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Tracce di un Cav. dannunziano

Giu 13, 2023

Silvio Berlusconi è stato Gabriele d’Annunzio. Dal 1994 in poi siamo stati abituati al paragone denigratorio e bolso fra il Cav. e Mussolini, quando invece molto più calzanti appaiono le somiglianze col Vate: se qualche maligno diceva che Mussolini era un d’Annunzio spiegato al popolo, allora Berlusconi è stato un d’Annunzio spiegato meglio. Erano entrambi dei superitaliani che, incarnando l’essenza dell’immaginario patrio, lo hanno forgiato e rinnovato causando sentimenti estremi nei compatrioti.

E’ superfluo ricamare sulla comune inclinazione per l’eterno femminino: il vero punto di contatto fra i due sta nella passione per la pubblicità. Su di essa Berlusconi ha edificato il proprio impero e, già nel 1962, veniva ritratto gongolante in divisa da calciatore nella réclame dei gelati Motta; d’Annunzio inventò il marchio Rinascente, etichettò l’Amaro Montenegro “liquore delle virtudi”, si sperticò in elogi per i biscotti Saiwa, fece addirittura da testimonial a un dolce tipico abruzzese. Col talento per gli slogan, entrambi hanno rivoluzionato il linguaggio. Berlusconi ha reso d’uso quotidiano lessemi come “turnover” o “miracolo italiano”; d’Annunzio cambiò genere all’automobile e inventò lo “scudetto” (parola a cui poi il Cav. si è affezionato, grazie al Milan dei tempi d’oro).

Li ha contraddistinti una sorprendente vena di malinconia – esplicita nello sguardo di Berlusconi dopo aver ricevuto in faccia un modellino del Duomo tanto quanto nel titolo delle “Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire” – che contrastava col loro smaccato carattere vitalista, manifestandosi talora sotto forma di tenue, mesta persistenza dei legami perduti. In “Una storia italiana” Berlusconi raccontava di come l’amore per la prima moglie si fosse trasformato in amicizia; d’Annunzio si prostrò dinanzi alla Duse dichiarando: “Voi non sapete quanto vi ho amato”, al che lei rispose: “E voi non sapete quanto vi ho dimenticato”.

Più di tutto li ha accomunati una visionarietà politica sghemba rispetto ai tempi: il progetto della rivoluzione liberale era tanto impraticabile nell’Italia del ’94 quanto la Carta del Carnaro, con le sue libertà pirotecniche e la democrazia diretta, rispetto all’Italia del tramonto di Giolitti. Con la stessa corda pazza con cui Berlusconi è montato sul predellino a San Babila, d’Annunzio virò a sinistra al grido di: “Vado verso la vita!”. Né hanno disdegnato il rovesciamento comico della ritualità politica. Spolverando la sedia di Travaglio, Berlusconi aveva lo stesso ghigno infantile di d’Annunzio per la beffa di Buccari. Parimenti, entrambi hanno prestato il fianco alla satira. Berlusconi ha dato pane a comici che altrimenti avrebbero dovuto trovarsi un lavoro; d’Annunzio, con tutte le sue arie, finì per sfidare a duello l’autore della parodia della sua “Isaotta Guttadauro”, il “Risaotto al pomidauro”. Perse.
Hanno, a modo loro, amato le classi popolari. Berlusconi si è immedesimato fino a mettersi a cantare in napoletano con Apicella, d’Annunzio spese le proprie parole più belle come elogio e ringraziamento alla cuoca che gli preparava ogni pasto. Hanno fomentato la mitizzazione della propria residenza, che da buen retiro sembrava farsi reclusione, anche con l’impianto di dettagli spropositati, fossero essi la prua della nave Puglia o la piramide-mausoleo e il vulcano artificiale. Hanno invece fatto fatica a stare al passo con la tecnologia. Berlusconi è inciampato su Gogol (ovvero Google) e su TikTok ha infranto senza tema il soffitto del cringe, mentre d’Annunzio rivelò la propria vocina stridula, del tutto aliena dalla prosa roboante, perdendo ogni credibilità nei pochi riflessi filmati che ha lasciato.

Il corpo è stato per entrambi strumento disinvolto. Berlusconi lo ha esposto senza remore, concedendosi ai fan fino al sacrificio dello svenimento o del sanguinamento; d’Annunzio si fece addirittura fotografare completamente nudo. Come Berlusconi è arrivato in Senato con gli occhiali scuri per l’uveite, così d’Annunzio fece della benda un marchio di fabbrica. Da ultimo, entrambi sono passati per una falsa notizia della morte: d’Annunzio a mo’ di propaganda per l’esordio con Primo vere, Berlusconi col coccodrillo sfuggito un paio di mesi fa allo stagista di una testata online. Ora che li accomuna la morte vera, li unisce anche l’appartenenza all’empireo dell’italianità ideale ed eterna.

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