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Crolla la produzione del Buttafuoco Doc. La siccità fa tremare i viticoltori

Feb 27, 2023

AGI – Deficit idrico accumulato, -61% di acqua nel bacino del Po, -53% di neve caduta sulle Alpi, 50 giorni di pioggia il minimo stimato dal Cnr per recuperare i millimetri persi in laghi attraversabili a piedi da una sponda all’altra: una situazione che si profila in via di peggioramento e di cui i vertici regionali lombardi discuteranno il prossimo 2 marzo.

Il 2023 si può ancora definire appena iniziato eppure la parola ‘siccità‘ torna a riempire tanto le pagine dei giornali quanto le giornate mai facili di chi, con la natura e i fenomeni climatici estremi, ha a che fare tutti i giorni.

Come le cantine socie del Consorzio “Club del Buttafuoco Storico”, nell’Oltrepò pavese. 90mila bottiglie, 22 ettari, 18 produttori, 7 comuni coinvolti (da Broni a Canneto Pavese, Castana, Montescano, Stradella, con piccole porzioni di Cigognola e Pietra De’ Giorgi) e un disciplinare molto rigoroso: questi i numeri che raccontano uno dei vini rossi lombardi più celebri, Doc dal 2010 e che oggi peraltro festeggia i suoi 27 anni con un evento a Milano.

“In quella parte di Lombardia a sud del fiume Po, non molto distante dai confini con il Piemonte e l’Emilia Romagna – scrive di sé il club con suggestione manzoniana – è situata la zona di produzione del Buttafuoco DOC. Solamente in quella fascia collinare posta tra la Valle Versa e la Valle Scuropasso è dove vi si possono trovare le vigne storiche ed è sempre li che hanno sede le cantine dei soci del Consorzio”. Ma la siccità è arrivata anche qui, alle bottiglie di quel vino che – ironia del destino – si fa giustamente vanto di “buttare il fuoco dentro”. Agi ne ha parlato col presidente del club Armando Colombi

Colombi, si è ricominciato a parlare di siccità e i toni sono già, o ancora, molto preoccupati. 

Sì, perché il problema è la siccità prolungata. Un anno di siccità per la vite non è un grande problema, soprattutto per le vigne storiche come le nostre le cui radici vanno molto in profondità, sino a dieci anche venti metri, e così riescono a pescare acqua. Diciamo che le nostre sono le vigne più vocate e nei secoli si è visto che resistono alle situazioni climatiche più complicate. Ma tra la siccità che continua e la mancanza di neve d’inverno le falde rimangono più basse, i pozzi sono asciutti, quindi la vite, per quanto le radici vadano in profondità, fa fatica a trovare acqua.  

Non si parla più, quindi, di un solo anno di ‘stress’ per la pianta. Che impatto sta avendo tutto questo sul vostro vino? 

No, infatti, ma di due, tre, quattro. Innanzitutto, questo crea sofferenze alla pianta che produce meno e genera grappoli più asciutti, con meno liquido, perché ovviamente se la pianta non prende acqua dal terreno la prende dal suo frutto. Questo significa che il frutto rimane disidratato e quindi, quando vai a raccogliere l’uva per pigiarla, hai una serie di problemi. Prima di tutto una quantità di produzione del 30-40% in meno. Poi, essendoci poco liquido ma tanto zucchero, le fermentazioni (cioè la trasformazione dello zucchero in alcol, ndr) fanno fatica a partire. E infatti negli ultimi anni i gradi alcolici sono cresciuti. Riepilogando, fai fatica a trasformare lo zucchero in alcol, l’alcol diventa tanto, la parte fermentativa ne soffre, i lieviti autoctoni muoiono e devi fare una scelta di lieviti selezionati che resistano a questi gradi alcolici importanti.  

Temete conseguenze sul disciplinare del Buttafuoco storico? 

No, noi riusciamo a rispettarlo. Ma una situazione del genere non si è mai vista e per giunta va peggiorando, non migliorando. Quindi, per quello che riguarda il nostro regolamento, dobbiamo rivedere progressivamente le modalità di allevamento della vite e la parte di campagna. Non è più come una volta, quando dovevi tenere i tralci corti e avere pochi grappoli, proprio perché come dicevo c’è il problema dei grappoli asciutti. 

Siamo alle famose strategie di adattamento: come state intervenendo? 

Dobbiamo mettere a punto, con le università e gli agronomi, dei nuovi sistemi. Si tratta di lavorare in campagna con nuovi sistemi che possano trattenere più acqua e ridurne la dispersione, anche perché noi non abbiamo un lago vicino da cui possiamo pescare l’acqua e irrigare, noi siamo in collina e l’unica acqua che abbiamo è quella in profondità, perciò vanno trovati sistemi per preservare l’acqua. Va anche immaginato un differente sistema di trattamento e potatura nel senso di cura dell’apparato fogliare e, per quello che riguarda il terreno, vanno pensate lavorazioni e pacciamature differenti, ossia qualcosa che trattenga dato che l’acqua evapora quando c’è molto caldo. Tutti questi sistemi comportano una serie di accortezze tecniche abbastanza complesse che vanno approfondite con esperti e professori universitari. 

State lavorando con le università quindi? 

Infatti. Io partecipo a conferenze e tavoli di lavoro per cercare una strada. Che va trovata adesso per affrontare i prossimi anni. Ad esempio, con l’università di Milano stiamo facendo dei corsi insieme al professor Leonardo Valenti. Oppure molto presente da noi è l’università di Piacenza che peraltro sta conducendo uno studio, col professor Alberto Vercesi, sui costi di produzione dell’uva nelle nostre zone. Ma è un lavoro lungo, ci metti quattro o cinque anni per vedere se la sperimentazione funziona. L’unica è continuare a provare. 

E piantare viti resistenti alla siccità?   

Non è così semplice. La vite è una delle piante più complesse perché ti dà un frutto che devi trasformare in vino e il nostro è un vino che mandi al consumo dopo minimo tre anni. Piantare viti resistenti, ad esempio, vuol dire rifare degli impianti e rifare degli impianti di vite, considerato che poi vai in produzione dopo cinque, sei, sette anni, significa che il vino ce l’hai dopo tre anni. In sintesi, se mi metto a fare un impianto nuovo oggi io il vino lo assaggio tra undici anni. Allora, se vuoi preservare il patrimonio genetico e utilizzare le viti di tradizione, non quelle modificate dalla siccità, devi fare lavori che non sono di genetica ma di coltivazione differente. Però appunto bisogna provare. Le università ci stanno lavorando e ci stanno dando soluzioni che però prima vanno testate.   

Nel frattempo, fai meno vino, che è più alcolico e che devi fare pagare di più… 

Sì, lo fai pagare di più perché il costo di produzione aumenta. Quindi hai la resa più bassa, i costi di produzione aumentano, ultimamente anche i costi energetici sono in aumento, è tutto aumentato. Insomma, se vuoi vini di un certo livello, ahimè, i costi stanno crescendo in maniera veramente importanti.

Quali aspettative per il 2023? 

Nel 2022, oltre alla siccità, anche la grandine ha colpito il nostro sperone di collina e quando la pianta viene ferita così, tanto che alcuni non hanno raccolto, l’anno successivo la produzione è sempre inferiore. Quindi ci aspettiamo un 2023 sempre con un 30% in meno.  

Una domanda marginale ma neanche tanto: gli alert sanitari sulle etichette del vino decisi in sede europea. 

 

Il vino nato in maniera naturale dalla fermentazione è una cosa che si beve da più di 3000 anni, viene citato persino nella Bibbia. Siamo favorevoli al simbolino della donna incinta che non deve consumare alcol e l’abbiamo sempre messo ma estremizzare dicendo che l’alcol crea dipendenza, per quanto riguarda il vino, ci sembra un po’ eccessivo. Ciò detto, sicuramente ci vuole una educazione di base e questa sì deve essere fatta dalla Comunità europea.  

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