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I precursori chimici delle prime galassie rivoluzionano la nostra idea del cosmo

Giu 7, 2023

Dal punto di vista degli avanzamenti conoscitivi, viviamo tempi meravigliosi. Recentemente, è stata scoperta SPT0418-47, una galassia giovane ed estremamente distante da noi. La luce che da quella arriva a noi è distorta a formare un anello dall’effetto gravitazionale causato da un’altra galassia interposta fra noi e SPT0418-47; questo effetto, oltre che introdurre una distorsione, funziona da lente, permettendoci di osservare molto bene un oggetto lontanissimo, che altrimenti sarebbe scarsamente visibile, e aumentando nel caso specifico la luce della galassia più lontana di 30 volte, rispetto a quanto accadrebbe in assenza di lente gravitazionale. Conoscendo le leggi che danno origine alla distorsione dell’immagine in questione, gli astronomi nel 2020 hanno potuto ricostruire lo stato di questa galassia in epoca corrispondente a meno di 1.5 miliardi di anni dopo il Big Bang, ovvero quando l’universo aveva circa il 10 per cento dell’età attuale.

 

Sorprendentemente, SPT0418-47 è risultata essere una galassia già relativamente fredda, e soprattutto ben strutturata e poco caotica, il che contraddice alcune teorie precedenti secondo cui tutte le galassie nell’universo primordiale erano turbolente e instabili. Non solo: puntando il nuovo James Webb Telescope (Jwt) su quella stessa galassia, all’inizio di quest’anno si è scoperto che SPT0418-47 ha una piccola compagna, molto vicina ad essa, ma soprattutto che entrambe mostrano quella che in gergo si chiama una “metallicità matura” – ovvero già abbondano in elementi chimici come carbonio, ossigeno e azoto, invece che solo elio e idrogeno. Siccome questi elementi chimici si formano con reazioni di nucleosintesi in astri che si trovano piuttosto avanti nel processo evolutivo chiamato “serie stellare”, ne deriva che almeno alcune galassie all’inizio della storia dell’universo avevano già visto diverse generazioni di stelle, a dispetto della loro giovane età, e così erano avanzate anche lungo la tavola periodica, in quanto a tipi atomici prodotti al loro interno.

 

Adesso, è arrivata una nuova, entusiasmante notizia: i dati dello Jwt dimostrano che le polveri della giovane galassia più studiata del momento contengono complesse molecole di carbonio, chiamate idrocarburi policiclici aromatici, abbondantissime e distribuite oltretutto in maniera sorprendente all’interno di SPT0418-47, sotto forma di ampie chiazze disperse in modo disomogeneo. Questa scoperta ha importanti implicazioni su diversi piani. Cominciamo da quello più propriamente astronomico: è noto che gli idrocarburi policiclici aromatici si formano vicino a stelle giovani e massicce che emettono molta luce ultravioletta. Quando sono esposte a questa fonte di energia, così come in vicinanza di corpi planetari anche molto freddi, ove si può osservare la sintesi spontanea di molecole di questo tipo anche molto complesse a partire da pochi, semplici precursori, gli idrocarburi policiclici aromatici diventano via via più grandi, e, più cresce la loro dimensione molecolare, più tendono a formare aggregati che alla fine assomigliano a particelle di fumo o fuliggine che fluttua nello spazio. Queste nuvole di idrocarburi aiutano a regolare il modo in cui il gas all’interno delle galassie viene riscaldato e raffreddato, e quindi sono uno dei vincoli che controllano la formazione di nuove stelle.

 

Ma vi è molto di più: gli idrocarburi policiclici aromatici, che contengono nella loro struttura chimica fino al 20 per cento di tutto il carbonio presente nell’universo sono anche una delle più importanti fonti di carbonio per la generazione di una vastissima varietà di molecole derivate, che possono formarsi anche nello spazio interstellare, a temperature vicine allo zero assoluto, sotto l’effetto di radiazione luminosa proprio del tipo di quella emessa dalle stelle in formazione cui essi sono solitamente prossimi. In condizioni comuni che prevedono la presenza di grani di ghiaccio d’acqua, gli idrocarburi policiclici aromatici danno origine una volta irradiati a composti organici molto più complessi, attraverso reazioni di idrogenazione, ossidazione e idrossilazione. Fra questi composti organici, guarda caso, si ritrovano alcuni possibili precursori di aminoacidi e nucleotidi, i componenti di base di proteine, Dna e Rna, che infatti sono comuni nello spazio.

 

Più guardiamo nelle profondità dello spazio, più scopriamo possibili vie attraverso cui un’ubiquitaria chimica prebiotica può aver dato origine a ciò che serve, per la nascita del primo replicatore darwiniano e l’innesco dell’evoluzione; ma, onestamente, l’idea che dei precursori chimici così versatili potessero essere scoperti in galassie così giovani rispetto all’inizio dell’universo, eppure così mature, è una sorpresa che dovrebbe stupire chiunque. Pensate: uno smisurato laboratorio di chimica del carbonio si è spontaneamente messo in moto quasi subito dopo la nascita dell’universo, operando per miliardi di anni e per un’inconcepibile vastità, ovunque nel cosmo. Forse, dopotutto, l’innesco della vita era inevitabile; in ogni caso, l’universo, fin da giovane, è stato un posto interessante, vario e complesso, ben distante da tutto quel che si pensava fino anche agli anni ottanta del secolo passato.

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