AGI – Era il 10 aprile 1991 quando un commando entrò in azione in un bar di Lentini (Siracusa), uccidendo tre persone. L’obiettivo del gruppo di fuoco era Salvatore Sambasile, leader di una banda criminale a Lentini rivale della cosca Nardo. La pioggia di proiettili ammazzò anche due clienti del locale che non c’entravano nulla, il 23enne Cirino Catalano e il 26enne Salvatore Motta, totalmente estranei alle cosche.
Quel giorno “ha modificato in modo radicale la vita della nostra famiglia, mio marito Concetto nel vedere suo figlio Cirino di soli 23 anni morto a terra, per la disperazione e il dolore, ha iniziato a sbattere la testa sull’asfalto e nella saracinesca del bar Golden”, afferma Silvia Scammacca, mamma di Cirino e moglie di Concetto.
La battaglia di una madre
“Lui con tanti sacrifici aveva comprato un negozio d’abbigliamento a Cirino, era riuscito a trasformare questo piccolo negozio in una boutique con grandi firme. Cirino insieme al papà con dedizione al lavoro portava avanti questo suo desiderio “d’avere un negozio con grandi firme”, prosegue. I sogni di Cirino, del suo papà e di tutta la famiglia Catalano “furono uccisi barbaramente così come era stato ammazzato Cirino, in quel maledetto giorno. Oltre all’immane dolore della perdita di Cirino, che dopo 32 anni la sofferenza è solamente aumentata, la mia famiglia ha dovuto superare una grave crisi economica dovuta alla chiusura del negozio di Cirino, e per di più il mormorio molesto di alcune male lingue che dubitavano sull’estraneità di Cirino all’evento criminoso”.
Da lì è iniziata la battaglia di Concetto per ottenere verità e giustizia che non è mai finita (fino al 9 febbraio 2023 il giorno in cui ha raggiunto il suo amato Cirino), e assicurare alla giustizia i responsabili della morte di Cirino. “Grazie al suo credere nella giustizia – continua Silvia Scammacca – Concetto continuamente si recava da polizia e carabinieri e chiamava la prefettura di Siracusa per avere notizie su quanto accaduto quel giorno”.
Dopo qualche anno esattamente nel 1998, con la testimonianza di un collaboratore di giustizia è venuta fuori una prima verità: i killer a viso scoperto su ordine del boss lentinese dovevano uccidere il pregiudicato presente in quel momento al bar, Cirino era solamente un testimone scomodo, quindi da uccidere per non lasciare tracce.
La verità nella sentenza
Quindi” vittima innocente della mafia e della criminalità organizzata”, afferma la mamma, che dice ancora: “Nel febbraio del 2020 contattati dai carabinieri di Lentini abbiamo appreso dell’operazione Thor, nella quale due dei killer si autoaccusavano degli omicidi avvenuti nella strage del bar Golden a Lentini il 10 aprile 1991. Dalle loro dichiarazioni è venuto fuori che Cirino era stato ucciso per un tragico errore, che loro non conoscevano le vittime e quindi Cirino si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato”.
In queste sentenze, il cui processo si è concluso nell’ottobre 2022, i giudici statuiscono in maniera indiscutibile che Cirino è una vittima innocente della mafia e della criminalità organizzata. Ma la battaglia di Concetto non era finita perché il suo desiderio era quello di far intitolare una via di Lentini a “Cirino Catalano – Vittima innocente della mafia e della criminalità organizzata”.
E quello di rivedere al suo posto la targa in memoria delle vittime di mafia lentinesi, per ben due volte distrutta e vandalizzata. “Questo era quello che chiedeva a suo figlio Carlo fino all’ultimo giorno di vita dal suo letto “perché sofferente e allettato”, conclude Silvia Scammacca, e “chiedeva spiegazioni sulle tempistiche del riconoscimento dei diritti dovuti quali familiari di vittime, che a distanza di oltre 5 anni il ministero dell’Interno e in modo particolare il Fondo di rotazione per le vittime di mafia ancora deve riconoscere alla nostra famiglia”.