Guerrieri di antico lignaggio ed eroica possanza, coinvolti in magnifiche danze di morte sulle note acute di lame stridenti e urla in lontananza, sullo sfondo di fortezze ormai ridotte a culle per cadaveri. E mentre il sangue di eroi senza nome scorre tra le pietre fino al cuore della terra, uno e uno solo è il grido che unisce, come fratelli in armi, alleati e avversari: “per l’onore!“. Un richiamo potente, che permette a For Honor, uno dei titoli più interessanti della lineup di Ubisoft per questo 2017, di immergere il giocatore nel cuore di un conflitto misterioso e senza tempo, tra battaglie epiche e duelli mozzafiato. Rapiti da questa premessa altamente galvanizzante, non abbiamo potuto esimerci dal tornare sui campi di battaglia dell’action game del publisher francese, approfittando della golosa occasione offertaci dall’ultima closed beta.
Di nuovo sulla breccia, cari amici
All’avvio del gioco si è chiamati a scegliere una tra le tre fazioni (cavalieri, vichinghi, samurai) impegnate nella guerra secolare che colmerà – di sangue – le maglie della campagna di For Honor, ancora avvolta dal mistero. Fortunatamente per le nostre aspirazioni marziali, questa prima scelta (comunque modificabile in seguito) non limita in alcun modo lo spettro delle classi utilizzabili sul campo, ma determina solamente lo schieramento del giocatore nella cosiddetta Guerra delle Fazioni.
Il metagioco in questione permette di sostenere la propria fazione nella conquista, o nella difesa, dei territori che compongono la mappa tattica – in stile Risiko – del mondo di For Honor. Nessuna reale conseguenza sulla giocabilità, badate, solo premi in risorse ed equipaggiamento per i membri dell’esercito che risulterà vincente al termine dei singoli turni e delle stagioni complete (10 settimane), e qualche modifica all’aspetto delle mappe in base alla fazione dominante ciascun territorio. Sebbene questo elemento “persistente” risulti inizialmente intrigante, il suo scarso peso nel bilancio del gameplay porta naturalmente a scordarsene in tempi piuttosto brevi. Messa dunque da parte l’ansia da schieramento, passiamo a quello che è il vero punto di forza del titolo targato Ubisoft: il gameplay. Il sistema di combattimento di For Honor offre un’esperienza sorprendentemente profonda e appagante, caratterizzata da uno spessore tattico di non poco conto. In maniera simile – almeno concettualmente – a quanto visto in titoli come Chivalry: Medieval Warfare e Mount & Blade, For Honor si basa su un sistema di “stance” che permette di eseguire attacchi direzionali a diversi punti del corpo degli avversari, e di parare quelli in arrivo portando tempestivamente la guardia nella posizione speculare a quella del colpo. Il sistema, gestito tramite la combinazione di grilletto sinistro e levetta destra, è più intuitivo di quanto non possa sembrare a una prima occhiata, e offre grandi soddisfazioni ai giocatori in grado di padroneggiarlo a dovere. La curva d’apprendimento è non è particolarmente ripida, almeno per quel che riguarda le basi del combattimento, ma per dominare al meglio il moveset di ciascun eroe avrete bisogno di un bel po’ di pratica sul campo.
Ogni classe è munita di abilità offensive e difensive basate sulle caratteristiche fisiche e sull’armamentario in dotazione a ciascun personaggio, elementi che determinano anche il catalogo delle combo a disposizione dei combattenti, la velocità degli attacchi, l’efficienza delle parate e la portata dei vari colpi. Ad aumentare ulteriormente lo spessore del gameplay abbiamo anche le Tecniche, speciali abilità di classe con le quali il giocatore può personalizzare il loadout di ogni guerriero in base alle proprie preferenze. Ogni Tecnica garantisce uno specifico effetto attivo o passivo (ex. bonus alla salute degli alleati, attacchi unici, riduzione temporanea dei danni), e può essere attivata – tramite la croce direzionale – accumulando, con uccisioni e conquiste, un numero sufficiente di punti. La closed beta di For Honor permetteva l’accesso a nove delle dodici classi del gioco, tre in più rispetto alla precedente fasi alpha, ovvero Pacificatrice, Condottiero e Nobushi. La prima è una combattente a distanza ravvicinata (sottoclasse Assassino) dotata di due lame corte, pericolosissima a causa della sua grande velocità e dei suoi feroci contrattacchi.
Rientrano nella categoria dei contrattacchi sono anche alcune delle tecniche più temibili a disposizione del Condottiero vichingo (sottoclasse Pesante), in grado di colpire gli avversari immediatamente dopo aver parato un colpo con lo scudo. Sorprendente invece la versatilità del samurai Nobushi (sottoclasse Ibrido), che con la sua lunga lancia è in grado di tenere a bada il nemico dalla distanza, per poi ritirarsi rapidamente all’abbisogna. Messo in conto il necessario tempo di adattamento alle routine di ciascun combattente, possiamo confermarvi che Ubisoft sembra aver fatto un lavoro decisamente convincente per quanto riguarda il bilanciamento complessivo delle classi.
Gotta “git gud”
Di primo acchitto potrebbe sembrare che alcuni eroi abbiano vantaggi più significativi rispetto ad altri (l’incredibile range e il “damage over time” della combo base della Nobushi ne sono un chiaro esempio), ma dopo qualche duello ci si rende conto che ognuno dei combattenti è perfettamente in grado di fronteggiare qualsiasi avversario. Questo perché l’ampia gamma dei punti di forza e delle debolezze in carico a ciascun personaggio, unita alle caratteristiche del sistema di combattimento di For Honor, fa sì che l’esito di ogni scontro risulti determinato, in definitiva, dall’abilità dei giocatori.
Questo aspetto appare particolarmente evidente nelle modalità Duello (1v1) e Mischia (2v2), istanze nelle quali gli effetti dei vari pezzi d’equipaggiamento risultano azzerati e non è possibile utilizzare alcuna Tecnica. Discorso diverso per la modalità Dominio (4v4), che permette ai giocatori di sfruttare i buff offerti dai vari elementi di personalizzazione per armi e armature (droppabili al termine delle battaglie), nonché tutte le Tecniche sbloccate “livellando” ognuno degli eroi. Dominio, la più caotica delle modalità presenti nella beta, schiera gli utenti su fronti opposti all’interno di scenari relativamente ampi, con tre aree d’interesse che i combattenti sono chiamati a contendersi. In questa modalità la strutturazione delle mappe ricorda vagamente la divisione in tre “lanes” tipica dei MOBA, una sensazione di familiarità amplificata dalla presenza sul campo di soldatiminions che, in perfetto stile “carne da cannone”, compongono una sorta barriera umana in grado di ostacolare – brevemente – l’assalto degli avversari. L’ottimo lavoro svolto dal team di sviluppo sul design delle mappe garantisce ai giocatori uno spettro decisamente intrigante di variazioni sul tema del massacro, tra pontili sospesi nel vuoto – che implorano tattiche alla “questa è Sparta!” – e stretti corridoi le cui pareti possono impedire ad alcune classi di sfruttare al meglio le caratteristiche del proprio armamentario. Sebbene la sensazione di “guerra totale” sia sicuramente d’effetto, Dominio tende un po’ ad limitare il peso effettivo della componente “bravura” nel quadro del gameplay, anche a causa di un sistema di matchmaking ancora acerbo, con il vizio di mescolare giocatori con livelli d’abilità molto lontani tra loro.
Se da una parte la modalità Duello, con i suoi singolar tenzone altamente adrenalinici, continua confermarsi come la più appagante del trittico pre-lancio (il gioco completo conterà 5 modalità), la modalità Mischia si comporta decisamente meno bene, in gran parte proprio per le attuali caratteristiche del matchmaking di For Honor. Spesso, infatti, ci si ritrova a “giostrare” con partner non all’altezza della situazione, e il combattimento si trasforma ben presto in un “due contro uno” piuttosto frustrante. Senza considerare poi che Ubisoft non ha ancora inserito nel gioco alcun genere di penalità per i quitter, una circostanza che porta, non di rado, a perdere “pezzi” del proprio schieramento nel bel mezzo di match non particolarmente fortunati. In questi casi, il gioco sopperisce alle diserzioni con combattenti guidati dall’IA che però, come potete immaginare, si dimostrano tendenzialmente meno efficienti dei giocatori in carne ed ossa.
Non è tutto acciaio quel che luccica
Sebbene la profondità del gameplay di For Honor abbia, almeno sulla carta, tutto il potenziale per spingere il titolo ai vertici delle classifiche, questa beta non è riuscita ad allontanare alcuni dei dubbi che ancora aleggiano attorno al nuovo brand di Ubisoft. Innanzitutto la scelta di basare il comparto multigiocatore del titolo sul peer-to-peer networking, piuttosto che su server dedicati, non convince appieno. Durante le nostre sessioni online siamo infatti incappati più volte in repentine disconnessioni, misteriosi blocchi del matchmaking (con annesso riavvio obbligato del gioco) e migrazioni dell’host con esiti infausti.
Parliamoci chiaro: quando il netcode si comporta come dovrebbe, e non di tratta di uno scenario così infrequente, le partite scorrono senza alcun problema di lag o di stabilità generale. Purtroppo, però, capita anche di non riuscire a portare a termine due o tre match di fila, o di assistere ai fastidiosi effetti di qualche picco di latenza, probabilmente dovuto a problemi di hosting. Considerando la vicinanza della data d’uscita di For Honor (14 febbraio) e la natura “chiusa” di questa beta, non possiamo fare a meno di sentire qualche brivido lungo la schiena al pensiero di ciò che potrebbe succedere quando gli utenti di tutto il mondo metteranno alla prova i limiti dell’infrastruttura messa in piedi da Ubisoft.
Il resto del comparto tecnico del gioco si dimostra invece decisamente soddisfacente, grazie soprattutto alla solidità del motore AnvilNext 2.0. La nuova IP di Ubisoft appaga i sensi con scenari ricchi e dettagliatissimi, il linea con lo standard – eccellente – dei modelli poligonali e delle animazioni marziali dei personaggi. Il frame rate soffre ancora di qualche occasionale calo sotto la soglia dei 30 fps, specialmente durante le schermaglie più caotiche, ma si tratta di fluttuazioni che non inficiano in alcun modo la qualità generale dell’esperienza. Un po’ più fastidiosi sono invece i piccoli tentennamenti legati alla gestione degli impatti, non sempre precisissima. Anche in questo caso, fortunatamente, parliamo solo di sporadici “mishap”, a volte a malapena percepibili.