AGI – Gli squali sono il terrore dei mari. Così è da sempre nel nostro immaginario. Ma il recente episodio di una sedicenne aggredita da uno squalo nel fiume Swan, vicino Perth, nell’Australia occidentale, apre un nuovo inquietante scenario: gli squali possono vivere e attaccarci anche nell’acqua dolce? Ne abbiamo parlato con Flavio Gagliardi, biologo marino e direttore dell’Acquario di Cala Gonone in Sardegna, che prima di tutto invita a ridimensionare l’allarme.
“Gli attacchi mortali degli squali in un anno sono pochissimi. Leggevo che uno studio della rivista ‘National Geographic’ del novembre 2022 afferma che la possibilità di essere aggrediti da uno squalo è una su un milione 748mila casi, mentre la possibilità di morire per una caduta accidentale è una su 218 casi. Addirittura il rischio di morire per la caduta in testa di una noce di cocco è 15 volte superiore a quello di essere uccisi da uno squalo”.
Curiosità a parte, resta il fatto che la sedicenne è morta. “La ragazza a quanto pare si trovava a bordo di una moto d’acqua, sembra abbia avvistato un gruppo di delfini e si sia tuffata con l’intenzione di nuotare insieme a loro. Forse questo è stata una leggerezza purtroppo fatale – osserva Gagliardi – perchè il rapporto tra delfini e la presenza di uno squalo è un fatto comune: i delfini sono mammiferi molto dotati che facilmente rintracciano fonti di cibo e lo squalo spesso li segue per approfittarne. A me è successo personalmente un episodio analogo, durante un soggiorno in barca sul Mar Rosso: abbiamo avvistato questi simpatici mammiferi e nell’eccitazione collettiva stavamo per lanciarci in acqua. La guida ci ha subito bloccato avvertendoci del possibile pericolo. Infatti poco dopo ci siamo accorti che uno squalo ‘longimano’, tipico abitante di mari tropicali e temperati caldi, inseguiva i delfini. Il ‘longimano’, tra l’altro, è lo squalo più pericoloso, nel senso che vanta il maggior numero di attacchi all’uomo. Non posso dire che questo sia quanto accaduto in Australia, anche perché le condizioni erano di certo differenti al mio caso, ma certo io ci avrei riflettuto”.
Ad attaccare la giovane australiana è stato uno squalo altrettanto temibile: “il ‘Carcharhinus leucas’, noto come Bull Shark, o squalo toro, così detto dall’abitudine di attaccare le prede colpendole a testate, proprio come un toro. L’adulto è un pesce lungo circa tre metri e mezzo, e appartiene a una famiglia che vive nelle acque circumtropicali, nei mari freddi non si trova, ed è rinomata la sua capacità risalire lungo i fiumi durante il periodo dell’accoppiamento. Questo pesce può vivere sia in acqua salata, sia in acqua dolce, passando dall’una all’altra con estrema disinvoltura. Ha infatti sviluppato una forma di adattamento particolare (che riguarda i reni e una ghiandola presente nella coda), che lo mantiene ‘salato’ anche quando nuota in acque dolci espellendo grandi quantità di acqua attraverso l’urina. Grazie a questa particolare capacità fisiologia riesce ad adattarsi a un ambiente che altrimenti gli risulterebbe ostile. E’ una capacità in realtà comune a molti pesci che risalgono i fiumi, pensiamo alle anguille o agli storioni, per esempio”.
In realtà il rapporto tra gli squali e l’acqua dolce è più profondo di quanto pensiamo: sono circa una quarantina le specie che vivono nelle acque dolci ed alcuni sono esemplari con delle colorazioni meravigliose, come i trigoni del bacino del Rio delle Amazzoni.
Da appassionato biologo marino, Gagliardi è un ammiratore degli squali. “Sono animali incredibili – ad esempio riescono a percepire i piccoli campi elettromagnetici generati dalle loro prede – e hanno compiuto strabilianti adattamenti evolutivi nel corso della loro storia sulla terra. Più li studiamo, più ci accorgiamo delle loro stupefacenti caratteristiche”. Un esempio? Proprio all’Acquario di Cala Gonone, un anno fa, è nato uno squalo palombo, grazie a un rarissimo caso di partenogenesi: in pratica non c’è stata la fecondazione da parte di un maschio, ma la femmina in totale autonomia ha dato luogo ad un meccanismo di riproduzione “simile” alla clonazione.
Purtroppo oggi gli squali sono fortemente minacciati dall’uomo, che mette in atto “una pesca sconsiderata e poco selettiva” e pratica addirittura il ‘finning’, cioè la rimozione delle pinne dell’animale che poi vengono utilizzate in cucina (la zuppa è particolarmente apprezzata dalle popolazioni asiatiche) e in medicina. “Il finning è una tecnica crudele – denuncia Gagliardi – perché dopo il taglio delle pinne i pesci vengono rigettati in mare e muoiono per dissanguamento e lo è tantopiù se pensiamo che Il 50 % delle specie di squali presenti nel Mar Mediterraneo è a rischio di estinzione e che circa un quarto di tutte le specie al mondo rischia di scomparire per sempre.”