Ducati e Honda, due mondi opposti, due filosofie, due scuole di pensiero, due idee tecniche agli antipodi, ma che in Superbike hanno un unico obbiettivo: vincere. Se la rossa di Borgo Panigale è fresca di titolo (e non solo quello delle derivate di serie), con un Alvaro Bautista leader indiscusso del World Superbike, dopo appena un terzo di stagione, in Giappone sono distanti anni “luce” dal poterla accendere sopra alle stagioni buie e prive di successi che ne hanno caratterizzato gli ultimi anni.
Per recuperare l’ultima vittoria ufficiale nella top class, bisogna tornare a gara 2 del Gran Premio della Malesia 2016, quando Il compianto Nicky Hayden portò in trionfo a Sepang l’Honda CBR ufficiale, gestita dal team olandese dei cugini Ten Kate. Per un titolo mondiale bisogna addirittura tornare al 2007 con la seconda affermazione in carriera di James Toseland.
Il pianista di Sheffield vinse otto gare, arrivando a podio sei volte e vincendo il campionato con due punti di vantaggio su Noriyuki Haga con la Yamaha. Nelle successive stagioni, l’Ala non ha raccolto molto, faticando a salire sul podio nonostante l’ingaggio di piloti di primissimo livello come Checa, Kiyonari, Rolfo, Sofuoglu, Rea, Xaus, Neukirchner, Tamada, Haslam, van der Mark, Guintoli, Bradl, Camier, Takahashi Y., Takahashi T. e perfino Bautista.
Complici le marche avversarie che sono si sono schierate allo scopo di primeggiare e scorrendo l’albo d’oro, tutti i progetti più importanti sono andati a bersaglio nel giro di un paio di stagioni dall’esordio. Yamaha, Aprilia, Kawasaki con Sykes, il regno di Rea durato sei stagioni consecutive e oggi ancora Ducati con un ex Honda come Bautista.
CBR 1000 RR-R Fireblade è l’ultimo progetto Honda di supersportiva quattro cilindri da 999,8 cc e una potenza di 218 Cv per la versione stradale. Applicata alle corse è una base ottimale e in versione “Stock” o adeguata la regolamento da campionato nazionale come il CIV (Italia), il BSB (Gran Bretagna) o IDM (Germania), dove ha comunque ottenuto risultati, soprattutto se si considera che i team sono indipendenti, appoggiati dalla filiale Honda di riferimento.
Per molte stagioni di WorldSBK, le moto ufficiali Honda sono state affidate a strutture solide che godevano di tutto il supporto necessario della casa madre, ma dopo l’evidente black out di questi anni, nel 2020 HRC è scesa in pista direttamente con la sua squadra della sede giapponese e il team di Midori Moriwaki che si dedica allo sviluppo e alla condivisione di dati tra Honda. Due top team per un totale di quattro moto in griglia affidate a piloti arrivati dal Motomondiale come Xavi Vierge, Iker Lecuona, Hafizh Syahrin e Eric Granado, non sembrano attualmente sufficienti, o in grado di attaccare le posizioni di classifica.
Fonte: getty imagesNick Hayden
Una delle tante motivazioni potrebbe essere il disinteresse generale delle giapponesi per il mondiale delle derivate di serie (vedi la totale assenza di Suzuki), dato che nel Paese del Sol Levante, nulla conta più della otto ore di Suzuka per la quale le aziende investono in test e preparazione, oltre che all’ingaggio occasionale di campioni provenienti dalle massime categorie.
Un altro motivo potrebbe riguardare il regolamento laddove le altre, Ducati su tutte, interpretano meglio quanto consentito dalle ventisette pagine redatte dalla FIM in merito alle motociclette ammesse al WorldSBK. Oppure semplicemente, Honda potrebbe attendendo il momento più propizio per tirare fuori la sua arma vincente, lasciando al palo gli avversari. Occorre ricordare che in una Superbike d’altri tempi, i giapponesi decisero di sfidare Ducati nel suo campo specifico, costruendo il modello VTR 1000 SP-1, una bicilindrica che riuscì a strappare due titoli con Colin Edwards, ma che fondamentalmente ebbe un successo commerciale inferiore alle moto bolognesi.
Addentrandoci ancor di più nel passato, i primi due campionati superbike (1988 – 1989), li vinse Honda con il team Rumi e la fantastica RC30. Il motivo allora potrebbe proprio essere che l’RC30, l’RC45 e il VTR 1000 SP-1 fossero moto veramente speciali, nate vincenti e anche costose per l’epoca e se vogliamo, imbattibili con il pilota giusto. Il CBR 1000 RR-R Fireblade di oggi è probabilmente un mezzo capolavoro, ma l’attualità ci racconta che non centra l’obbiettivo che tutti si aspettano. E ci auguriamo che tutto questo non diventi storia.