AGI – Non ci fu lambrusco e nemmeno vodka, ma qualcosa da tenere discretamente lontano dagli occhi sensibili di diplomatici e cancellerie, quello sì. Solo che venne svelato anch’esso, seppur non per bocca degli interessati, e fu un ohibò in tutta Europa, anche se a scoppio ritardato. Anche se, soprattutto, la portata del giro di valzer del Castello di Racconigi, che vide l’Italia concedersi ad uno Zar a dispetto delle alleanze proclamate, ormai era sminuita se non cancellata, complice il ben più grande macello che, nel frattempo, si era scatenato con la Prima Guerra Mondiale.
Riassunto della situazione internazionale dell’epoca: l’Italia è legata mani e piedi all’alleanza detta la Triplice con Reich tedesco e Impero Austro-ungarico. Lo ha voluto la sinistra storica e il suo pupillo più illustre, Crispi. Risultato: la destra storica, o quel che ne rimane, briga e intrallazza per far saltare il banco.
Sono almeno trent’anni che a Mosca agiscono, in veste di ambasciatori, uomini legati alla vecchia maggioranza che, vuoi per nostalgie ant-iaustriache e post-risorgimentali, vuoi per coscienza dei nuovi equilibri del gioco delle grandi potenze, insomma per tutto questo e anche altro, guardano a Mosca come se fosse Parigi o Londra. E, magari, ci hanno pure visto giusto perché Parigi e Mosca sono alleate, Mosca e Londra non son certo ai ferri corti. Insomma, certi spazi di manovra non sono chiusi.
Correva l’anno 1909 ed era, proprio come oggi, la fine di ottobre. Ultimo elemento: i russi avevano scoperto da poco le attrattive del mare di Liguria e dell’alto Tirreno, e si precipitavano verso quelle acque calde con lo stesso fervore con cui oggi gli oligarchi si comprano le ville di Forte dei Marmi.
Lo Zar Nicola II sbarcò pertanto a Genova, e quelle onde dove era affogato un secolo prima Shelley gli piacquero non poco. Si trattenne pero’ solo un paio di notti: i Savoia, che lo avevano invitato a far visita come fossero stati parenti stretti, li attendevano in un loro castello dall’altra parte dei monti e delle colline, in quel di Racconigi, provincia di Cuneo. Il castello c’è ancora: un po’ délabré, magari, ma soprattutto di quell’anonimo ocra intenso che nascondeva fino ad una decina di anni fa anche la polvere depositata sulla facciata del Quirinale.
Quanto al Quirinale, che stesse fuori della partita: Vittorio Emanuele III non lo amava, e poi lontani da Roma lontani dal cuore e dagli sguardi indiscreti. Via, non è molto che gli anarchici hanno preso di mira le teste coronate: si lasci perdere la metropoli con le sue teste calde. A Racconigi, Maestà Imperiale, si sta benissimo. Anzi, le piace il capriolo?
Fu così che Nicola II di tutte le Russie, invece di fare il Grand Tour come un conte Tolstoj qualsiasi, deviò e da Genova dov’era prese la carrozza e scese a Racconigi, per l’appunto, che s’illuminò a festa per tre giorni. Verrebbe spontaneo il confronto con le speculari battute di caccia nella neve, fuori di una dacia, ma è roba scontata anche troppo.
Non storicizziamo, non è mai un buon metodo. La cronaca basta. Ma la cronaca di quei tre giorni, che furono di balli e di parate, brindisi e banchetti, purtroppo è avara di particolari. Anzi, ne ignora proprio l’unico essenziale, perché più tardi, anni dopo, si venne a sapere che a un certo punto il Savoia si ritirò in una stanzetta laterale, nel pieno di un gran ballo, e mentre i presenti ignari volteggiavano lui e il Romanov presero la penna e firmarono.
Con il loro nome firmarono due documenti, il primo in francese il secondo in russo e in italiano, che sancivano quanto segue:
1) che i Balcani sarebbero stati divisi tra di loro in due zone d’influenza;
2) che l’Asburgo dovesse essere tenuto fuori dai suddetti Balcani;
3) che nessuno dovesse mai sapere di quel patto che apriva a Mosca le porte del Mediterraneo e a Roma quelle del girone dei traditori.
Compiuto il misfatto, lo Zar ripartì. Ma mica era detto che la clausola della segretezza potesse reggere: i servizi segreti austroungarici, che a Mayerling avevano fallito, a Racconigi ci videro benissimo. Pochi giorni e il documento in triplice lingua che azzoppava la Triplice Alleanza era sulla scrivania di Francesco Giuseppe.
Quanto agli Zar, dopo il macello di Ekaterinburg ci avrebbero pensato i bolscevichi ad aprire gli archivi imbarazzanti. Ma per quell’epoca, in fondo, era tutto sorpassato: se a Racconigi i Savoia riconoscevano gli interessi russi su Costantinopoli, prima che i Romanov finissero al muro si erano già premuniti di farsi promettere il Bosforo dai francesi, con gli accordi di San Giovanni di Moriana. Accordi segreti, inutile dirlo.