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Tim: dossier rete, tutto quello che c’e’ da sapere

Feb 25, 2023

AGI –  Il dossier relativo alla rete di Tim, dopo l’apertura (‘parziale) del cda alla trattativa con il fondo statunitense Kkr, sembra questa volta avviarsi su un percorso concreto che davvero potrebbe portare alla dismissione di un asset realmente strategico, per la società ovviamente ma anche per l’interesse nazionale.

– COSA è LA RETE
Tim detiene e gestisce una rete di accesso primaria, in rame e fibra ottica, che serve i cabinet (quegli armadietti che si vedono sui marciapiedi delle nostre città) nonchè i collegamenti ultra-broadband (cioè con accesso a internet con velocità superiori a 30 Mbps) dei clienti finali. Poi possiede la cosiddetta rete di accesso secondaria, anch’essa sia in rame sia in fibra ottica, che dai cabinet arriva nelle singole case degli italiani.

La rete primaria è detenuta interamente e direttamente da Tim, mentre la secondaria è posseduta indirettamente dalla principale compagnia telefonica del Paese tramite Fibercop, il cui capitale è nelle mani di Tim per il 58%, il 37,5% è di Kkr (tramite la società Teemo) e il restante 4,5% da Fastweb.
In vendita è una quota di maggioranza della società di Tim chiamata Netco, di cui fanno parte la rete primaria, la rete secondaria (Fibercop) e Sparkle, un vero e proprio ‘gioiellinò che possiede e gestisce una rete in fibra di circa 550 mila chilometri che contribuisce a garantire i collegamenti internet tra Europa, Africa, Americhe e Asia. 

PERCHè TIM è PRONTA A CEDERE LA RETE

Tim è pronta a cedere il controllo di Netco – oltre che per dedicarsi ai servizi ‘corè di telefonia e internet e a quelli più ‘evoluti’ come i Cloud, Data Center, distribuzione di contenuti (piattaforma Timvision) – soprattutto per abbattere il ‘famosò debito che grava come un macigno su ogni piano di sviluppo sin dalla privatizzazione degli anni ’90. Un “fardello” che con l’incremento attuale dei tassi di interesse appare sempre di più difficile gestione.
Tim ha chiuso il 2022 con un indebitamento finanziario netto after lease pari a 20 miliardi di euro, in aumento di 2,4 miliardi di euro rispetto al 31 dicembre 2021. L’indebitamento finanziario netto rettificato era pari a fine dicembre scorso a 25,4 miliardi, in aumento di 3,2 miliardi rispetto alla stessa data dell’anno precedente.
È necessario “cercare di ridurre in maniera sostanziale il nostro indebitamento se vogliamo operare in maniera eccellente” e per riuscirci “ci dovranno essere operazioni straordinarie”, ha affermato in occasione della presentazione dell’aggiornamento del Piano industriale (15 febbraio) l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Labriola, che in precedenza aveva sottolineato che Tim è “un’azienda industrialmente sana” che però soffre per “il fardello del debito” che deve ormai “essere risolto strutturalmente”. Parole chiare apprezzate da analisti e investitori e riconosciute dal presidente di Tim, Salvatore Rossi, per il quale “Pietro evita di mettere la polvere sotto il tappeto anche a costo di dire verità scomode: questo mi rende ottimista”. 

LA REGIA DEL GOVERNO
Tim è storicamente un’azienda che tocca da vicino le sfere della politica e l’attenzione dei vari governi, e l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ovviamente non può fare eccezione. Del resto parliamo di un asset strategico, per business e sviluppo sociale, della nazione. La circolazione dei dati sensibili e le infrastrutture di telecomunicazione ricadono nel regime dei poteri speciali, ovvero del golden power, lo strumento normativo che consente al governo di uno Stato di bloccare o porre specifiche condizioni a determinate operazioni finanziarie che vadano a intaccare gli interessi nazionali.

Nello specifico, l’obiettivo dell’attuale esecutivo è stato più volte esplicitato dal ministro per le Imprese e il Made in Itay, Adolfo Urso: lo scopo del governo “è la realizzazione non di una rete unica, ma di una rete nazionale a controllo pubblico che copra al più presto tutti gli ambiti del nostro territorio, soprattutto quelli più svantaggiati”. Quindi, oltre alla garanzia di garantirsi un controllo pubblico per evitare che la rete vada in mani private potenzialmente interessate al controllo dei dati personali per interessi ‘particolari’, il governo vuole assicurarsi che le connessioni più performanti arrivino anche nelle aree del Paese dove questi investimenti non risultano remunerativi, come per esempio nei piccoli comuni, nelle zone montane, nelle isole minori, zone d’Italia dove comunque vive una percentuale significativa della popolazione e che tramite infrastrutture avanzate possono essere in grado di ripopolarsi e svilupparsi economicamente. (AGI)

L’INTERESSE DI KKR
Kkr è un fondo statunitense fondato nel 1976 a New York da Jerome Kohlberg Jr. e dai cugini Hwenry e George R. Roberts. Amministra più di 400 miliardi di dollari tramite una ‘squadrà composta da quasi 1.700 impiegati e consulenti e oltre 550 analisti capaci di pilotare e consigliare investimenti da una rete dislocata in 20 città di 16 diverse nazioni di 4 continenti. In questi anni Kkr ha effettuato investimenti in oltre 160 società che spaziano dai settori delle infrastrutture (uno dei più gettonati dal fondo) all’energia, dal real estate al credito.

Già nel novembre del 2021 aveva manifestato interesse per Tim con un’offerta per rilevare l’intero gruppo. Un interesse che fu rispedito al mittente, mentre adesso l’offerta non vincolante è arrivata per una quota di Netco, valutata complessivamente circa 20 miliardi di euro. La proposta è stata “apprezzata” dal cda di Tim che ha chiesto però che sia “migliorata”, dando tempo fino al prossimo 31 marzo per farlo. Tradotto, la rete viene valutata di più dal board di Tim e su questo fronte si farà sentire la voce di Vivendi. Il colosso francese dei media è il primo azionista di Tim con circa il 24% del capitale e ha già fatto trapelare di ritenere che la cifra ‘correttà per Netco sia di 31 miliardi di euro. Proprio per tenersi le mani libere in questa trattativa, Vivendi nelle scorse settimane ha ritirato i propri rappresentanti nel cda di Tim, a partire dal proprio amministratore delegato, Arnaud de Puyfontaine. 

IL RUOLO DI CDP
La Cassa Depositi e Prestiti si trova nella singolare posizione di venditore e potenziale acquirente di Netco. Cdp, infatti, è il secondo socio di Tim con il 9,9% circa del capital e detiene il 60% di Open Fiber, la società fondata per cablare il Paese con una rete alternativa a quella di Tim ma che nel corso degli anni non sta raggiungendo i propri target. L’altro 40% è detenuto dal fondo australiano Macquaire.

Il tandem Cdp-Macquaire era in predicato di formulate una nuova (dopo quella presentata da Cdp a maggio e finita in un nulla di fatto) proposta alternativa a quella di Kkr. Il progetto prevedeva un’offerta per Netco (più alta della valorizzazione proposta da Kkr) che poi si sarebbe integrata con la rete di Open Fiber. Su questo progetto, però, sono emersi da subito diversi dubbi in materia di Antitrust ed è stata bloccata dallo stesso governo. Al momento, pertanto, lo schema più probabile per la cessione della rete di Tim pare essere quello di cavalcare l’offerta di Kkr con un partner pubblico (si parla del Fondo Strategico Italiano), con Cdp che entrerebbe nella partita successivamente, fugate con Bruxelles ogni problematica in tema di Antitrust. 

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