AGI – Disposizioni per il ripiano del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici, misure per affrontare le carenze di organico e sulle prestazioni aggiuntive, sanzioni più severe per chi si rende responsabile di lesioni ai danni del personale sanitario. È quanto contenuto nel decreto Bollette approvato oggi in Consiglio dei ministri.
In particolare, per quanto riguarda il ripiano del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici, viene istituito un fondo presso il ministero della Salute per l’assegnazione di una quota a ciascuna regione e provincia autonoma – determinata in proporzione agli importi complessivamente a esse spettanti per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 – da utilizzare per gli equilibri dei servizi sanitari regionali dell’anno 2022.
Fermo restando l’obbligo del versamento della quota integrale per il ripiano del superamento del tetto di spesa a favore delle regioni e delle province a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici che non rinunciano al contenzioso attivato – spiega la nota di Palazzo Chigi diffusa al termine del Cdm – si prevede che le aziende che non abbiano attivato alcun contenzioso o abbiano rinunciato al contenzioso attivato, possano versare entro il 30 giugno 2023, la restante quota nella misura pari a una percentuale inferiore a quella prevista dalla legislazione vigente dell’importo indicato nei provvedimenti regionali e provinciali.
Per sopperire alla carenza di organico, inoltre, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale possono affidare a terzi i servizi medici e infermieristici esclusivamente nei servizi di emergenza-urgenza ospedalieri, per un massimo di 12 mesi e senza possibilità di proroga. E ancora: non può richiedere la ricostituzione del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale il personale sanitario che interrompa volontariamente il rapporto di lavoro dipendente con una struttura pubblica per prestare la propria attività presso un operatore economico privato che fornisce i servizi medici e infermieristici alle aziende e gli enti dell’Ssn.
Le aziende e gli enti del Ssn, per l’anno 2023, possono ricorrere alle cosiddette “prestazioni aggiuntive” (tipologie di attività libero professionale intramuraria) per le quali la tariffa oraria fissata dal Ccnl di settore (pari a 60 euro), può essere aumentata sino a euro 100 lordi, nei limiti delle risorse disponibili, di cui si prevede tuttavia un incremento per ciascuna regione.
Sino al 31 dicembre 2025, poi, si prevede una specifica procedura per l’accesso alla dirigenza medica del Ssn nella disciplina di Medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza per il personale medico che, nel periodo tra il primo gennaio 2013 e il 30 giugno 2023, abbia maturato, presso i servizi di emergenza-urgenza del Ssn, almeno tre anni di servizio, anche non continuativo, o abbia svolto un determinato numero di ore di attività (pari ad almeno tre anni di servizio).
Inoltre, con il decreto si prevede la possibilità per i medici in formazione specialistica di assumere, su base volontaria e al di fuori dall’orario dedicato alla formazione, incarichi libero-professionali presso i servizi di emergenza-urgenza ospedalieri del Ssn, per un massimo di 8 ore settimanali. Per il personale, dipendente e convenzionato, operante nei servizi di emergenza-urgenza e in possesso dei requisiti per il pensionamento anticipato è prevista la possibilità di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da orario pieno a orario ridotto o parziale, in deroga ai contingenti previsti dalle disposizioni vigenti, fino al raggiungimento del limite di età pensionabile.
Infine, si modifica il codice penale inasprendo la sanzione per le lesioni personali quando la persona offesa è esercente una professione sanitaria o sociosanitaria nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio. Nel dl Bollette, varato in Consiglio dei Ministri, una parte cospicua è dunque destinata alla sanità, soprattutto agli operatori che sono al centro di una crisi strutturale denunciata da anni e sempre più evidente, tanto da far parlare la Fondazione Gimbe di “Ssn in codice rosso”.
Misure attese e auspicate, aveva sottolineato stamattina la Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo), ma che non bastano se non si interviene pesantemente e strutturalmente: “La strada è quella giusta – sostiene il presidente Fnomceo Filippo Anelli – ma è solo l’inizio: bisogna rendere attrattivo il nostro SSN, attraverso un intervento di sostegno ai professionisti, in maniera sistemica e globale. È necessario intervenire non solo sul piano economico ma anche su quello delle condizioni di lavoro, oggi insostenibili e con gravi ricadute sulla salute degli operatori, oltre che sulla loro vita privata e familiare”.
Un intervento “a livello più ampio, aumentando gli investimenti, programmando e ampliando le assunzioni, migliorando le condizioni di lavoro”. La sanità pubblica, insomma, è un grande corpo malato da anni, fiaccato dal triennio pandemico, in una crisi sistemica che, secondo il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta “sta raggiungendo il punto di non ritorno tra l’indifferenza di tutti i Governi che negli ultimi 15 anni, oltre a tagliare o non investire in sanità, sono stati incapaci di attuare riforme coraggiose per garantire il diritto alla tutela della salute”.
Il sistema paga, secondo Gimbe, la coesistenza “di varie malattie: imponente sotto-finanziamento, carenza di personale per assenza di investimenti, mancata programmazione e crescente demotivazione, incapacità di ridurre le diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato. Un SSN gravemente malato che costringe i pazienti ad attese infinite, migrazione sanitaria, spese ingenti, sino alla rinuncia alle cure”.
I numeri parlano chiaro: secondo l’Istat la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, sino all’l’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attesterebbero un recupero con una riduzione al 7%, l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) rispetto alle rinunce per motivi economici (3,2%).
E nel 2020 oltre 600 mila famiglie hanno dovuto sostenere spese “catastrofiche”, ovvero insostenibili rispetto ai budget, e quasi 380 mila famiglie si sono impoverite per spese sanitarie, in particolare nelle Regioni meridionali. La parte più sofferente del “corpo” servizio sanitario nazionale è chiaramente quella dell’emergenza/urgenza, soprattutto i Pronto Soccorso allo stremo.
Su questo il ministro Orazio Schillaci da subito ha posto l’accento, e anche stamattina aveva annunciato le misure in Cdm pensate “in modo tale che anche i giovani neo-laureati abbiano voglia di iscriversi ai corsi di specializzazione nella realtà della medicina critica”. E se sono meno del necessario i medici che entrano nel sistema, la crisi è acuita da quelli che ci escono, prima del tempo, per inseguire paghe migliori nel privato o all’estero: “Siamo impegnati ad affrontare e risolvere un grave problema di carenza di personale sanitario – aveva detto ancora Schillaci – frutto anche di una programmazione dell’accesso alla Facoltà di Medicina che in passato non ha sempre tenuto conto dei reali fabbisogni del sistema salute”.
Per questo è già previsto “un aumento del numero di ingressi a Medicina e siamo al lavoro per una migliore organizzazione dei percorsi post laurea”. Sempre pensando, però, al punto più concreto, cioè appunto le remunerazioni: “Guardando al futuro – aveva spiegato Schillaci – per rispondere alla carenza del personale sanitario, dovremo anche valorizzare economicamente e professionalmente il nostro capitale umano evitando che, una volta formato nelle nostre Università, sia costretto a trasferirsi all’estero alla ricerca di maggiori gratificazioni economiche e di carriera. Arrestare questa emorragia dei nostri migliori cervelli è il più grande investimento sul futuro che possiamo fare e un traguardo che pero’ non possiamo fallire”.