AGI – I mercati avviano la settimana con gli occhi puntati sulla riunione della Fed che mercoledì dovrebbe annunciare un rialzo dei tassi di interesse da 75 punti base, il quarto di fila.
Gli investitori attendono soprattutto le indicazioni che il governatore Jerome Powell potrebbe dare sui futuri rialzi, alla luce di una possibile decelerazione nel ritmo delle strette già a partire da dicembre, sulla scia di quanto deciso la scorsa settimana dalla Banca centrale canadese.
In Asia i listini viaggiano contrastati dopo la nuova battuta d’arresto dell’attività manifatturiera in Cina a ottobre e i future a Wall Street sono deboli e poco mossi, dopo il rally della settimana scorsa, trainato dall’aspettativa di un rallentamento dei rialzi dei tassi da parte delle banche centrali, mentre l’effetto trimestrali ha remato contro.
Inoltre, mercoledì 2 novembre il governo Usa potrebbe mettere in campo un buyback di titoli di Stato (più precisamente operation twist), un’operazione non ancora ufficializzata, la cui data potrebbe anche slittare, e che consisterebbe nell’emettere titoli di Stato a breve per finanziare l’acquisto di buoni del Tesoro a lunga scadenza.
Oltre alla Fed, in settimana si pronuncerà, giovedì, anche la Boe, che si prevede rialzerà il costo del denaro di tre quarti di punto, sebbene il mercato sia indeciso tra i 50 e i 75 punti base. La decisione dovrà essere presa senza conoscere i dettagli della nuova legge di bilancio (la cui pubblicazione è stata rimandata al 17 novembre). Un rialzo di 25 punti base è invece atteso, martedì, dalla Banca centrale australiana.
“Effettivamente – spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte – come hanno dimostrato la Bank of Canada e la Bce, le banche centrali stanno iniziando a ripensare all’entità delle strette, anche per considerazioni di stabilità finanziaria. Per esempio la Bce ha chiaramente fatto riferimento a delle carenze di collaterale. In altre parole per le banche centrali in questa fase è difficile andare avanti con strette molto aggressive oltre una certa soglia, non solo perchè così facendo si favorisce l’arrivo della recessione ma anche perché a salire troppo coi tassi si rischia di innestare problemi di carattere finanziario, tipo quelli creati ai fondi pensione nel Regno Unito. Si tratta di problemi molto tecnici: un forte aumento dei tassi crea carenza di collaterale, il che rende meno liquido il mercato obbligazionario dei titoli di Stato. L’allarme lo ha lanciato Christine Lagarde in Europa e negli Usa il segretario al Tesoro, Janet Yellen, per ovviare a questo problema, ha avanzato l’ipotesi di un buyback del Tesoro statunitense, che consisterebbe nell’emettere titoli di Stato a breve per comprare Treasury a lunga e lunghissima scadenza”.
“La scorsa settimana – spiega Cesarano – i mercati hanno viaggiato col vento in poppa, ma questa sarà più contrastata, più mista. Molto dipenderà da quello che succederà il 2 novembre: se la Fed confermerà che siamo vicini a una fase di rallentamento delle strette e se il governo Usa renderà nota o meno l’ipotesi di buyback. Se il piano sui Treasury arriva sono molto più ottimista, se invece non arriva, le Borse invece di +4% faranno +1%. Tuttavia i mercati vanno osservati un po’ più in prospettiva e a questo proposito va detto che i prossimi 15-20 giorni saranno molto importanti sia sul piano economico, sia su quello geopolitico. In questi 15-20 giorni ci giocheremo parecchio delle prospettive future. Dopo mercoledì, l’altro momento cruciale saranno le elezioni di midterm dell’8 novembre. Se, come appare probabile, i repubblicani dovessero vincere e conquistare almeno la Camera, ci potrebbero essere grosse ripercussioni sulla guerra in Ucraina, soprattutto per quanto riguarda i futuri finanziamenti a Kiev. E più in là occorre guardare al G20 di Bali del 15-16 novembre. In Indonesia si terrà un G20 geopoliticamente decisivo, perchè vedremo se Biden e Putin cominceranno a dialogare e lo stesso dicasi per Bidin e Xi Jinping. E’ importante notare che il G20 arriva una settimana dopo le elezioni Usa, che finora hanno fatto da ‘tappo’, nel senso che tante cose sono state fatte o non sono state fatte in previsione di quella data. A metà novembre questo tappo non ci sarà più e molte cose cambieranno. Forse si potrà negoziare con più chiarezza sull’Ucraina e su Taiwan, sul dollaro forte, sul petrolio”.
I dati macro
Questa settimana si presenta molto densa anche dal punto di vista macroeconomico. In area euro, si parte subito, oggi, coi dati sull’inflazione a ottobre. La speranza è che sia un ‘dolcetto’, sebbene alla luce dei recenti dati delle principali economie dell’area, è più probabile che ci aspetti lo ‘scherzetto’ di salire in prossimità dell’11% (dal precedente 9,9%). In accelerazione verso il 5% anche l’inflazione core. Sempre in area euro e sempre oggi sarà pubblicata la prima lettura del Pil del terzo trimestre che su base trimestrale dovrebbe registrare una variazione intorno allo zero, visto il peso dei costi energetici sui consumi e sull’attività industriale.
Negli Usa avremo gli indici Ism manifatturiero (domani) e servizi (giovedì), con il primo atteso scendere in territorio di contrazione per la prima volta dal marzo 2020. A questi dati si aggiungeranno, venerdì, i dati sul mercato del lavoro Usa, che dovrebbero confermare la robustezza del settore con semmai un rallentamento della dinamica salariale.