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Convertire l’energia solare in carburante (senza danni per l’ambiente) si può

Mag 27, 2023

La conversione dell’energia solare in carburante attraverso un ciclo chiuso a emissioni zero è un approccio promettente per ridurre la produzione di energia da combustibili fossili. In natura, gli organismi fotosintetici sfruttano la radiazione solare per produrre composti ricchi di energia dall’acqua e dalla CO2 atmosferica attraverso raffinati macchinari biochimici, ma l’efficienza complessiva della conversione di luce in biomassa è limitata dal fatto che le specie chimiche che si intende ottenere (i componenti della biomassa) sono diverse e dipendenti da un’infinità di diverse vie di produzione a efficienza mediamente bassa. In altre parole, sebbene gli organelli fotosintetici degli esseri viventi sono molto efficienti nel raccogliere fotoni luminosi e usarli per trasformare l’anidride carbonica in zuccheri e ATP, tutto ciò che segue a valle, e che serve ad ottenere la numerosissima varietà di componenti dell’organismo, abbassa il rendimento finale notevolmente, cosicché, volendo utilizzare la biomassa (e di conseguenza anche i suoi derivati carbone e petrolio) come carburante, si ha una efficienza relativamente bassa rispetto all’energia solare utilizzata per la loro produzione.

Tuttavia, l’elevata stabilità, selettività ed efficienza dei primi passaggi fotosintetici offre un principio di progettazione per sistemi fotocatalitici artificiali altamente efficienti, ovvero che trasformino la CO2 mediante la luce direttamente in un prodotto utile, senza passaggi intermedi e prodotti indesiderati. I chimici hanno da tempo trovato sistemi fotocatalitici artificiali con efficienza molto alta, ma questi, sino ad ora, richiedevano CO2 pura o altamente concentrata, a causa della loro bassa selettività, oltre a solventi organici per ridurre la degradazione del catalizzatore indotta dall’acqua.

Anche la replica mediante opportune tecniche di biochimica e di biotecnologie delle strutture naturali di raccolta della luce è difficile da implementare e tutt’altro che conveniente. Quel che servirebbe sono sistemi autoassemblanti (che non richiedano cioè costose e difficili vie di sintesi chimica o biochimica), basati su componenti economici e abbondanti, senza l’impiego di metalli preziosi o terre rare.

 

Ebbene, in un articolo appena pubblicato su Nature Catalysis, un gruppo di scienziati è riuscito a raggiungere proprio questo traguardo. Guardando alla struttura fotosintetica sferica e solubile in acqua del batterio Rhodobacter sphaeroides, che raccoglie la luce con un’efficienza di trasferimento di energia senza rivali, i ricercatori hanno costruito una nanomicella fotosintetica artificiale, la quale si autoassembla a partire da composti simili al pigmento che colora le foglie delle piante o la nostra emoglobina, chiamati porfirine. Le sferette fotosensibili così ottenute hanno la proprietà di catturare dal solvente un catalizzatore a base di cobalto aggiunto appositamente, ottenendosi alla fine un sistema completo che è risultato essere stabile e riciclabile per la riduzione fotocatalitica di CO2 altamente efficiente e selettiva in soluzione acquosa.

Il sistema di nanomicelle può catalizzare selettivamente la conversione da CO2 a metano in acqua con una selettività dell’89% a temperatura e pressione ambiente sotto irraggiamento di luce visibile, con una durata dimostrata di almeno 30 giorni di attività prima dell’eventuale riciclo. Nelle condizioni di irraggiamento testate, in due ore si è ottenuta la conversione di circa il 15.1% di acqua e CO2 in metano.

La formazione di metano dalla CO2 fornita al sistema di nanomicelle è stata confermata da esperimenti di marcatura isotopica, che hanno mostrato come in soluzione acquosa avvenga prima la riduzione di CO2 a monossido di carbonio (CO), e quindi la riduzione di questo a metano. Alla concentrazione atmosferica di anidride carbonica, nel tempo questo sistema riduce in metano il 96% della CO2, di cui il 92% si ritrova come metano.

 

In sostanza, dunque, i ricercatori sono riusciti ad ottenere l’autoassemblaggio di un organello artificiale fotosintetico che non utilizza terre rare o metalli preziosi e che non richiede una procedura sintetica per la sua produzione, se non quella dei precursori. Questo organello sfrutta la luce visibile per la produzione selettiva ed efficiente di metano in acqua, fornendo così un esempio di un ciclo chiuso in cui la combustione del prodotto, sfruttabile per il fabbisogno energetico, produce CO2 che a sua volta può essere riconvertita in un ciclo chiuso, con poche perdite nel processo.

Questo è un primo esempio, il quale evidentemente illustra una strada per soluzioni molto utili a fronteggiare allo stesso tempo sia la crisi climatica che il fabbisogno di energia; non possiamo ancora sapere se sarà precisamente questa la strada che si dimostrerà utile per prodotti e applicazioni industriali su scala sufficiente, ma certamente la soluzione dei problemi illustrati all’inizio di questo articolo lascia ben sperare per le possibilità future.

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