Chip sottopelle. Al solo pronunciare queste parole in Rete esplode il dibattito, tra chi non vede pericoli nella diffusione di questa tecnologia e chi, invece, la ritiene l’arma di controllo finale sul popolo da parte dell’elite che governa il mondo. La questione etica c’è ed è pressante, ma come scrivemmo a settembre il “fenomeno” è in crescita.
L’ultima arriva dal Belgio (ne parlano il Clarín, La Vanguardia, ecc.), dove l’azienda Newfusion specializzata nel marketing digitale ha impiantato ad alcuni dipendenti un chip sottopelle. Questo chip non ha altro che la funzione di “badge d’identificazione”, infatti permette di aprire le porte dell’ufficio e di accedere al computer.
Secondo il quotidiano francese Le Soir sono otto i lavoratori che hanno accettato volontariamente di farsi inserire il chip (delle dimensioni di un chicco di riso) tra il pollice e l’indice della mano.
“Nessuno è obbligato”, ha affermato il direttore dell’azienda, Vincent Nys, alla catena televisiva Vrt, spiegando che l’idea è nata quasi per gioco da un dipendente che dimenticava spesso il badge. Secondo Nys “un iPhone è dieci volte più pericoloso di un chip” in termini di invasione della privacy. I dipendenti che scelgono di non farsi impiantare il chip possono indossare un anello con le stesse funzioni.
“La tecnologia rende più facile la nostra vita quotidiana. Non bisogna provarne paura, è sufficiente sperimentarla“, ha aggiunto Nys, spiegando che il chip dispone di una memoria per inserire dati relativi a contatti e biglietti di visita, in modo da poterli girare facilmente a uno smartphone.
Quello di Newfusion è il primo caso di impiego in Belgio, mentre è già sperimentato da anni negli Stati Uniti soprattutto fra il personale ospedaliero anche se alcuni stati, come Wisconsin e California, lo vietano.
Come in Italia, anche nel resto del mondo (rapporto dell’Associazione Medica statunitense del 2007) l’impianto di questi chip genera sospetti, non solo in termini di privacy ma anche di eventuali problemi di salute che potrebbe comportare.
Vincent Nys però non sembra farsi troppi scrupoli: “se dici di essere tecnologicamente innovativo, perché non iniziare da sé stessi?”, ha aggiunto.
Alexis Deswaef, presidente della Lega dei diritti dell’uomo in Belgio, è preoccupato. “Si tratta di un pericolo reale. Si tratta di uno strumento di controllo totale. Siamo in grado di sapere a che ora il dipendente ha iniziato a lavorare e quando ha fatto la sua pausa sigaretta. Analizzeremo poi se è stato abbastanza produttivo? Cosa faremo con i dati raccolti? In futuro venderemo un po’ del diritto alla privacy per una maggiore sicurezza o comodità?”.
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