimeri lineari (stringhe) di nucleosidi che, raggomitolandosi in forme tridimensionali specifiche, possono esercitare molte funzioni diverse. Uno lungo solo 150 nucleosidi, in particolare, è in grado di replicare sé stesso e, nel caso, anche altri e diversi Rna; la cosa interessante è che questo si forma spontaneamente per assemblaggio casuale di frammenti specifici, attraverso reazioni che avvengono spontaneamente in soluzione acquosa. Proprio perché la sua formazione parte da frammenti di minori dimensioni, questo particolare Rna non necessita di essere prodotto “per caso” un nucleoside alla volta, il che richiederebbe un tempo infinito e avrebbe probabilità bassissima; non a caso, gli scienziati che lo hanno scoperto non hanno dovuto aspettare miliardi di anni per la sua fondazione. I frammenti di cui è composto, più corti di 30 nucleosidi, sono generabili spontaneamente in una varietà di condizioni; d’altra parte, a partire da miscele casuali di pezzettini di Rna lunghi solo 3 nucleosidi (64 tipi in tutto, visto che i nucleosidi sono di 4 tipi diversi), su vetri vulcanici si ottengono molecole di Rna anche molto più lunghe di 150 nucleosidi.
La possibilità di assemblaggio gerarchico di pezzi più piccoli diminuisce grandemente il tempo richiesto per ottenere una certa sequenza di Rna, che sia in grado di catalizzare la sua stessa replicazione; d’altra parte, siccome sono molte e molto diversi i replicatori di Rna sin qui scoperti, la probabilità che in questo modo se ne ottenga uno nel tempo e nelle condizioni richieste da quel che sappiamo della antica Terra diventa alta (ancora una volta, la dimostrazione sta nel fatto che tali molecole sono state individuate dagli scienziati per sintesi spontanea casuale in diverse condizioni). Inoltre, una volta ottenuti i primi replicatori a partire, in una miscela di Rna e precursori diversi compartimentalizzata (per esempio, nelle fessure di un minerale, o in una goccia lipidica) è stato dimostrato che in poche centinaia di generazioni si forma un minuscolo ecosistema, con diversi replicatori e con Rna parassiti che li sfruttano, finchè il tutto evolve gradatamente verso la replicazione coordinata di più componenti diverse – cioè verso un sistema biochimico con un numero di componenti crescenti che cooperano fra loro.
Visto che anche Rna piccolissimi, di meno di 10 nucleosidi, possono reclutare aminoacidi e peptidi per raggiungere una maggiore stabilità, e possono trasferire tali aminoacidi e peptidi ad altri Rna, è facile immaginare come e perché, in prima battuta, siano state reclutate proteine in questo mondo a Rna; e considerando che bolle lipidiche erano diffuse e spontaneamente inglobavano Rna ed altre componenti al loro interno, regolando in maniera precisa la loro distribuzione a bolle figlie in corrispondenza del fatto che erano destabilizzate quando gli Rna interni erano aumentati troppo di numero a causa della replicazione, esiste una descrizione almeno pittorica che porta dal mondo abiotico ai primi replicatori e alle prime cellule, attraverso la combinazione di processi spontanei in condizioni che si ipotizzano presenti nella Terra primitiva, a una velocità tale da poter persino essere osservati durante la vita di un essere umano.
La ricerca corre, e le alternative e i dettagli che stanno emergendo sono moltissimi e affascinanti; e così, l’abiogenesi appare un processo sempre meglio spiegabile e probabile, pur se forse mai sapremo quale precisa via è stata percorsa nel caso della vita che conosciamo.